Il Museo della Chiave “Massimo Bianchi”

Quando l’impresa crea cultura

La chiave. Un piccolo oggetto dal grande potere evocativo.

Affidiamo a questi pochi grammi di metallo la tutela delle nostre abitazioni, dei nostri luoghi di lavoro.

Ricevere le chiavi di casa, passaggio all’età adulta. Consegnare le chiavi della città, simbolo di  onore merito e riconoscenza. Possedere le chiavi del cuore, nessun amore è più forte. Scoprire la chiave di un mistero, simbolo di grande arguzia…potremmo continuare a lungo.

La chiave, in senso materiale e metaforico, va a nutrire un folto immaginario che si perde agli albori della civiltà: quale la storia di questo prezioso oggetto?

La scopriamo grazie a Massimo Bianchi, che nel Museo della Chiave di Scomigo ha raccolto la più grande e completa collezione privata di chiavi in Europa risalenti dal I secolo dopo Cristo ai giorni nostri. La passione per le chiavi Massimo ce l’ha nel Dna. Basti pensare che già nel 1770 Matteo Bianchi fu maestro di chiavi, e che Camillo fu un vero innovatore del sistema di duplicazione delle chiavi; a Massimo il compito di sposare tradizione e innovazione di questo mestiere tramandato di padre in figlio: Keyline ne costituisce l’indiscusso risultato.

Varcando la soglia del Museo Massimo Bianchi, abbiamo l’impressione di ricevere tra le mani un forziere. Colmo di sorprendenti e celate meraviglie: quasi duemila pezzi tra chiavi  lucchetti e chiavistelli provenienti da diverse epoche raccolti e catalogati da Bianchi stesso.

Cominciamo a curiosare…

La prima chiave che estraiamo è senz’altro quella del cuore, dei sentimenti, del rispetto della tradizione e delle culture.

Tutti elementi ben conservati nella borsa che fu di Camillo Bianchi, nonno di Massimo. Un cimelio di inestimabile valore, che rappresenta la continuità di un progetto tramandato di generazione in generazione. Immaginate solo che Camillo partiva dal cuore delle Dolomiti, dalle fucine di Cibiana verso valle, con una borsa piena di chiavi e che ad oggi Massimo, con lo stesso spirito di caparbia sfida, esporta i suoi prodotti in tutto il mondo.

Perché la passione di Massimo è anche sete di conoscenza antropologica, altro elemento chiave che possiamo estrarre dal forziere.

Lo troviamo perfettamente rappresentato dalle chiavi e serrature, risalenti al XIX secolo, delle popolazioni primitive del Mali: vere e proprie sculture lignee dalle forme vegetali o animali, col chiaro significato simbolico di proteggere le abitazioni dagli spiriti della natura.

Se rimaniamo in Africa, ma ci spostiamo in Marocco, ecco comparire un lucchetto dalle decorazioni astratte e geometriche, nel pieno rispetto della religione islamica.

Affidarsi alla ricerca Storica per interpretare il Presente, anche questo intento non può che animare la volontà di collezionare questi pezzi incredibili.

Ed ecco comparire, all’interno del forziere, le chiavi utilizzate dagli antichi romani, le più antiche della collezione, datate tra il I e il III secolo d.C.

Si tratta di veri e propri anelli. Perché questa forma circolare? Innanzitutto perché le toghe non avevano tasche, quindi le chiavi andavano indossate, come dei monili. Avevano inoltre un secondo utilizzo, fungevano da sigillo posto sulla cera calda, e, non da ultima, avevano una funzione simbolica molto importante: nel giorno del matrimonio lo sposo consegnava la chiave alla sposa e con questo gesto voleva affidarle  tutto il suo patrimonio.

Rispetto delle tradizioni, sete di conoscenza e ricerca storica però non bastano per creare un museo di tal fattezza. Necessitano pure  grande amore per il bello, per l’arte; e la ricerca della bellezza deve animare anche chi questo forziere lo vuole aprire.

Con gli occhi giusti si riuscirà a scorgere in tutto il suo splendore un lucchetto a forma di sole con un rubino in fronte, il pezzo più prezioso della collezione, ma anche lucchetti di provenienza orientale, a forma di pesce, di pipistrello, di cavallo o, con gusto completamente diverso, più massicci, provenienti dal Nepal, dall’India, dalla Cina.

Ancora l’ingranaggio non si dischiude del tutto, questo perfetto connubio tra desiderio di conoscenza che anima chi ricerca, possiede e assembla i pezzi e chi questi pezzi li vuole osservare, come per fermare in un attimo la Storia, questo connubio necessita  di  un approfondito studio della tecnologia;  il sistema di sicurezza sotteso al mondo della chiave di certo non potrebbe funzionare se alla base non ci fosse un attento studio di precisione.

Ed ecco che dal forziere escono opere di ingegneria che da rudimentali si fanno sempre più evolute.

Da un meccanismo a perni mobili aperto da una chiave a  pettine, si passa alla creazione di veri e propri capolavori di ingegneria in epoca rinascimentale, creati dai fabbri per rendere più sicure le abitazioni.

Si creano poi chiavi richiudibili come quelle delle auto moderne, oppure lucchetti particolarmente massicci, in particolare nella collezione se ne individuano tre, provenienti dalla Russia.

Torniamo in Europa con la nascita della combinazione numerica o letterale, il museo ne offre numerosi esempi, come offre esempi di manette: chiavi anche alla base del loro utilizzo. Ricordiamo per ultime, ma hanno una importanza fondamentale, le prime macchine duplicatrici, che hanno reso grande ed unico il lavoro della famiglia Bianchi.

Indubitabile che Bianchi non si limita a produrre ed esportare un prodotto, con esso produce ed  esporta anche cultura. Quella cultura materiale che rende unico il lavoro di un imprenditore nel nostro territorio.

Legata sì al saper fare, al produrre qualcosa di unico ma con voglia di conservare e tramandare un patrimonio anche culturale di grande valore.

Chiudendo lo scrigno abbiamo come l’impressione di esserci arricchiti, della storia di una famiglia, di quella di una grande azienda, di quella dell’umanità stessa, che si racconta in questo piccolo oggetto chiamato chiave.

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