Il Veneto di Giovanni Comisso. Verona e Vicenza

Vi proponiamo un estratto dalla monografia “Veneto” della collana “Attraverso l’Italia – Nuova Serie” del Touring Club Italiano. (Milano 1964)

Giovanni Comisso accompagna il visitatore dell’amato Veneto in un viaggio che inizia da Verona proseguendo per Vicenza…

VENETO

Avviene una magica influenza venendo dalla Lombardia, appena si rende visibile il lago di Garda per cui subito escono dalla memoria le parole di Dante:

 Suso in Italia bella giace un laco.

Il paesaggio supremo e inatteso di questo mare interno, dopo tanta pianura, suscita le parole ammirative e precise di Dante. Il lago si specchia in esse ed esse si specchiano nel lago.

Da questo lago incomincia il Veneto che si dischiude subito sulla sponda orientale con la sua promessa di vini pastosi e saporiti. Le valli che scendono dalle Alpi verso la pianura, anche senza essere percorse da fiumi, si diramano collinose formando quel complesso che viene chiamato dei monti Lessini. Qui vi è la famosa Valpolicella che corrisponde con i suoi vini a quelli di Bardolino sulla riva orientale del Garda.

Verona

L’Adige che scende per attraversare Verona porta con le sue acque fredde e impetuose l’aria delle Alpi. Verona romana e medioevale vive nella sua favola di Giulietta e Romeo conservando la tomba dei tragici amanti, che per merito di Shakespeare porta giornalmente visitatori romantici che fanno scendere nel cavo dell’ urna il loro biglietto da visita.

L’arena, anfiteatro romano, tra i più intatti d’Europa, continua a vivere nella sua funzione di teatro di massa con rappresentazioni liriche che vi si svolgono annualmente. La chiesa di San Zeno con la sua porta di bronzo testimonia l’arte plastica del primo medioevo che poi si vede più evoluta nel complesso delle tombe degli Scaligeri. Il castello con i suoi ponti merlati offre scenari ancora medioevali.

Ma Verona fino a qualche tempo addietro, quando il cavallo non era stato ancora escluso dai mezzi motorizzati nella sua collaborazione con l’uomo, offriva spettacolosa la fiera dei cavalli che si svolgeva a primavera, Nella notte primaverile andavano per le strade del Veneto e della Lombardia verso Verona torme di cavalli assonnoliti con coperte sulla groppa e le teste incappucciate, accompagnati da cavallari bislacchi che ogni tanto li aizzavano con grida simili a singulti.

Poi sul campo della fiera i cavalli riapparivano più potenti che mai, scattanti alla corsa, trainanti pesi immani, galoppanti tra lo svolazzo della criniera e della coda, inalberantisi superbi di minaccia e di amore.

Nelle stalle accanto: sauri, pomellati, morelli, pezzati e biancheggianti come in antichi tornei. L’azzurro risaltante dai neri mantelli e le macchie rosse, bianche e nere: un tempo desiderate in armonia con le vesti di alterni colori portate dagli armati.

Gli stallieri li accompagnavano sulla pista a coppie, vibrava il terreno allo scalpitare saettante, s’impennavano come per fiutare 1’aria più alta, le criniere splendevano d’iridi al sole. Altre coppie imbizzarrivano aizzate dagli stallieri solleticandole con battito di piedi sulla polvere o con il bastoncino di vimini e con grida allarmate e le coppie partivano al galoppo.

Accanto alle mura merlate, il fieno e la paglia odoravano tra le selle, le fruste, le bardature e i carri, risonavano parlate lombarde, emiliane, friulane e trentine, assieme a quelle degli slavi con stivali e panciotti di velluto e dei tedeschi fermi nell’ occhio calcolatore. Tra loro, venditori di carni calde e grasse, di salsicce, di dolci e di frutta.

Le trattorie attorno erano piene di gente vorace e nelle osterie traboccava il vino. Allora questa città sembrava come invasa da un esercito o da un popolo deciso di partire ravvivato ai primi sintomi della primavera balzana.

Il cielo si oscurava, nereggiava, pomellato di bianche nubi, occhi d’azzurro si aprivano e si chiudevano inquieti al vento e si frangeva una criniera di pioggia indorata dal sole obliquo, si alternava a una frustata di nevischio, l’aizzante rombo di un tuono, si impennavano questi cavalli di nubi superbi, minaccianti d’amore su nel vasto cielo sopra la città distesa tra i colli, il fiume e le sue mura arrendevoli all’impeto celeste ed animale.

Vicenza

Passato il piccolo fiume Arcole che sul suo ponte ricorda la grande vittoria di Napoleone contro gli austriaci e oltrepassati i colli di Soave con i suoi castelli intatti, si arriva in vista di Vicenza.

Queste città del Veneto sono ognuna come una piccola capitale consolidata in architetture pretese dalla potenza dei regimi feudali e comunali. Sono città inesauribili.

Per Vicenza, Palladio ha operato con una fantasia così illusionistica da fare credere che la città sia abitata da semidei.

Le strutture architettoniche antiche dimostrano di essere state elevate più per soddisfare lo sguardo che per dare una comodità di abitare.

Vi è un enorme palazzo con portici, logge, archi e colonne: la Basilica, che serve soltanto per contenere una grande sala, dove un tempo la comunità governante si radunava. E un grande ponte con balaustre, arcuato, serve soltanto per far passare i pedoni, altrove vi sono archi messi solo come elementi decorativi.

La città non posa su un terreno piano, in più di una strada si trovano salite e discese che si prolungano in prospettive di palazzi uno diverso dall’altro, gotici e rinascimentali, semplici, sereni, eterni, come per raffigurare la visuale di una città ideale, dove dai giardini attigui si possa intendere il canto degli uccelli.

Si cammina per queste vie maturate da una nobiltà ambiziosa che per ogni famiglia voleva non solo un palazzo e un giardino, ma che gli interni fossero popolati di statue dalla gradinata alla sala da ballo e che i cieli delle stanze fossero aperti ai sogni volanti di Giambattista Tiepolo.

Le piccole strade traversali incassate tra le case più vecchie della città, profumano di trattorie che effondono un delizioso odore di trippe o di baccalà, che sono i piatti favoriti da questa gente.

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