Il grande ozio (prima parte)

Il grande ozio (prima parte)

Da tempo vorrei vivere in un grande ozio. Un ozio senza limiti, placato tra un lungo inverno e una lunga estate, con appena una settimana di primavera e un’altra di autunno, simili a due giri di chiave per dare il trapasso alle due maggiori stagioni dell’anno.

Oziare in una valle chiusa, con molta neve che arrivi alle finestre del piano terreno, abitare una di quelle case di montagna, composte in massima parte di legno come un antico veliero, avere a disposizione una stanza larga, ma bassa, con un’edera che rivesta le pareti e il soffitto, con finestre a doppie vetrate e con una grande stufa di maiolica sopra alla quale potersi distendere e dormire, quando di fuori infuria la tormenta.

Avere una vecchia serva, inavvertibile, che faccia da mangiare in modo semplice, anche sempre a base di patate e di latte: gnocchi, zuppa di patate, riso e patate, pasta con patate e fagioli, patate in umido, patate alla tedesca con la cipolla, patate saltate al burro e poi quello squisito piatto montanaro fatto di polenta cotta tenerella da mischiarsi col latte freddo. E qualche volta, nei giorni di festa, con la crema del latte, faccia la panna da ghiacciare nella neve con la frutta candita o prepari il tortino di patate cucinato nel forno della stufa. Avere un lungo libro da leggere come Les mémoires di De Saint Simon o Le relazioni degli Ambasciatori Veneti o À la recherche du tempi perdu, leggere uno di questi libri che sono come labirinti immensi dove dopo essere penetrati è difficile uscirne. Libri che diventano simili a magiche città costringenti ad abitarle e a conoscere tutti gli inquilini di ogni casa. Perdersi negli innumerevoli appartamenti stringendo amicizie e antipatie, dimenticarsi nelle vicende degli abitanti diventati personaggi attraverso la descrizione meticolosa.

Foto di Pixabay

Non dare peso alla brevità delle giornate invernali, non fare calcolo delle ore scandite dall’orologio a pendolo o dal variare della luce sulle pareti della stanza. Non sapere né il giorno, né il mese e quando non si abbia voglia di leggere, di perdersi nei labirinti di lunghi libri, ascoltare invece la padrona di casa che racconta le vicende sue, dei suoi figli e dei suoi parenti, vicende sempre mischiate a guerre e a questioni di denaro, a nascite e a morti. Ascoltare mentre si sta disteso sopra alla stufa di maiolica e la voce monotona della padrona finisce col diventare una cantilena provvida al sonno. Svegliarsi al mattino alla luce brillante riflessa dalle nevi che filtra attraverso i vetri coperti di ghiaccio, attendere indolente la colazione e ricostruire i sogni nitidi della notte con riviventi persone e luoghi del tempo passato. Non avere smania di ricevere la posta, perché nessuno sa il nostro indirizzo e non si ha necessità di comunicarlo, non avere voglia di leggere giornali, di apprendere grandi e strepitose notizie, perché nel grande ozio invernale niente deve essere strepitoso fino a quando il sole avrà accresciuto la sua forza e allungato il suo giro. Quando si vedrà la neve scivolare in blocco dai tetti e i ghiaccioli delle grondaie sciogliersi sempre più rapidi fino a staccarsi e precipitare.

I pochi giorni di primavera siano come un irrequieto malessere con febbre nel cielo e nel sangue e poi entrare in una lunga estate, subito presente dai primi giorni, con un grande caldo che imponga decisamente di abbandonare le maglie e i vestiti pesanti. Un’estate così lunga, così sicura che non si debba fare il calcolo dei giorni buoni con l’ansia che siano gli ultimi: essere dilapidatori del tempo, come per una ricchezza senza fine, senza possibilità di intaccare mai il capitale fruttante.
Vivere una parte di essa lungo un ampio torrente con ghiaie e sabbie e isolette interposte.
[segue…]
Giovanni Comisso

da Il Mondo del 25 ottobre 1955
Immagine in evidenza: Foto di Pixabay

Share