Giovanni Comisso - La Villa Ghirlanda ad Onigo di Piave

La Villa Ghirlanda ad Onigo di Piave

Il salottino della Nobildonna Pina Ghirlanda, nella sua Villa di Onigo di Piave è in mezzombra.
La campana di vetro sul mobile, con la magnifiche frutta di cera, le miniature nella cornica ovale nera sulla parete, la fiorentina d’argento sul tavolino rotondo hanno aspetti isolati d’attesa.
Una finestra è aperta; di fuori è abbassata una tenda blu, a soffi caldi l’aria entra. Nella stanza attigua il vecchio servitore si diverte a caricare l’orologio a pendolo.
Nel campo davanti alla villa i contadini tagliano la prima erba e si sentono parlare. Maggio 1841!

La nobildonna Pina Ghirlanda vi era entrata poco prima. S’era guardata appena ad un piccolo specchio, aveva messo a posto qualche oggetto.ma sentito improvviso il rumore di una carrozza sulla stradetta sassosa del borgo, ne era subito uscita correndo.
La carrozza era proprio l’attesa. Il poeta Giovanni Prati v’era dentro, sorridente al finestrino. La carrozza dalle solide ruote, polverosa (veniva da Treviso) tirata da due buoni cavalli grecidalla piccola testa, passò sotto alla grande pergola tesa tra la casa e la rimessa.

La Nobildonna, in crinolina crema, con i suoi capelli neri spartiti, le va dietro finchè si ferma, tendendo la sua mano grassotina a quella del poeta, che continua a sorridere stretto nel suo cravattone nero.
Il poeta discende, col suo bastone d’avorio, baciando la mano che non aveva lasciato fuggire dalle sue.
Intanto il portone di tavole veniva chiuso in faccia ai contadini curiosi del forestiero.

Giuseppe Mazzini

Ti porto i saluti di Mazzini
Dove l’hai visto?
A Torino, egli attende molto da noi.
Ed attraversarono il giardino caldo e pieno di farfalle per entrare nella fresca saletta d’ingresso.
Raccontami, raccontami le ultime nuove, cosa avete deciso di fare; dimmi?
Fare l’Italia, mia cara Pina!
Siamo tutti pronti, Giovanni X, tutti! Guarda le stampe delle tragedie di Alfieri, come anch’esse gridano: Libertà, Libertà!
Libertà, Libertà! Ecco, Pina, il grido che deve echeggiare per tutta la nostra terra!
E presi per mano salirono le scale dai facili gradini per andare nel salottino in mezzombra che li aspettava .

Apriamo l’album della N. D. Ghirlanda.

Poiché in questo giocondo angol diviso
Dai fatui chiassi, in securtà ragiono
Con una gente d’ingeguo viso
Testimonio del cor semplice e buono;

Poiché per rara grazia, ospite sono
Di due begli occhi e d’un celeste riso,
Non porto invidia ai principi sul trono
Né alle schiere di santi in paradiso.

Qui, difesa dal tedio e dai dolori
Trasvola come un zaffiro di vita
Su un tappeto di pampini e di fiori.

Stolto, che in troppe brame si disperde,
Se una parca può aver mensa romita,
Un’aura fresca ed una zolla verde.

Sotto è firmato G. Prati.
Giovanni Prati

Dalla poesia stessa che si riferisce al luogo e alla persona signora del luogo, si intravede come doveva essere lieta la vita nell’estate del 1841 nella Villa Ghirlanda ad Onigo di Piave. Ospiti dei “due belli occhi”, oltre al Prati, vi erano altre persone letterate e politiche più o meno, venute chi da Cittadella, chi da Feltre, chi da Padova, chi da Venezia, i cui nomi vedo segnati qua e là nell’album sotto incipriare poesiole d’Arcadia. “Difesa dal tedio e dai dolori/ trasvola come un zeffiro la vita” in ozio apparente di gite sui colli o in carrozza per i bei villaggi lungo al Piave e sotto Montebelluna, ma anime italiane come erano e persone tra le più di moda dell’epoca, dove potevano condurre i loro discorsi se non intorno alla Patria schiava? Si preparavano forse così uomini e cose per quelli che poi furono i moti rivoluzionari del ’48 a Padova e a Venezia.

