Il Bobi Bazlen di Cristina Battocletti. Intervista di Isabella Panfido

Cristina Battocletti, giornalista del Sole24Ore e scrittrice, è vincitrice del Premio Comisso 2018 nella sezione biografia con il libro “Bobi Bazlen. L’ombra di Trieste” edizioni La Nave di Teseo.

Il libro è incentrato sulla figura dell’intellettuale Bobi Bazlen (Trieste 1902- Milano 1965) raffinato uomo di lettere, riferimento culturale di scrittori italiani e stranieri, fondatore insieme a Luciano Foà della casa editrice Adelphi.

La matrice d’origine di Bazlen, Trieste mitteleuropea, coacervo multiculturale, inquieta nella identità mutante da austro-ungarica a italiana eppure sempre ‘altra’ è fondamentale nella costruzione della personalità di Bobi Bazlen.

Chiediamo all’autrice come è nato l’interesse per questa figura di intellettuale.

Troppe cose mi portavano a lui: facevano il suo nome a proposito del mio libro ‘La mantella del diavolo’, dicevano che era un libro /incubo di quelli che sarebbero piaciuti a Bobi Bazlen.

Incontravo persone che lo avevano conosciuto e tanti dicevano di lui, triestino di madre ebrea e padre luterano, fuggito da Trieste per motivi affettivi, che aveva rinnegato la sua città, che era uno sciamano, un rovina famiglie. Così ho cominciato a seguire le sue tracce e mi ha ammaliata.

Il suo è un libro su Trieste ma anche sulla cultura italiana del Novecento; quanto quella città ha influenzato Bazlen e il nostro mondo artistico?

Tantissimo, Trieste era un porto franco della cultura europea grazie ai facili contatti con Vienna: la psicanalisi è entrata in Italia da Trieste e Bazlen è stato uno dei primi a sottoporvisi.

A Trieste la comunità ebraica era forte, con saldi legami internazionali, Bobi Bazlen, di madre lingua tedesca ma parlava correntemente quattro lingue, aveva accesso a libri proibiti o del tutto sconosciuti in Italia.

Fu lui a far tradurre Kafka, lui riconobbe il valore di Musil tanto da farlo pubblicare.

Lei parla diffusamente dei rapporti di Bazlen con i grandi triestini: Saba, Svevo, Quarantotti Gambini ma anche con Montale e tanti protagonisti della cultura. Un lavoro enorme di documentazione, ma Bazlen non sempre risulta amato

Ci sono voluti due anni totalizzanti, molti epistolari, interviste, archivi, ma la personalità di Bazlen mi sembra sia uscita in tutta la sua imprendibile centralità.

E’ stato un autentico motore culturale per l’Italia del Novecento e non da tutti apprezzato, da Pasolini per esempio.

Cosa sarebbe cambiato se Bazlen non fosse esistito?

La cultura italiana sarebbe stata molto più provinciale e ritardata rispetto al resto d’Europa. La sua Adelphi ha diffuso in Italia quello che la Einaudi ideologica e militante non pubblicava.

Non avremmo avuto Siddartha, oppure l’edizione critica di Nietzsche, per esempio…

Bazlen aveva un fiuto formidabile per la qualità, fuori dalle categorie prestabilite, fuori dalle ideologie, insomma un insostituibile, geniale outsider .

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