A tavola con Giovanni Comisso. Cena con cane

Ancora un appuntamento dedicato agli ospiti di qualità. Dopo aver improvvisato uno spettacolo in trattoria per intrattenere i commensali, Giovanni Comisso ci ha invitato a scoprire la delizia delle Marcandole e a rilassarci in una trattoria di campagna. Abbiamo gettato infine uno sguardo sui costumi della società italiana osservando i grassoni a tavola

Questa volta il nostro Scrittore piuttosto affamato ci sorprenderà con un invitato del tutto eccezionale…

Cena con cane

Anche in provincia quando vi è una cena in casa di amici hanno imparato dalle grandi città a mettersi a tavola assai tardi, verso le nove, per potere arrivare più facilmente alle ore piccole della notte.

Ma quella sera che ero invitato a cena dal mio amico, già alle sette sentivo un fiero appetito che non mi dava la possibilità di resistere.

Di certo era l’aria buona del Piave, che mi ravvivava, ma più ancora l’essermi svegliato per lavorare al mattino alle sei. Alle sette entrai nella sua bella casa ricca di quadri antichi e moderni e speravo venisse dalla cucina profumo di pietanze, invece un signore, ospite anche lui, mi accolse proponendosi di farci un aperitivo.

Allora vennero dalle stanze vicine altri ospiti: una signora bionda e una mora con i loro mariti e il mio amico, arrivato in quel momento, propose di proiettarci un documentario da lui girato nel suo viaggio recente in Istria. Venne preparato per la proiezione e vennero spente tutte le lampade.

Quel documentario era così nitido ed esatto nei colori che avrei desiderato continuasse per un pezzo se non mi fossi sentito raddoppiare l’appetito dall’aperitivo.

Finita la proiezione osai chiedere se nessuno sentisse voglia di mettersi a tavola, perché erano già le otto e mezza.

Tutti avevano la stessa voglia, ma si attendeva un altro ospite che aveva telefonato di avere smarrito la strada. Infine fu annunciato il suo arrivo e io stavo per sedermi a tavola al mio posto, quando una bella signora che si sarebbe seduta vicino a me trasse dalla sua borsetta il mio ultimo libro per avere una dedica.

Il mio appetito era diventato fame, ebbi tuttavia il buon estro di farle una dedica lusinghiera e seduti entrambi ai nostri posti rimanemmo per mangiare pane e vino.

Gli altri fecero altrettanto mentre il mio amico ci diceva di non sciuparci perché vi sarebbe stata una cena, e fece gesti nell’aria per indicarne la raffinatezza.

Nello stesso tempo giunse l’ospite atteso e dalla cucina arrivò, preceduta dal suo profumo, la pastasciutta con il prosciutto. Tale era la fame che contro le mie abitudini replicai e gli altri triplicarono.

Quella pastasciutta fu come in un temporale il primo scatenamento di pioggia, dopo il quale è possibile proseguire in un andantino moderato con piacevole conversare.

Mi ero accorto che per servire a tavola non vi era più la bella servetta dell’ultima volta che faceva pensare a una statuetta di porcellana, ma un giovane cameriere sorridente e apparentemente di altra regione.

Pensavo che il mio amico, come godeva di fare vedere alle pareti un successivo variare di quadri della sua collezione che per insufficienza di spazio teneva archiviata in soffitta, così volesse accontentarci l’occhio variando con i portatori delle vivande.

Ma non era così, la servetta aveva seguita l’aura delle zone depresse ed era andata a lavorare in una fabbrica, ma per fortuna certi amici avevano mandato questo camerieretto gentile che veniva niente meno che da Ischia, dove ancora non esistono fabbriche che possano sviare la mano d’opera casalinga.

Mentre attendevo la seconda pietanza presagita dal mio amico con gesti euforici nell’aria, mi accorsi che qualcosa mi sfiorava la gamba destra e, facendo pressione, corrispondeva uguale contropressione.

Guardai la mia vicina di tavola pensando che volesse ricompensare con quei segni la dedica calorosa che le avevo fatto sul mio libro, ma allungata una mano mi accorsi che si trattava di un cane il quale subito ringhiò furioso.

La signora di fronte, di certo una profonda igienista, disse che i cani a tavola non devono esservi, perché sono apportatori di oscure malattie.

Fu inutile citare le nozze e i banchetti dipinti dal Veronese dove i cani fanno decoro festoso ai convitati.

Il giovane cameriere sempre sorridendo portò la seconda pietanza consistente in asparagi freschi appena colti dall’orto del mio amico saporitissimi venati di un amaro profumato.

Da ultimo venne portata in tavola dal solito camerieretto, che per essere molto alto si piegava nel servire come un salice piangente, una pietanza famosa: si trattava della sopressata, affumicata, cucinata nell’aceto e l’accompagnava una tonda polenta bianca che io scambiai per un dolce, ma la padrona di casa mi disse che il dolce sarebbe venuto dopo.

Invece da quel momento cominciò nella nostra cena una frattura di rappresentazione, quanto mai imprevista e drammatica. Dalla cucina si intese un grido, seguito da un urlo: « Sangue, sangue ».

Le donne che erano a tavola con noi si precipitarono e furono intese gridare anch’esse: « Sangue, sangue ». Da una parte la padrona si era accasciata svenuta su di un divano e venne portata nella sua stanza.

Dall’altra il mio amico, che aveva compreso l’avvenimento, si era alzato furente con un grosso accendisigari in mano minacciando di scagliarlo e diceva: « Bisogna accopparlo. Ha morsicato anche me; quattordici punti alla mano ».

Quel cane aveva morso a un dito il giovane cameriere e glielo aveva quasi staccato. Gli altri ospiti lo portarono subito all’ospedale per la puntura.

Tra la padrona svenuta, il mio amico furente, dalla cucina non arrivò più alcuna pietanza. Per fortuna che vi erano stati fin dall’inizio quei due piatti di pastasciutta deliziosa.

Quel povero camerieretto venuto da Ischia, nel primo giorno del suo servizio, proprio al suo debutto, era stato sfortunato, proprio come un salice piangente che fosse stato spezzato in un suo docile ramo dalla ottusità di un passante.

Giovanni Comisso
Gazzetta del Popolo, 17 giugno 1964

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