“Il corpo della pittura” di Claudio Massini a Casa Robegan

Il Museo di Casa RobeganTreviso ospita la mostra “Il corpo della Pittura” nella quale viene presentato, dal 24 marzo al 1° maggio 2017, il lavoro dell’artista Claudio Massini, un autorevole esponente della pittura contemporanea italiana, che da quarant’anni risiede a Casier, dove si è creato un vero e proprio padiglione di arte contemporanea, con tanto di sigla: “PArCo”.
L’ideazione e la progettazione dell’esposizione è di Giorgio Russi, esperto del comitato tecnico di Casa Robegan.

Claudio Massini (1955, Napoli) dopo  aver trascorso la prima giovinezza a Trieste si trasferisce a metà degli anni Settanta a Napoli per frequentare l’Accademia di Belle Arti.

Di padre triestino, ha studiato a Trieste all’Istituto Statale d’Arte e poi all’Accademia di Belle Arti di Napoli, città che gli ha dato i natali.

Di lui si possono focalizzare due momenti che tracciano velocemente alcuni dei più importanti traguardi della sua carriera artistica.

Il primo, quello iniziale, quando a soli vent’anni, ancora studente d’Accademia, nel 1975 fu invitato alla X Quadriennale Nazionale d’Arte di Roma e l’anno dopo, nel 1976, alla Biennale Internazionale d’Arte di Venezia nell’ambito del tema “Ambiente come sociale” dal curatore del Padiglione Italia Prof. Enrico Crispolti.

Sul finire degli anni ottanta ha partecipato a diverse iniziative artistiche con il gallerista Lucio Amelio di Napoli.

Ha realizzato mostre personali alla Galleria d’Arte Moderna di Bologna, al Mucsarnok Kunsthalle di Budapest, a Palazzo Sarcinelli di Conegliano, dove di lui si è occupato Philippe Daverio, ed in altri spazi istituzionali. E’ presente in collettive al Museo Revoltella di Trieste, al MART di Rovereto e al Museo Fortuny di Venezia, all’Institut National d’Histoire de l’Art di Parigi.

Nuovamente presente alla 54° Biennale di Venezia, Padiglione Italia, in Friuli-Venezia Giulia, a Campione d’Italia e nel 2012 e 2014 alla Prima Biennale d’Arte Contemporanea Italia – Cina tenutasi alla Reggia di Monza e al Distretto dell’Arte di Pechino.

Il secondo, il momento attuale,  si pone come un ulteriore traguardo professionale ed artisticamente consolidato quarant’anni dopo l’esordio alla Biennale di Venezia.

Dal 9 Dicembre 2016 al 5 Marzo 2017 Claudio Massini è stato presente al Museo Regionale di Messina nella mostra inaugurale del Nuovo Plesso Museale “Mediterraneo. Luoghi e miti. Capolavori del Mart”  insieme ad artisti come Carla Accardi, Alberto Burri, Anselm Kiefer, Fausto Melotti, Giorgio Morandi, Mimmo Paladino, Mimmo Rotella, Alberto Savinio, Antoni Tàpies, Giulio Turcato, Emilio Vedova.

Oggi la sua indagine tende ad una elegante figurazione in cui convivono elementi inanimati nell’incantesimo di improbabili cosmologie che anelano ad un assoluto instabile.

Il suo lavoro, di forte consistenza materico-pittorica, una sorta di metadecorazione, come è stata definita da Philippe Daverio, sembra uscire da un’alchemica bottega d’arte rinascimentale e si sviluppa attraverso un processo che tende ad arrivare alla ricreazione delle strutture elementari, ripartendo dai concetti di simmetria, punto, linea, prospettiva, forma, strati di colore, materia, corpo: il corpo della pittura, appunto.

Ennio Pouchard, parlando della mostra di Claudio Massini, scrive:

“Lì [nel “PArCo” di Casier egli] sviluppa il suo lavoro, aiutato da fidati assistenti che su ogni dipinto, realizzato da lui con precisione da miniatore, aggiungono decine di micro-strati di “pigmenti vegetali, minerali e chimici su tele di lino doppio lavato e triplo bollito”, marcando con solchi il disegno, di guisa che all’interno di ogni mini-area chiusa si creino delle studiatissime irregolarità, rifinite con micro-levigature per renderle “leggibili” anche a un tocco di polpastrelli. A conti fatti, un’opera di grandi dimensioni può richiedere centinaia di ore/uomo; ma le settanta relativamente piccole (tranne un paio) scelte per Casa Robegan, tutte di un unico collezionista, non sono meno impegnative. Raggruppate a seconda dei soggetti (“Rametti fioriti”, “Pagode e coralli”, “Interni e suppellettili” e “Fiale”, una ventina per tipo) e datate tra il 1998 e il 2007, sono, singolarmente, gioielli di fattura ricercata, da gustare perdendosi nell’estrema perfezione dei dettagli, rappresentando una forma geniale di reagire all’inesorabile imperversare del nuovo-per-il-nuovo. Ho sentito fare qualche paragone con le lacche cinesi, ma in quelle c’è il piacere del liscio assoluto; qui, il gusto dei rilievi minimi che creano riflessi differenti sotto ogni luce, arricchiti poi da qualche spruzzatina di poesia nei titoli: “Viaggi d’ombra del melo fiorito”, “La pagoda dell’aurora”, “Grappoli di tempo”, “Criptico blu”, …E i soggetti? Palazzi inventati, fiori, grani di cacao, interni da sogno, minestre (proprio così) di perle e, infine, le “Fiale” sottili, alte quasi due metri ed esposte tra i reperti archeologici conservati nel retro del museo.”

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