L'impossibile ritorno

L’impossibile ritorno. I ricordi d’infanzia di Giovanni Comisso

Attraverso i vetri della finestra guardai cumuli dei vulcani franati sul piano. Un po’ d’ombra nel sole fa mutare ogni tanto il loro colore lontano. La giornata pare quasi di primavera e i miei pensieri accompagnati da una musica da nulla, ànno germogli di tristezza mai provata per le anime vissute su questa terra con le stesse passioni come le mie.

Un cappello sul capo, e vado per il sentiero dei campi, toccando le gemme ingommate delle siepi. Il volto di un contadino giovinetto si confonde con un ramo fiorito, intanto che, beato della sua carne monda, si gode a cantare. Sulla collina gli uomini inginocchiati rialzano le viti, mentre i cani felici si rincorrono attraverso i campi.

Il sole occupa ormai tutto il cielo. Un campo verde e un altro giallo. Una farfalla si ferma un attimo sulla mia testa che odora di rosa. I cavalli danzano legati agli alberi.

Penso alla seta di certe matasse di zucchero, manipolate su di una tavola in mezzo a un prato. E a certe casse di mandarini su di un carro che saliva per una strada: le casse si sfasciarono e tutti i mandarini rotolarono giù per la strada. Ma certe cose, perché si ricordano ancora?

Il tramonto già arrossa tutti i vetri della casa. Sulla porta del giardino sto masticando il pane fresco, che era stato comperato per la cena. Ove troverò ancora quel sapore della fame a diciassette anni?

Le spalle si incarnano sulla croce delle mie ossa e i capelli amano l’aria. Alla mattina nello specchio gli occhi si trovano spenti, come davanti al bianco della neve caduta e alla sera mi conduco stanco per i marciapiedi delle strade abbandonate.

Foto di Tim Mossholder da Pexels

Ma chi sapeva perché andavo in campagna? Mi aspettavano le bisce a fuggire dai posti mai passati, ove balzavo innamorato dai tronchi degli alberi, dell’alta erba, della sorgente, dei fossili leggeri nella creta, del contadino che mi parlava di Dio creatore, e le pecore ci mordevano l’erba accanto.

Il viottolo era corridoio tra i campi: stanze da letto per i nostri amori giovanetti. Noi mungevamo in ginocchio sotto le viti i grossi grappoli. La testa dolce, come una preghiera, si meravigliava di me. Morivano gli alberi scavati dalle formiche eterne e le piantine della terra sotto i nostri piedi caparbi.

Ritornare nelle sere d’inverno alla mia casa dalle stanze calde, e certe mani che mi che mi levavano le scarpe bagnate. Ma chi mi preparava le tele ricamate? Mi ricordo della mia culla limone e delle mie piccole dita a graffiare la stoffa. E la mamma che spegneva la candela: “Fa’ bei sogni, tesoro”. Eppure mi sembra di staccarmi dal suolo.

Giovanni Comisso

Da Quaderni Internazionali “Prosa”, Medusa Mondadori, 1946.
Immagine in evidenza: foto di Johannes Plenio da Pexels

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