Giancarlo Marinelli: “Il libro? Un rito eretico”

Incontriamo in Piazza Comisso, a poche settimane dalla proclamazione delle Terne Finaliste,  Giancarlo Marinelli, membro della Giuria Tecnica del Premio.

Giancarlo, anno particolarmente fecondo  il 2017 per il Premio Comisso: elevato il numero di opere in concorso, indubbia la qualità. Il compito di  Giurato non deve esser stato facile. Quali criteri ha adottato per poter maturare una scelta? 

Guardo molto alla scrittura. Soprattutto nelle opere di narrativa. Sono stanco della formula con cui di solito vengono giudicati i libri: “libro asciutto”; “scrittura fluida”.

Ecco, io certo libri assai conditi e interrotti. Con una prosa ricca. Possibilmente, innovativa. La pasta in bianco è per i malati, per chi sta poco bene. Io, quando leggo un libro, sto benissimo.

Quale è il punto di forza delle opere finaliste?

Mi sembra che siano opere che mettono al centro la vita di ogni scrittore. Anche nelle biografie; c’è questo voler confessare se stessi, anche involontariamente, che è ciò che fa la differenza tra il libro che leggi e quello che ti ricordi.

Parliamo di esclusi. A suo avviso qualcuno merita una “menzione speciale”?  Per quale motivo?

Di sicuro, il libro di Giuseppe Sgarbi. Il migliore uscito quest’anno.

Accorpamenti editoriali e affermarsi dell’e-book. Quali conseguenze sulle case editrici?

Gli accorpamenti fan parte dell’industria. Ma si sa: il libro non ne risente. E se ne risente, con il tempo,  se è buono, troverà il suo spazio e il suo pubblico. L e-book è un fallimento. Funziona molto per i libri specialisti: manuali, codici, dispense. Ma non per il romanzo o il saggio. Il libro è la risposta eretica a tutto ciò che il tempo vuol cambiare; ridurre a leggerezza pesantissima e tecnologica.

Un lettore è sempre un eretico. E non rinuncerà mai a quello che è un rito eretico. Il libro.

Molti scrittori son preoccupati delle conseguenze che la digitalizzazione del libro potrà avere sui diritti che maturano. Io no. La penso come Godard:

“Gli autori non hanno diritti. Hanno solo doveri”.

Festival letterari, fiere del libro, eventi mediatici legati al mondo del libro (#ioleggoperché, Maggio dei libri). Libri e scrittori muovono le folle ma la lettura in Italia sembra essere una pratica ancora poco diffusa. Come si spiega questo dato di fatto?

Molti festival sono riempitivi, non investimenti culturali. Investono sull’autore e non sul libro. Non sono interessati alla vita dell’autore che muore nella pagina. Ma alla sua vita, scissa dai libri. Per cui, il pubblico ascolta la voce d’uno scrittore ma non è più interessato a leggerlo. E persino quando lo legge, ha in testa la sua immagine china su un microfono.

C’è la dittatura del libro asciutto e fluido, come dicevo all’inizio.

La dittatura della contaminazione, della scrittura visiva. Il libro deve essere comodo come un albergo a quattro stelle trovato su internet.

Il grande libro invece ti frega sempre. E’ una truffa perfetta. E’ una stamberga e quando la lasci e ti volti, scopri che l’avevano costruita solo per te. E non puoi più tornarci.

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