E il fiore divenne farfalla. Massimo Cuomo, la bellezza conquistata

Quando inizio a leggere Bellissimo so già che dovrò intervistare Massimo Cuomo, cerco quindi di affrontare la lettura con razionalità, di prendere qualche appunto, di mantenere un certo distacco. Dopo qualche pagina l’intento svanisce, la prosa di Massimo Cuomo mi investe come un fiume in piena. Magia, sensualità, passione…il fluire delle parole mi porta in Messico, a Merida.

E’ appena nato Miguel un bimbo straordinariamente bello e lì, nella stanza d’ospedale, sembrano delinearsi equilibri e giochi di forza che governeranno gran parte del romanzo.

La “madre brutta del bambino bellissimo” dolce e protettiva Maria Serrano vive nell’ombra del bellissimo marito Vincente, il piccolo Santiago invece, fratello maggiore è reso invisibile, oscurato, dalla bellezza del fratello. Da quel giorno sarà costretto a rincorrere…

Miguel e Santiago accomunati in apparenza solo dal sangue e da un piccolo neo. Miguel sfrontatamente bello, precoce in  tutto. Tutto gli risulta facile, non amarlo impossibile. Impossibile per tutti tranne che per Santiago, fratello maggiore costretto a rincorrerlo. Santiago che fatica e lavora sodo. Santiago che si vede sottrarre l’amore dei genitori, delle donne, persino del cane Pan. Miguel che si perde nel mondo, Santiago che si rinchiude in sé stesso. Santiago che ricerca indizi lasciati dal fratello nelle foto e nelle parole estrapolate dalle lettere che questi gli invia. Fratelli. Necessari complementari indispensabili uno all’altro. Semplice narrazione o rilettura simbolica della società contemporanea?

 Quando scrivo mi concentro sempre sulle singole relazioni e sui comportamenti individuali: scandaglio i meccanismi minuscoli della vita tentando di decifrarli e sperando che qualcuno ci si possa riconoscere. In questo modo viene fuori, sebbene tendenzialmente non la cerchi, anche un’analisi più ampia: nello specifico quella fra Santiago e Miguel (com’era accaduto nei miei romanzi precedenti, Malcom e Piccola osteria senza parole ndr) è l’incontro e lo scontro fra diversità profonde, un tema sociale purtroppo sempre attuale.

Quello che mi sforzo di fare è trattare certi argomenti in modo non convenzionale, attraverso un filtro che risulti il più possibile “diverso”, originale: in questo caso il filtro è la Bellezza, che diventa il perno attorno a cui ruota l’intera storia.

Massimo, accanto ai protagonisti di “Bellissimo” sicuramente anche il Messico, ricco di colori profumi e superstizioni. Quale il tuo rapporto con questa terra magica che sembri conoscere così bene?

 Ti capita mai di incontrare una persona e provare la sensazione di “conoscerla da sempre”? A me è successo col Messico, un posto che ho visitato una decina di anni fa in un intenso viaggio “on the road”. Ho attraversato lo Yucatàn (partendo proprio da Mérida) e il Chiapas, osservando coi miei occhi quasi tutti i luoghi che ho descritto nel romanzo. Ma oltre al fascino “letterario” di certi posti, quello che mi ha convinto a far prendere un aereo a tutti i personaggi di questa storia per portarli dall’altra parte del mondo è stata proprio la sensazione di aver “capito” quel posto e dunque di poter tentare di raccontarlo. Una scelta rischiosa a cui mi sono dedicato con grande rispetto e onestà intellettuale.

Chi se ne intende di Messico, alla fine, ha detto che è andato tutto bene, che i miei personaggi laggiù si sentono a casa.

Altro protagonista indiscusso del romanzo è l’amore. Di una madre per i propri figli, dei due ragazzi per le donne. Amore improvviso, a volte comprato, amore da leggere tra le righe, amore per Isabel che con il suo minuscolo neo sembra mettere un punto fermo alla narrazione. Ma amore è “Come avere lo stomaco vuoto” (cit. pag 112) o “Come avere sempre lo stomaco pieno”(cit 251)?

