“La conca di Alano” di Giovanni Comisso

La conca di Alano appartiene ai ricordi della mia fanciullezza e a quelli della vecchia guerra. E’ una breve valle tra il Grappa e il Piave solcata da torrenti ghiaiosi e  irrequieti per essere immediati alle montagne che fanno di essa come un imbuto.

L’arco montano è formato dal Monfenera, dal Grappa, dai Solaroli, dal Cinesa e dal Cornela, simile a una piramide, che blocca nella stretta di Quero la strada lungo il Piave.

Quando nell’autunno del 1917 il nostro esercito ripiegò dalle Alpi, trovò in questa conca valido appoggio a ostacolare la discesa degli austriaci nella pianura. Insistenti furono gli attacchi, perché i nemici sapevano che era come il cardine di una porta e per arrivare al Po bisognava togliere e superare quell’ostacolo. L’annuncio della nostra prima resistenza tra queste montagne, dato dal bollettino, ravvivò di gioia il nostro generale che dal giorno di Caporetto era stato assopito come da un male profondo. Eravamo a Treviso, sistemati nell’albergo della Stella d’Oro e subito si ebbe la certezza che non avremmo ripiegato più. Il generale fece portare bottiglie di spumante e volle si brindasse alla vittoria che non poteva mancare.

Nella conca di Alano, al tempo della mia fanciullezza si andava a villeggiare d’estate. Alano, Quero, Colmirano, Fener allora erano più che sufficienti per farci godere il fresco.

Nel 1902 tra quella conca e la stretta di Quero si fecero le grandi manovre e il nostro Stato Maggiore deve essere stato ispirato dal Cielo se sedici anni prima, in piena alleanza con l’Austria, aveva potuto prevedere quella discesa lungo la valle del Piave per tendere alla pianura Padana.

Si era quindi già a conoscenza delle possibilità strategiche di quella zona per potervi resistete. Durante quelle manovre, noi ragazzi, in gita sul Monfenera, si giuocava a fare la guerra e si corse ad avvertire gli ufficiali che stavano nella grande osteria dei pastori che i soldati del partito invasore stavano avanzando su per il bosco di castagni.

Quel bosco che copriva tutto il Monfenera a settentrione, in un altro giorno della nostra villeggiatura doveva venire sconvolto da un ciclone turbinoso. Tutte le fronde ingiallirono, molti alberi secolari furono divelti, nella villa dei conti Loschi a Colmirano, bella di statue e di logge, dove si abitava, il vento e la grandine ruppero le finestre e le frutta e le foglie entrarono volando nelle stanze. Tutta la conca di Alano venne mal versata e desolata da quel ciclone che ora appare come una prova generale di quello che sarebbe venuto dopo, con la guerra. Gli Austriaci non riuscendo a superare la conca di Alano si trincerarono sulle montagne a settentrione e noi su quelle dall’altra parte, così la conca rimase intermedia come terra di nessuno dove andavano le nostre pattuglie con la parola d’ordine come negli assedi. Quei motivi dove risonavano i canti, i richiami dei pastori e i campanacci delle mandrie nei grassi pascoli riecheggiarono ai rombi dei cannoni e delle bombarde. Tutti quei paesi divennero cumuli di rovine e arsero i boschi.

Durante la battaglia del giugno del 1918 gli austriaci con grandi mosse tentarono di superare il cardine del Monfenera, ma mentre attraversavano i torrenti del fondo valle furono annientati dai nostri tiri a gas asfissiante. Quando con la vittoria finale passammo oltre si videro ancora sulle ghiaie di quel greti il giallo dei gas micidiali.

Sull’Asolane e sui Solaroli, che formano il complesso del Grappa, l’ultima battaglia fu aspra e sanguinosa per la resistenza degli ungheresi, ma i nostri arditi la superarono e per la valle di Seren raggiunsero Feltre. II Piave era disseminato di barconi abbandonati nei diversi tentativi di passarlo, le strade erano ingombre di truppa e di carriaggi nell’avanzata verso settentrione. A Fener il ponte sul Tegorzo era crollato e si stava facendo una pista di fortuna sul greto. Impaziente con il ricordo di quei posti delle nostre villeggiature procedei solo a piedi, fissando ai miei soldati l’incontro a Quero nella piazza della fontana. Ma quando arrivai tra le macerie non si riconoscevano più le strade né le piazze. Qualche borghese spaurito e affamato veniva incontro a noi.

Dovevo raggiungere il comando che, dopo avere valicato le montagne stava nella valle di Schievenin. La stradina era ingombra di pezzi d’artiglieria austriaca e di materiale di ogni genere abbandonato nella fuga. Per quella stradina, durante le villeggiature nelle estati di pace si andava in carri trainati da buoi con le nostre famiglie a Schievenin a mangiare i polli in umido con la polenta e ancora ricordavo la freschezza di quel torrente, che attraversa la valle dove ci si divertiva a guazzare. Portai al comando della mia divisione l’annuncio della fine della guerra e un ufficiale lo lesse ai soldati che erano accampati attorno. Subito seguirono grida, fuochi e spari di gioia. Il comando della mia divisione stava in solidi baraccamenti occupati prima dalla divisione austriaca che si contrapponeva alla nostra, alle pareti vi erano appese caricature del nostro esercito, noi si beveva i vini abbandonati dagli ungheresi e in quella valle di Schievenin per me era ancora una festa come nei giorni estivi della mia fanciullezza.

Ora nell’umido della conca di Alano il verde dell’erba e delle fronde ricopre ogni ferita.

Rimane solo a Colmirano il cumulo delle macerie della villa dei conti Loschi e qualche casa colpita, inutilizzata. Nuove case sono sorte con la violenza di piante novelle. Dai paesi risorti si sente il suono delle campane raccolto nella valle.

Ancora le nuove generazioni amano questa villeggiatura estiva e nei cimiteri di guerra i morti di quelle battaglie, di una parte e dell’altra, riposano al vento incessante che scende con le acque del Piave.

Giovanni Comisso

Il Gazzettino, Giovedì 22 luglio 1965

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