"La famiglia degli altri" di Elena Rui. Recensione e intervista

Nelle famiglie degli altri troviamo noi stessi. Intervista e recensione a Elena Rui

Siamo sempre tentati, quando leggiamo un libro, di mettere in relazione le pagine che sono state scritte con la vita dell’autrice o dell’autore che quelle pagine le ha create. Credo sia un istinto naturale per la maggior parte dei lettori. Temo però che questo tipo di interesse, a volte morboso, non faccia altro che distogliere la concentrazione da quello che dovrebbe essere l’aspetto più importante: la comprensione di ciò che quel libro che abbiamo tra le mani sta cercando di comunicarci.

Elena Rui, l’autrice de “La famiglia degli altri” e Marta, la protagonista del libro, hanno indubbiamente alcune informazioni biografiche in comune, ma mi piace pensare che ciò che autrice e personaggio condividono non sia altro che un background, uno sfondo ben delineato e marcato e che subito le loro strade si dividano per non incontrarsi più.

Marta è una donna padovana che, a un certo punto della propria vita, come reazione a tutto ciò che la circondava nella sua città natale, decide di allontanarsi dei panorami familiari e si trasferisce in Francia. Si stabilisce a Parigi dove riesce a crearsi una vita professionale molto più che dignitosa e dove si sposa con Antoine e ha una figlia, Giulia, di tre anni e mezzo. Con Antoine le cose non vanno nel migliore dei modi, i due danno vita a quella che potremmo definire una coppia aperta. Vivono separati, ma ognuno dei due guarda le spalle dell’altro e la gestione di Giulia, una bambina molto intelligente e dotata, procede con qualche scossone.

C’è comunque una certa tensione tra i due. Antoine vorrebbe ritornare a vivere con Marta, nella discussione che segue cerca anche di mettere al centro della scelta la figlia, come se la sola presenza della bambina dovesse essere la risposta a tutti i loro dubbi e la ragione per ritornare agli schemi passati.

Marta ha generato attorno a sé una forma di equilibrio che sembra rappresentarla, ma quando riceve una telefonata da Padova che la costringe a tornare in Italia si rende conto che l’equilibrio che ha faticosamente conquistato poggia su basi tutt’altro che solide. Dal passato rispunta un vecchio amore turbolento, qualcosa che la fa tornare ragazzina e che ha il potere di scombussolarla anche dopo che sono passati dieci anni. Marta ora può decidere di rifugiarsi nell’equilibrio che forse era solo una menzogna oppure provare a scavare in profondità dentro a sé stessa per capire se ciò che prima considerava una certezza granitica non avesse già in sé le crepe di un’imminente distruzione.

Nel libro poi c’è lo spirito della relazione per eccellenza, quella tra Simone de Beauvoir e Jean Paul Sartre, una relazione in cui gli adulteri di uno e dell’altra venivano trattati alla stregua di esperimenti sociali, perché forse, solo in quel modo, era possibile gestirli.

Quella che ho riassunto è la trama de “La famiglia degli altri”, un libro che costringe il lettore a non smettere mai di riflettere assieme alla protagonista. Marta, la voce più forte dell’opera di Elena Rui, è una persona estremamente riflessiva, introspettiva, mai stanca di analizzare il comportamento proprio e degli altri; continua a rimestare dentro di sé più alla ricerca di ciò che può avvalorare le proprie teorie piuttosto che confutarle, ma qualsiasi ragionamento, anche il più solido, non può prescindere dal fatto che ognuno di noi è inserito in un sistema sociale che ci costringe a ricalibrare continuamente ciò che sentiamo di essere.

Ecco quindi che Elena Rui ci consegna la storia di una donna che cerca di essere sé stessa fino in fondo, che non ha tempo per la coerenza e i limiti da essa imposti, ma che non trova mai, nel giudizio degli altri, un motivo per desistere. Una donna a caccia di un sistema di valori che non sia ipocrita.

La scrittura lucida, l’aggettivazione precisa e una mai troppo abusata attenzione alla “Mot juste” rendono “La famiglia degli altri” un libro che mantenendo degli echi legati al passato sa incastonarsi perfettamente nell’attimo in cui viviamo e ci dà la possibilità di accompagnare Marta, la protagonista, in un viaggio che può procurare benefici anche al lettore.

Gianluigi Bodi

L’Intervista

(Gianluigi Bodi): A me è parso che Marta sia, fin da subito, in preda a forze che da una parte le intimano di lottare per mantenere intatto il proprio essere sé stessa, ma che dall’altra parte la mettono continuamente davanti al giudizio degli altri e alle convenzioni sociali. Quanto c’è della tua visione del mondo in questa tensione?

Elena Rui

(Elena Rui): Moltissimo. Mi sento molto in sintonia con la massima che in A porte chiuse Sartre attribuisce a Garcin: l’enfer c’est les autres (l’inferno sono gli altri), perché percepisco lo sguardo degli altri come una forza che ci inchioda a una versione di noi stessi immutabile e senza sfumature, con cui non è possibile coincidere completamente. Credo che questo sentirsi definiti dallo sguardo altrui si sperimenti in ogni contesto sociale, ma in particolare nei legami stretti, come quelli familiari e soprattutto nei rapporti di coppia. L’altro sa perfettamente, e non manca mai di ricordarcelo, chi siamo. Lo sa meglio di noi, lo sa sempre, in ogni istante, perché ha memoria di azioni o affermazioni passate che noi vorremmo dimenticare ed è impossibile sfuggire alla sua interpretazione di noi stessi e alle predizioni su quello che saremo.