Festosa tra la brigata, saltellava e guaiva Duska: la cagnolina prediletta del figlio della N. D. Ghirlanda, il giovane Pino.

Ed ecco nell’album un’altra poesia del Prati.

Alle ceneri di Duska

Eri si bella
Dusketta mia!
Eri una stella
Di leggiadria.
Sciolta in cortile,
Agile al giuoco,
Cupida all’esca
Vinta al sapor.
Eri gentile,
Per ogni loco,
Polita e fresca
Siccome un fior.
Nata alle glorie
Dei Cacciatori
Senza vittorie
Dunque tu muori!
Né alla fatica
Di fiutar l’erba
La tua bravura
Ti consacrò…
Povera amica,
Se te si acerba
La sepoltura
Precipitò.

E al reo tuo fato
Cedesti, o cara
Ne t’han portato
Doppier né bara!
Il pino a questa
Sottile auretta
Della collina
Ristorerà;
Ma a fargli festa
La prediletta
Sua cagnolina
Non troverà!
Duska vivace,
Duska amorosa
Nella tua pace
Dunque riposa!
Or fanno intoppo
Su queste porte
Cani diversi,
Ma senza onor;
Vero è purtroppo
Che l’empia morte
Lascia i perversi
Fura i migliori.

E quando Pino Ghirlanda ritornava dall’Università di Padova alla sottile auretta della collina, incominciavano le partite di caccia e certe di tresette talmente chiassose e furibonde da dover costringere il Prati a scrivere un piacevole sonetto ove dettava appunto gaiamente, le norme del giuoco. Sonetto, che ricordo manoscritto, appeso alla parete del tinello della villa, e che andò perduto sotto alle macerie.

1848! Nel Veneto la rivoluzione scoppiò e fallì. L’Austria riprendendo il dominio si diede a tagliare corto. Perseguitò, arrestò, deportò, fece scomparire. Incominciarono gli esilii, incominciarono le pene, ma si ritemprarono le fedi. La N. D. Ghirlanda esiliò col Prati a Torino. Per strade diverse furono raggiunti dagli amici. La villa di Onigo di Piave si chiuse e rimase tranquilla. Una notte vi sostò di passaggio Pino con Ettore Cazzaor, uno dei principali incaricati pel presidio mazziniano, ricercati dalla polizia. Vi sostarono per attendere un contrabbandiere, pratico dei varchi, che li portasse attraverso Grappa in Valsugana, e di lì sempre attraverso i monti in Piemonte.

La villa restò chiusa, il giardino si riempì d’erbe. A Torino la N. D. Ghirlanda ricca di sostanze ed il Prati di poesia e fede, con loro amici formarono di nuovo il loro centro di vita al motto “LIBERTA’”. Furono consumati denari, e molti si esposero al pericolo delle più gravi pene, ritornando nel Veneto e ricercare amici, ad incoraggiare perplessi, a procurare fughe per rinforzare così le schiere delle legioni dei volontari veneti.

1859! Ad Onigo di Piave si sentiva il cannone: tuonava vittorioso a San Martino e a Solferino!
La vitta attendeva i suoi ospiti.

Battaglia di Solferino, 1859 (A. Adam – Bibliothèque nationale de France)

Passarono anni, uomini, avvenimenti. La storia seguì il suo corso. Molti amici si dispersero nell’oscuro della vita faticosa. Molti morirono. Così il Prati, così la N.D. Ghirlanda! Il Veneto passò all’Italia, la villa si riaprì. Vi ritornò Pino coi suoi amici per riprendere le liete partite di scacchi e di tresette. Venne il secolo nuovo ed attorno alla vecchia villa e all’ultimo personaggio, ormai vecchio, s’iniziava appena l’ultimo atto. Come nella giovinezza degli uomini, così in quella di questo secolo, ecco si scatena terribile un uragano di crisi d’assestamento tra le nazioni! Italia e Austria sono nuovamente di fronte. Pino Ghirlanda, nei periodi di licenza, mi invitava alla sua villa e come mi vedeva arrivare vestito da soldato: “Come va la vita al campo?” mi chiedeva. Oppure: “Ma i Piemontesi dove son arrivati?”.

