Mariapia Veladiano, Una storia quasi perfetta

Editore: Guanda

Una storia quasi perfetta è quella che si svolge tra un Don Giovanni dei giorni nostri e la sua vittima; ma la dinamica non è prevedibile e va in scena un inatteso riscatto, che testimonia la capacità insospettabile di riappropriarsi della propria vita.

Sinossi:

Un amore così perfetto. O è solo la storia eterna della vittima e del seduttore? Lui è il proprietario e l’anima di un’azienda di design per collezioni di moda, carte e oggetti. Lei, Bianca, insegnante di discipline pittoriche in un liceo delle arti, gli propone una serie di disegni ispirati ai fiori. Disegni bellissimi, luminosi, unici. Lui se ne innamora e, come fa sempre, decide di prendere non soltanto l’opera ma anche l’artista, singolare e incantevole come quei disegni.
Comincia il corteggiamento, ma presto si accorge di essere lui ad avere bisogno di lei, conquistato e allo stesso tempo sconcertato dalla sua purezza quasi spirituale, dalla sua natura appassionata ed esigente, dalla gratuità dei suoi gesti, dalla sua vita con il figlio Gabriele in una casa piena di piante e di acqua che fa pensare a un piccolo paradiso. Bianca vuole credere a quell’amore, si abbandona. Ma lui ha già ottenuto ciò che voleva e, a poco a poco, come fa sempre, inizia ad allontanarsi.
Il mondo intorno osserva immobile. È la provincia elegante e crudele della chiacchiera, che spiuma la verità e la sparge dalle finestre dei palazzi. Tutti a vedere. Tutti pronti a dire come va a finire quando si entra nel gioco di un seduttore. Ma non sempre le storie sono già scritte dall’inizio.

 

Qui le prime pagine del libro.

 

Dicono del libro:

Lorenzo Mondo su «TuttoLibri», supplemento de «La Stampa»: «In questa “storia quasi perfetta” nelle sue evidenze, si colgono increspature, insorgenze, che la proiettano su un piano diverso, di elevazione simbolica. […] Mi sembra però aleggiare nel romanzo di Mariapia Veladiano, che ha pratica di filosofia, il nome di Kierkegaard: il suo Diario del seduttore, l’ansia di una vita diversa che si realizza nel “salto” oltre l’abisso della noia e della disperazione. Con questi indizi, reali e ipotizzati, quella che ci viene raccontata è la storia di una salvazione: forse differita o elusa, ma coltivata da una cocente ferita».

Ida Amlesu su «L’Unità»: «Una storia quasi perfetta è un romanzo di delicata normalità che nelle pieghe della sua limpidezza nasconde un’analisi lucidissima e a tratti spietata sulla natura dei sentimenti – per chi li prova e per chi non li prova. Quello tra Bianca e il seduttore è un tentativo di incontro tra due universi nati forse per non unirsi mai: quello di chi conosce la gioia e il dolore e quello di chi non conosce il dolore e quindi non distingue la gioia. Un universo, quest’ultimo, scandito da un unico sentire: quel persecutorio, snervante senso di fastidio quando le cose non vanno come verrebbe comodo».

Tutte le recensioni sul sito dell’autrice.

L’intervista all’autrice in «Sul romanzo».

 

L’autrice

Mariapia Veladiano è nata a Vicenza. Laureata in Filosofia e Teologia, ha insegnato Lettere e ora è preside. Collabora con Repubblica e con la rivista Il Regno.
Il suo primo romanzo, La vita accanto (Einaudi Stile Libero, 2011) ha vinto il Premio Calvino 2010 ed è arrivato secondo al Premio Strega 2011. Sono seguiti il romanzo Il tempo è un dio breve (Einaudi Stile Libero, 2012), il giallo per ragazzi Messaggi da lontano (Rizzoli, 2013), Ma come tu resisti, vita (Einaudi Stile Libero, 2013), raccolta di riflessioni sui sentimenti e le azioni, e Parole di scuola (Erickson, 2014), liberissimi pensieri sulla scuola.

Dicono di lei:

Fulvio Panzeri su «Avvenire»: «Mariapia Veladiano si conferma una delle scrittrici più importanti di questi anni, per la capacità di sviluppare in profondità tempi assai complessi. Lo fa raccontando le relazioni tra individui, mai lineari ma che affondano la loro verità nel dolore e nella capacità di trovare forza e speranza per tornare a guardare in faccia la vita».

Leonetta Bentivoglio su «La Repubblica»: «Mariapia Veladiano è una scrittrice “di maniera”, nel senso che plasma il suo linguaggio in un continuo artificio, scansando la naturalezza del discorso. Ora gioca sull’assemblarsi di due o più parole in una sola, per esempio inventando avverbi come “chissadove” o locuzioni tipo “cielobenedetto”; ora adotta termini inusuali e giri di frase ritmicamente anomali. Un manierismo che non consente al lettore di specchiarsi nei personaggi, instaurando una sorta di diaframma estetico che può piacere o disturbare».

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