Ci sono due presenze che aleggiano fin dall’inizio e che in qualche modo fungono da poli per alcuni dei ragionamenti che Marta fa sulle relazioni tra uomo e donna, si tratta del rapporto Beauvoir/Sartre da una parte e del libro della stessa scrittrice francese “Il secondo sesso”. Il libro, anche per la sua mole ingombrante, sembra più una zavorra che la protagonista deve riuscire a affrontare. Queste presenze sono state il germe che ha dato vita al libro oppure sono entrate in corso d’opera?

Le couple magnifique che Sartre e Beauvoir hanno formato per più di cinquant’anni, la sua aura mitica, la concezione della libertà e dell’autodeterminazione che è alla base dell’Esistenzialismo sono stati il germe che ha dato vita al libro. Il processo creativo è lontano ormai nel tempo: fra i miei tempi di scrittura, che sono piuttosto lunghi, e quelli dell’edizione, sono passati anni. Per questo, non saprei dire in che momento ho deciso che Marta dovesse concentrare le sue letture e le sue riflessioni su Il secondo sesso di Simone de Beauvoir. Anche io, come Marta, quando voglio sviscerare una questione, metto molta carne al fuoco per documentarmi: parto da lontano e poi restringo il mio campo di ricerca, in modo in parte razionale e in parte emotivo, in particolare quando la finalità è scrivere una storia, inventare, creare. Non è semplice sapere di cosa si avrà bisogno e direi che, in generale, si esagera sempre un po’ con l’accumulo di fonti.

Sono contenta di aver scelto Il secondo sesso perché è un saggio monumentale, considerato imprescindibile in un’ottica femminista ma con cui non mi trovo sempre d’accordo. Questo mi ha permesso di far emergere le contraddizioni delle ingiunzioni che da decenni vengono fatte alle donne nel lodevole intento di emanciparle.

Nei romanzi a me interessa sempre molto l’equilibrio del protagonista. Ne “La famiglia degli altri”, Marta si è creata un modello di vita che sembra andarle a genio, diciamo che con Antoine formano una classica coppia aperta. Questa è una situazione, per Marta, di equilibrio, una situazione che si sente in grado di controllare. Poi la morte di sua nonna Ada porta alcuni elementi di disturbo: Alberto, il passato, la vita padovana dalla quale si era distaccata. Pensi che si possa davvero giungere a un equilibrio che metta in pace noi stessi e che sia compatibile con il nostro essere parte di un insieme di relazioni sociali?

A me sembra che l’equilibrio su cui si era costruita la vita di Marta abbia iniziato a sgretolarsi prima della morte della nonna Ada, quando una relazione extra-coniugale gestita da Antoine con troppa leggerezza o forse ingigantita senza ragione da Marta, ha provocato la loro separazione fisica: i due, pur non avendo mai interrotto il loro dialogo intellettuale e la loro collaborazione come genitori, non vivono più insieme da sei mesi quando li incontriamo. Il fatto che si separino per una questione di gelosia è completamente contraddittorio rispetto al modello di coppia aperta che hanno scelto di formare. La morte di Ada, il ritorno a Padova, la riapparizione di Alberto, un vecchio amore tormentato di Marta, accentuano questa crisi portandola a una svolta.

Per tornare alla tua domanda: io penso che la natura umana ci spinga inesorabilmente verso il superamento di noi stessi, e che di conseguenza l’equilibrio sia uno stato temporaneo nella vita. Credo che una fonte comune, banale, d’infelicità consista proprio nel voler congelare a tutti i costi l’equilibrio raggiunto, come se fosse un valore in sé e non una condizione particolare, transitoria, legata a un momento preciso e destinata ad evolvere. Avere l’onestà di ammettere che, pur con gli stessi ingredienti, la ricetta non funziona più, è estremamente difficile, ma aprire la strada incoraggia gli altri a fare altrettanto: a cambiare quando non coincidono più con loro stessi e l’equilibrio è diventato solo una farsa, una vetrina per gli altri.

Vorrei chiudere con un aspetto più “tecnico”. Per “La famiglia degli altri” hai deciso di utilizzare una terza persona molto focalizzata sui personaggi, puoi spiegarmi le riflessioni che ti hanno portato a questa scelta?

Marta è un mio alter ego e questo per me escludeva a priori l’ipotesi di una prima persona, per evitare la confusione fra autore, protagonista e voce narrante. Anche se, come lei, sono nata a Padova, vivo a Parigi e scrivo, non sono Marta e Marta non è me. La terza persona mi permette di mantenere la distanza necessaria a scongiurare possibili equivoci sulla dimensione autobiografica del libro. È vero che la voce narrante è molto focalizzata sui personaggi e sul loro pensiero. Penso fosse inevitabile visto l’impianto del romanzo, in cui viene dato molto spazio ai dubbi esistenziali dei protagonisti e al loro confronto con i testi di Sartre e Beauvoir: avevo bisogno di essere nella testa di Marta e di Antoine, di sapere cosa pensano in modo artificialmente onnisciente. Trovo che i dialoghi controbilancino questo aspetto, permettendoci di conoscere i due protagonisti anche dall’esterno. Tutti gli altri personaggi: i genitori di Marta, il dottor Gasparotto, gli zii, e la piccola Giulia sono visti sempre e solo dall’esterno.

Sto teorizzando le mie scelte come se le avessi pianificate a tavolino, ma è stato un processo molto più intuitivo di quanto possa sembrare.

Elena Rui – La famiglia degli altri
Garzanti Editore

Elena Rui, nata a Padova nel 1980, laureata in lingue straniere, vive in Francia da quindici anni. Ad Albi, Tolosa e Parigi ha insegnato italiano, tradotto e curato redazioni commerciali. A definirla sono soprattutto la passione per la scrittura e la pasticceria, due diversi modi di creare.

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