Sentiva questa nuova guerra, lontana per lui, attraverso gli aspetti della guerra che aveva visto da giovane. Al campo! Piemontesi! Altro che campo! Gironi dell’inferno!

Non solo che Piemontesi! Ma anche siciliani sangue nero, romagnoli sangue che bolle, bergamaschi, sanniti, veneti: tutta gente lupa!

Soldati italiani, classe 1888

28 ottobre 1917! Nel cortile della villa passano davanti al vecchio Pino seduto, i contadini portando sulle spalle le bigonce cariche di ceste colme d’uva.
E’ venuto il giornale?
Signor sì, eccolo, sono venuto appunto per leggerglielo perché pare che al fronte sia successo qualcosa di brutto…
Cosa volete che sia successo? Non venite mica qui a contarmi delle storie per farmi passare il tempo!…
No, no, Sior paron, dicono che i Tedeschi sono arrivati a Udine e che vengono avanti. Si spera che si fermino al Tagliamento, ma intanto in paese tutti dicono che bisogna scappare, perché non si sa mai…
Sono matti, tutti matti!
I contadini che portavano le ceste d’uva, s’erano fermati ad ascoltare i discorsi del padrone col fattore, e qualcuno azzardò: “Ma sior paron, almeno la boaria sarebbe bene mandar giù verso le basse…
Olè! Siete impazziti, anche voi a spaventarvi così? Anche se passeranno i Tedeschi, cosa volete che facciano? Guardate la sulla facciata, sotto la finestra, c’è appena un segno, lo vedete? L’ha fatto una palla che veniva da Cornuda, quando sono venuti la prima volta, ed io ero bambino.”
Ma, sior, adesso i cannoni tirano più forte, bisogna sentire che hanno fatto, e come niente buttano giù le case…
Andate là che mi seccate! Quanto fa quel cesto?
Ventisei chili, paron…

Artiglieri italiani in azione (Archivio Fotografico Bernini Enrico)

All’apparire dei primi cannoni trainati in confuzione, dei carri e dei soldati che venivano alla rinfusa, il vecchio Pino cominciò a capire che la cosa era seria, ma non pensò di partire. Le donne di casa, i suoi contadini cercavano di persuaderlo, in uno di quei giorni verso sera.

Anderà a finire male, sior paron…
Tutti ammutolirono.
Cosa è stato?
Brontolò il vecchio. Tutti si guardarono in faccia. Le donne scoppiarono in pianto. S’era sentito il primo colpo di cannone al di là del Piave! Nella notte si sentirono altri colpi ancora. Poi fortissimo quello del ponte di Vidor che saltava in aria. La villa si riempì di soldati.

Il vecchio non capiva più niente. Le donne misero un materasso su di un carro. I contadini vi attaccarono i buoi. Caricarono la poca roba, altra la seppellirono. La mattina dopo alla prima luce partirono.

Lungo la strada, nel bosco, al passo lento dei buoi, col carro che traballava, videro dei piccoli cannoni, che venivano messi in posizione, dai soldati, pestando le siepi dei loro campi.

Si chiudino gli orecchi!
Gridò un caporale a quella povera gente, ma non capirono. Un rombo parti galoppando per l’aria. Sul carro le donne ed i bambini si rannicchiarono senza dir parola, intorno al vecchio intontito.

Le grosse batterie austriache da Valdobbiadene, da Soligo, già sparavano su tutti i gruppi di case e alla fine di quel giorno il cielo impassibile della sera, apparve attraverso il tetto sfondato del salottino della N.D. Pina Ghirlanda.

Giovanni Comisso

Il racconto è stato pubblicato sul quotidiano “Risorgimento” il 22 settembre 1921

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