 Non esiste una risposta sola a questa domanda e infatti il romanzo propone entrambe le possibilità. Per dire che l’amore ha espressioni diverse, a volte persino antitetiche, e che un atto all’apparenza egoistico può in realtà rivelare un sentimento d’amore più puro e decisivo di un presunto atto di generosità.

L’importante comunque è provare qualcosa: chi perde in ogni caso sono quelli che nello stomaco non ci sentono nulla.

“Lui (Santiago) la guarda nel buio. E mai come ora si sente uguale a lei, il figlio di una madre senza bellezza. Abbandonata da Vincente Moya in una sera di giugno per la sottana di una contorsionista. O per una specie di giustizia. Santiago la guarda senza vederla, nella penombra spicca solo il bianco della sua veste povera e il bianco di alcune ciocche lunghe fra i capelli sciolti. E ora come mai si sente pure lui abbandonato. Da Miguel.”

Ho amato molto la figura di Maria Serrano, donna apparentemente insignificante che si trova a dover gestire il rapporto conflittuale tra i due figli e la vita accanto ad un uomo, Vincente, che sembra non averla mai amata. Ci parli un po’ di lei? Quale il ruolo in genere delle donne nel tuo romanzo?

 Le donne in questa storia sono soprattutto vittime. Vittime della Bellezza, da cui tutti però, anche gli uomini e persino Miguel che ne è portatore, vengono sopraffatti. Maria Serrano è quella che più di chiunque altro resiste a questa forza che travolge e sposta le cose. Lo fa per un solo motivo: l’amore che prova per l’altro figlio, per Santiago, a cui sin dal giorno in cui Miguel viene al mondo sussurra “Sei bellissimo anche tu”. Pure lei vacilla, cedendo a tratti al potere attrattivo del figlio minore che sembra chiedere attenzioni esclusive, ma resta in piedi. E pure lei alla fine perde qualcosa, un marito, sebbene sia una perdita relativa, come se il tornado Miguel riuscisse a sradicare solo i sentimenti deboli, esaltando invece la forza dei sentimenti più puri, che si piegano senza spezzarsi e sopravvivono nonostante tutto.

Resta in piedi, Maria Serrano, con tutte le sue debolezze, diventando il personaggio più coerente della storia e certamente uno dei più belli.

Non a caso finisce per lasciarsi andare solo quando pensa di aver perduto anche Santiago, il figlio che le somiglia, e che dunque non ci sia più nulla per cui lottare. Solo allora si abbandona al suo destino, che però – stavolta sì per una specie di giustizia – ha in serbo per lei un premio inatteso e meritato.

Mi ha colpito molto la parentesi dedicata alla reciproca conoscenza di Santiago e Soledad che annullano le loro distanze grazie all’esperienza della lettura. Santiago, leggendo,“Per la prima volta prova persino la sensazione di poter correggere la propria vita, per esempio utilizzando il libro come un’esca per stanare, catturare, non lasciare andar più”. I due ragazzi leggono una serie di classici, vi si rispecchiano…quali i classici della tua vita? Quale rapporto hai con la lettura?

 È un rapporto difficile. L’ho scoperta tardi, come Santiago, ma in modo meno poetico e molto più ingenuo di lui, con scarsa consapevolezza, attingendo a quello che capitava. Ho la sensazione di aver cominciato a leggere davvero solo dopo la pubblicazione del primo romanzo, quando ho finalmente messo ordine nel mio panorama letterario, iniziando a intuire differenze e valori, a scegliere con cognizione di causa. Allo stesso tempo quello è stato il momento in cui ho smesso di leggere per leggere, perché ho cominciato a leggere per scrivere (ovvero: per scrivere meglio), perdendo dunque inevitabilmente un filo di piacere. Questo è il motivo per cui non amo citare le mie letture: mi sembra di aver letto ancora troppo poco per poter offrire consigli e riferimenti ad altri.

