Giovanni Comisso e i ricordi di un tempo: Isacco Babel

Giovanni Comisso e i ricordi di un tempo: Isacco Babel

A Parigi, nel 1927, si viveva in un’epoca tra le più felici. Ora che ci ripenso tutto costava così poco che non vi era da preoccuparsi per il denaro. Con quello che si poteva tenere nel portafogli all’uscita dalla frontiera si poteva rimanere a Parigi anche parecchi mesi senza fare arrivare vaglia e al ritorno avevamo ancora alcuni di quei biglietti di banca francesi rosa e violetti. Senza necessità di fare privazioni ci si divertiva a oltranza.

Una sera il pittore italo-armeno Gregorio Sciltian organizzò una grande festa nel suo studio. Vi parteciparono una cinquantina di invitati di ogni parte del mondo tra i quali Filippo De Pisis, Giorgio de Chirico, esuli russi, artisti polacchi e anche qualche germanico. Era un’epoca felice anche perché ad appena otto anni dalla guerra che aveva insanguinato l’Europa tutti erano presi dalla gioia di vivere senza essere offuscati da rancori politici. I russi bolscevichi dicevano di preferire la gioventù italiana alla quale il fascismo dava qualcosa a cui sperare, mentre quella francese era apatica, i profughi dalla rivoluzione che vivevano a Parigi non sdegnavano di incontrarsi con i nuovi artisti russi. Marc Slonim, un russo bianco, critico letterario, lavorava con me per una antologia degli scrittori bolscevici, disposto di farli conoscere in Italia, perché giudicava che fosse necessario dimostrare la continuità del genio russo.

Quella sera da Sciltian il giovane scrittore bolscevico Isacco Babel, autore dell’”Armata a cavallo”, non sdegnava di accettare da uno dei figli del cantante Sciagliapin, che aveva preso la cittadinanza americana, il vino versato nel suo bicchiere. Fu allora che conobbi questo scrittore. Avevo letto l’Armata a cavallo nella traduzione francese fatta da Parisjanine e mi era piaciuta trovandola nella grande scia poetica e rudemente realistica di Tarras Bulba di Gogol.

Isaac Babel

Babel era un uomo tarchiato, grosso e pesante che non faceva pensare avesse fatto la rivoluzione a cavallo, per giunta era fortemente miope. Aveva però saputo vedere acutamente quei ragazzi della sua armata, ora ingenui, ora audaci e beffardi, così da renderli indimenticabili. Ricordo il suo sguardo chiaro dietro alle grosse lenti, rivolto sugli ospiti mascherati, nello studio di Sciltian, scatenati nel ballo, come in un combattimento.

L’accompagnava sempre un sorriso aggravato dalle sue pesanti mascelle, reso incredulo dal naso sottile e appuntito. Con questo stesso sorriso avrà guardato anche coloro che gli sparavano contro per ucciderlo.

Quella sera tra la sarabanda degli ospiti di Sciltian non ci fu possibile parlare. Altra volta, incontrato Parisjanine, come seppe che mi occupavo a preparare con Slonim un’antologia dei nuovi scrittori russi per una rivista italiana, volle fissare un appuntamento con Babel a casa sua. Ricordo lo stupore di Babel nel sentire che conoscevo le opere di quei giovani scrittori russi sorti dalla rivoluzione e che preparavo quella antologia per un paese, come l’Italia, che era ufficialmente fascista.

Gli dissi che era da meravigliarsi di più che Slonim, esule dalla Russia, si interessasse di fare conoscere quegli scrittori che avevano aderito alla rivoluzione, per omaggio al loro valore. In vero non doveva essere molto convinto di questa adesione, perché alle mie parole si era messo a ridere sonante facendo con le mani il gesto di non esagerare.

Isaac Babel, The Cavalry, a story of one horse (foto di Yefim Ladizhinsky, Victoria Ladizhinskaya – Wikimedia Commons)

Ancora, tenendo tra le mani la traduzione della sua Armata a cavallo, mi rivolsi a Parisjanine per chiedergli, se in uno di quei racconti era esatto tradurre una parola che si riferiva a una cosa immonda con quella francese: étron. Questa volta risero entrambi sonori. Nel racconto alcuni cavalleggeri rossi entrati in una casa abbandonata vi trovarono solo un étron che pareva aspettarli nel vano di una porta. Non so perché pensavo fosse stato più eroico usare la parola francese: merde.

Babel mi disse che étron andava benissimo, perché rendeva maggiormente la solidità determinata dall’abbandono e non ebbi altro da obiettare. Nell’accomiatarci gli dissi tutta la mia ammirazione nel saperlo, nonostante una rivoluzione, continuatore della grande vena narrativa di Gogol. Egli mi guardava attraverso le grosse lenti come già fosse uscito dal nostro tempo in una sua immortalità raggiunta.

Nel 1930, di ritorno dalla Cina mi fermai a Mosca e speravo di rivederlo, ma Kogan, presidente dell’accademia delle scienze e delle arti, che avevo conosciuto a Milano, avendogli chiesto notizie di Babel mi rispose vagamente che viveva in campagna occupato in un allevamento di cavalli.

Lo scrittore doveva già essere caduto in disgrazia, perché venire allontanato da Mosca era considerata una punizione.

La foto di Babel’ eseguita dal NKVD dopo il suo arresto (Wiki)

Undici anni dopo il suo amico Erhenburg non poteva più preservarlo dal persistente rancore del maresciallo Budyenny a cui non piaceva la Armata al a cavallo e che voleva vendetta e che credeva di passare alla storia per i suoi baffi da ciarlatano. Agenti di Stalin una notte lo prelevarono per portarlo alla fucilazione.

Una sua ultima foto lo rappresenta con quel pesante sorriso e con quello sguardo velato dalle grosse lenti. Nello sfondo si vede un cavallo dell’allevamento a cui era stato destinato.

Placca per Isaak Babel – Odessa – Ukraine (foto di Adam Jones, Wikimedia Commons)

Vittime dei regimi assoluti o vittime della società gli artisti soccombono sempre nel loro tempo a cui sono stati destinati a vivere, se non si arriva alla fucilazione ci si ferma al misconoscimento e all’abbandono sebbene siano essi con le loro opere a dare testimonianza nel futuro di quei regimi e di quella società, non le azioni materiali, anche se splendide battaglie. Chi saprebbe dell’esistenza degli etruschi se non fossero sopra-esistite le loro opere d’arte negli scrigni delle tombe di quel popolo?

Isacco Babel aveva vissuto la sua giovinezza tra i cavalli e tra i suoi compagni giovanili e beffardi; fino alla morte quegli animali gli ricordavano il passato, che era stato fonte della sua ispirazione narrativa, ed egli aveva impedito che morissero.
Dietro alla foto aveva scritto: “Il cielo quale magnifica steppa”.

Giovanni Comisso

da La Nazione del 25/07/65

Immagine in evidenza: Monument to Isaac Babel. Sculptor Georgy Frangulyan (foto di Anstarrr, Wikimedia Commons)

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