La Patria del Friuli - Il viaggio in Friuli di Giovanni Comisso

La Patria del Friuli – Il viaggio in Friuli di Giovanni Comisso

L’entrata nel Friuli fu stupenda. Imperversava una burrasca di inizio di primavera con vento e pioggia, ma sui monti nevicava. Le nere nubi si dissolvevano al contatto dei monti, che si intravvedevano nel biancore, illuminato dall’alto. Tutta la pianura era circondata da questo biancore, e poi venne la notte: ma al mattino rasserenato verdeggiò la pianura, e nitide, vicine, bianche nelle vette, tutte le montagne diedero esatto il senso di questa terra e della sua gente.

La potenza di questa cerchia di montagne, imminenti alla pianura erette in forme di baluardi longitudinali è tale da plasmare conforme ad esse il volto di questa gente. La loro fronte è comunemente larga e alta. Per gli uomini viventi sempre in aderenza all’aspetto di queste montagne, non deve essere diverso dalla mucillagine di un’ostrica chiusa nella sua conchiglia. Modella che cerchia di questi monti la loro fronte; e la serenità del cielo, la limpidezza del loro sguardo.

Il Monte Cellon (foto di Mikmaq, Wikimedia Commons)

Queste montagne dominanti, protettrici, benefiche nel dare un clima di serra alle colline fruttifere, delimitano la cosiddetta Patria del Friuli. Sono il marchio di questa terra che la rende inconfondibile e indimenticabile. Possono i friulani emigrare in tutte le parti del mondo con uno spirito avventuroso, dato dai loro torrenti irrequieti, ma non possono mai dimenticare la loro Patria e non ascoltarne il richiamo. Se partono, se vanno lontano, devono pur un giorno ritornare a cantare ancora nel loro paese natale le canzoni di malinconia e d’amore, e risedersi attorno all’antico focolare, dove gli avi passavano le sere d’inverno.

Risaltano sui colli nella pianura i gelsi perfetti, tenuti con cura estrema, non aggravati dalle viti, potati simmetricamente in ciocche che sembrano le dita di una mano. E le case dei villaggi nella muratura compatta, tra sassi e macigni tolti ai torrenti, sembrano fortezze anche per i muriccioli merlati che chiudono i cortili o le vigne. Talvolta questi villaggi sui pendii sono sovrastati da una torre quadra dove si vedono le feritoie che un tempo calavano vigilanti gli armati, e certe case all’entrata del villaggio serbano ancora simulato tra i sassi lo spioncino rivolto verso l’imbocco della strada.

Torre e Castello_di Udine (foto di Pietro Scerrato, Wikimedia Commons)

Terra di felice, amorosa e canora pace, alternata sempre a guerre, e invasioni, a minacce, che sono come una potatura che rafforza.

Dopo di esse sono riapparse e rafforzate tutte le tradizioni di pace, prima fra tutte l’ospitalità accogliente. Sono come riemerse da un’alluvione le feste di campagna allietate dalle danze e dai canti, da questi canti friulani che sono una voce fluente, triste sulla pianura, ma riecheggiata in un tono più alto, capriccioso, allegro dalla chiostra dei monti che definiscono l’amata terra. Le donne non possono nascondere la loro dolcezza interiore, tanto è fatto di cielo sensibile il loro sguardo, e gli uomini, se appaiono rudi e pietrosi al primo incontro, è solo per la loro discendenza guerriera, per la loro secolare missione di uomini d’avanguardia sul confine: ma è un’obbligata e male sopportata corazza che, eliminato ogni sospetto, subito lascia erompere un grande cuore generoso d’impeti amicali.

La Patria del Friuli non è una regione, ma una vasta casa, e sono le montagne chiudenti come le pareti, e le vallate le strette finestre a tramontana, e l’orizzonte aperto verso il mare come il lungo ballatoio a solatio, e il cielo ampio e tutelare è come questi tetti, che si costruiscono con larghe sporgenze per riparare in pieno la casa; e Udine col suo castello dovunque visibile, quasi nel centro della pianura, è come il sacro focolare che raccoglie al suo tepore gli antichi ricordi, l’ordine e le tradizioni della gente, come di una famiglia. Non gente vana, come in altre regioni che non conoscono questa severa consegna. Rifiuta le sfuggenti novità, e ognuno possiede la sua idea sulla vita per conclusione di sue esperienze. Non ascoltano le chiacchiere forestiere, soffrono in loro stessi fino ad arrivare con le proprie forze alla risoluzione di una necessità piuttosto che umiliarsi a chiedere ad altri il consiglio e l’aiuto.

Alpi Carniche (foto di Silvio Puntel, Wikimedia Commons)

Amano e lavorano, come si cesella un gioiello, la terra con la quale non hanno riservatezze, e usano bovini possenti a chiazze fulve mansueti negli occhi biondi, e vacche salde, e vigorose nelle zampe che non scontano questa forza con miseria di mammelle. Perché di lavoro e di latte questa gente si nutre. Anche da uomini i friulani chiudono la loro cena sia pure avendo pasteggiato col vino, con una grande tazza di latte, che è come una comunione con la loro terra, come un adagiarsi prima del sonno in un ritorno all’infanzia, al petto della madre.

Giovanni Comisso

da Il Gazzettino del 02/01/1949

Immagine in evidenza: Tarvisio, Fusine in Valromana – Chiesa parrocchiale (foto di Johann Jaritz, Wikimedia Commons)

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