Raccontare le imprese – “Investimento di memorie” di Lara Toffoli

Un paio di anni fa, mentre la crisi economica stringeva le sue maglie sul Veneto, l’Università Ca’ Foscari di Venezia, assieme alla Banca Popolare FriulAdria cercavano una via per incrementare il riconoscimento interno e esterno delle imprese. Nacque così il progetto Istorie. Racconti d’impresa. Lo scopo era quello di formare degli studenti con competenze sia manageriali che umanistiche in modo da metterli in condizione di raccontare le imprese venete in modo nuovo: non più la storia dell’impresa, ma il suo significato.

“Con le vostre chiavi”, Kellermann Editore (a cura di Alessandro Cinquegrani)

Sotto la guida dei docenti Carlo Bagnoli e Alessandro Cinquegrani, gli studenti non solo hanno appreso un metodo, ma l’hanno messo in pratica raccontando cinque imprese: Banca Popolare FriulAdria, Unox, Nice, L’Inglesina Baby e Dolciaria Loison. Ne è nato un libro, Con le vostre chiavi. Storie di imprese significanti (Kellermann Editore), e cinque cortometraggi. L’idea di partenza è la convinzione che il racconto incrementi la consapevolezza identitaria delle imprese, tanto più laddove la trama non rappresenti semplicemente un resoconto della storia aziendale, ma abbia un senso più articolato.

Gli studenti hanno dunque interpretato le imprese per ritrovarne il significato, l’hanno poi inquadrato nell’ambito di un archetipo di matrice junghiana e da questo creata una storia che s’appoggia sui mitologemi narrativi. Lo scopo è stato quello di trasformare l’azienda in un racconto, non raccontare un’azienda.

Proponiamo qui l’incipit del primo racconto, Investimento di memorie, centrato su FriulAdria e scritto dalla studentessa Lara Toffoli, e il video Fides che è stato realizzato a partire da uno script di Egidio Musitano. Racconto e video sono del tutto autonomi, però nascono da una riflessione comune sull’azienda.


Lara Toffoli

INVESTIMENTO DI MEMORIE

(FriulAdria)

PRIMA DI COMINCIARE

(Un anziano signore…)

Non vede più le foglie ingiallite dal sole e i tralci e i grappoli neri che gli stanno sopra la testa e tutto intorno lo avvolgono da tutti i lati tranne uno. Il palo orizzontale che regge la struttura gli viene addosso, quasi lo schiaccia e anche se Franco vuole gri­dare non gli esce la voce. Adesso è dentro, in un caldo rosso e percepisce a malapena il nero dei grappoli. Sente dei colpi sordi e ritmici e intuisce subito che sono una pulsazione. Allora Franco pensa me son sbalià, no son più là fora soto la pergola. Pensa che è la so putela prima che diventasse grande e andasse a stare fuori casa e prima ancora che nascesse. Pensa: go la recia sul pancione de la Gina. Ma intanto è rosso da ogni parte, sopra e ai lati, tutti i lati. E allora pensa che è tornato putèl, anzi no prima ancora; è in pansa de so mama, al sicuro come in uno scrigno con la fodera di velluto.

Quello che batte è il suo, di cuore.

Poi i rintocchi del campanile lo svegliano. Battono le cinque. Franco si alza, si veste al buio.

Lasciare crescere i tralci sopra il pergolato è stata una pessima idea. Nelle annate buone va a finire che alcuni grappoli riman­gono schiacciati nella rete dei fili di ferro e si fa fatica a staccarli; poi ci sono quelli che ci riescono, sono la maggior parte (questo è lo scopo della pergola, no?) e si fanno largo e pendono in testa a chi sta seduto al fresco, sotto il pergolato sulla sedia di plastica. Sono quei grappoli da cui si mangiano direttamente gli acini, stai lì, allunghi il braccio e prendi un po’ di chicchi, senza lavarli e senza nemmeno staccare il grappolo prima. Anche Franco lo faceva quando si sedeva sotto il pergolato a xogàr a briscola co la Gina e Bepi e Toni e gli altri. Però quell’uva nera è trista, non gli piace. Ti lascia la bocca tutta impastata, non è neanche buona a fare il vino. Che idea ha avuto di farci la pergola con quell’uva che piaceva solo a lei. Che idea ha avuto di farla la pergola, non gli bastava il vigneto? L’avevano fatta tutti coi schei novi da ope­rai e anche lui dietro. Non assomiglia per niente alla bilussera di suo padre nato morto contadino, quella con i filari larghi e lo spazio in mezzo per far fieno per le bestie. Questa pergola qua invece è come un tetto sopra la testa, fatta per l’ombra e ma­gnàr l’uva dal grappolo, per quando si poteva prendere l’ombra e star co la pansa all’aria di domenega e c’era lo stipendio della fabbrica. Franco non aveva mai fatto caso prima se la pergola era o no uno strappo alla sua regola di senso e buon senso. Lui non poteva calcolare che le cose sarebbero andate così. Che non ci sarebbero più state nemmeno le domande banali della Gina. Del tipo perché proprio rosso, ‘sto palo orizzontale, che stona! Parché?! Parché Bepi Internassionale lo ga cussì! E se Bepi se buta in te ‘l fossàl? Tasi ti. Che no te sa gnent! Cussì l’è, parché cussì lo go trovà in giro. Femene de na ‘olta, che no le ga studià a scuola, non capiscono l’ironia.

Al pensiero di lei gli cade automaticamente lo sguardo sul suo comodino, quello dal lato della finestra. Allora gli viene in men­te. Sposta il santino della Madonna con il rosario infilato in mez­zo, appoggiato all’abatjour lì sopra, quella con la lampadina an­cora da cambiare. Sotto il santino c’è una chiave che sa di ottone, ti lascia quell’odore addosso a tenerla in mano. Sembra una di quelle chiavi che chiudono le ante delle credenze e dei mobili, quelle chiavi un po’ più grosse delle altre chiavi, di quella della camera, di quella della porta d’ingresso e di quella della caldaia. Si direbbe una chiave che si può scambiare con le altre delle altre ante, una roba fatta per bellezza. Franco la infila nel portafoglio, la ciave, assieme ai schei. Poi mette il portafoglio al sicuro nella tasca dei pantaloni e se la tasta con forza.

Prima di uscire dalla stanza, Franco richiude la finestra che ha aperto poco fa. Questa mattina, grappoli di uva nera che pen­dono dal pergolato arrugginito – li riguarda ancora un po’ –, gli sembra che qualcosa in loro proprio non va: tutto uno casìn, un lavoro fatto male, un’addebita. Finita l’uva bianca della vigna, gli toccherà vendemmiare anche quell’uva trista. E questa, pare, è una buona annata.

Titolo: Con le vostre chiavi. Storie di imprese significanti

Autore: Alessandro Cinquegrani

Editore: Kellermann

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