In effetti è una sensazione simile a quella che provo quando entro in un una libreria: c’è il mio libro lì dentro, finalmente, il sogno realizzato, eppure riesco a vedere solo la massa enorme di tutti gli altri, centinaia di classici e migliaia di nuovi titoli ogni mese che premono sul tentativo disperato e faticoso di far arrivare la mia voce a qualcuno.

Miguel schiavo della propria bellezza, costretto a fuggire da se stesso per potersi “salvare”. Il tema del viaggio, della ricerca di sé ricorrenti nel romanzo… c’è qualcosa di Massimo Cuomo in tutto questo?

Miguel non sono io: per un senso del pudore non avrei mai raccontato la bellezza partendo da una presunzione di bellezza. Al contrario mi riconosco nel personaggio di Santiago e in tutti i suoi limiti e difetti. Però Santiago compie un percorso che nel tempo lo avvicina e lo rende più simile all’altro e questa evoluzione in effetti mi appartiene. Perciò sì, c’è una parte di me anche dentro Miguel: il gusto per il viaggio e per la scoperta, l’anticonformismo, l’ansia costante di fare luce sul mondo.

Credo sia anche per questo che i fratelli Moya, sebbene così diversi fra loro, finiscono per sembrare a tratti due metà della stessa persona.

Nell’immagine della copertina una farfalla monarca. Il senso del romanzo sta tutto lì. Un batter d’ali che riempie il cuore di poesia e libera la bellezza. La bellezza può salvare il mondo?

La sola bellezza esteriore, che è effimera e sfiorisce, evidentemente no. Miguel, che ne è portatore, a un certo punto ammetterà persino che la sua bellezza, un dono, è diventato un danno, che fa male agli altri.

A salvare il mondo può riuscire la “bellezza conquistata”, la bellezza della fatica e del sacrificio, del dolore, del viaggio e del cambiamento. In fondo una farfalla non è altro che un bruco nero che ha messo ali colorate.

Quell’immagine di copertina è la sintesi del romanzo: da una parte Miguel, una farfalla libera e bellissima; dall’altra Santiago, che aspira a quella bellezza ma è altro, pur possedendo una sua bellezza, quella di un fiore, col limite di non potersi staccare dal suolo (da Mérida), di non poter volare via.

Eppure la storia mostrerà che c’è una possibilità per tutti, che la magia esiste, che nulla è impossibile e che anche un fiore può diventare farfalla. Nell’immagine di copertina dunque, a ben guardare, c’è sempre e solo Santiago: è la sua bellezza che salverà tutti.

Rapita dalle parole di Massimo, nel cuore di questa Piazza Comisso scaldata dal sole del Messico, stavo per dimenticare un’ultima fondamentale domanda…quale storia hai in mente? Dove ci porterai col prossimo romanzo?

Pubblico in media un libro ogni tre anni perché impiego molto tempo a “trovare” le mie storie. Non ho ancora cominciato a scrivere il prossimo romanzo ma ci sto pensando da tempo, prestando attenzione a tutto quello che può sembrarmi un suggerimento decisivo.

Qualcosa c’è già: ho scelto un luogo preciso (stavolta molto vicino a casa, avrei intenzione di tornare in Veneto), vedo alcuni personaggi, intuisco l’atmosfera e il senso di quello che vorrei raccontare, immagino persino già alcune scene, singole immagini che mi tornano spesso in mente.

Nelle prossime settimane comincerò a seminare sulla carta tutte queste intuizioni per scoprire se fioriscono. Sempre che nel frattempo una storia completamente diversa non mi piombi addosso e mi costringa a dedicarmi esclusivamente a lei, abbandonando tutto il resto.

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