Nozze friulane in primavera - Il viaggio in Friuli di Giovanni Comisso

Nozze friulane in Primavera – Il viaggio in Friuli di Giovanni Comisso

Fioriscono le colline e tutte le montagne, nitide o bianche di neve alle vette, chiudono la pianura in un’area riparata di serra. Le campane suonano a ondate e sembra che le piccole foglie si dischiudano a questo suono. Erano ragazzini nella piccola a scuola accanto alla chiesa, egli nella prima panca dei maschi, ella nella prima delle femmine e i loro sguardi si incontravano spesso. In questa regione, pur settentrionale, al riparo dei monti, vi è una precocità nel germogliare delle piante e così dell’amore. Tutte le canzoni parlano e incitano all’amore, il giorno di festa offre dovunque uno spettacolo di amanti in cerca del poggio solitario che, nell’incanto del panorama, li travolga ai baci. Nasce presto l’amore in Friuli, presto si radica e si sposano giovanissimi, come per regolare subito questo debito verso la vita, nel richiamo potente a imprese più ardue a cui dedicarsi dopo.

Crescendo i due compagni di scuola si facevano sempre più seri nella loro simpatia e, quando questa stava per diventare amore, uno zio severo della ragazza, che li sorprese a camminare insieme, impose al giovanetto di decidere o di smettere: tre giorni dopo egli, che finite le scuole già si avviava nella sua professione di calzolaio, venne a chiederla in isposa. Furono fidanzati quattro anni, il tempo per fare il corredo e per comperare la mobilia ed ora è giunto il giorno delle nozze. Le loro case sono poco distanti;  nei giorni della vigilia la sposa portò su di un carro adorno di frondi, trainato da due buoi bianchi e fulvi, tutto il corredo nella nuova casa che l’attendeva ed ella, seduta sul carro, attraeva gli evviva della gente che incontrava.

Il Castello di Udine (foto di Zairon, Wikimedia Commons)

In questo giorno in cui si dischiudono le foglie e le rondini sono ritornate, suonano le campane annunciando le nozze. Sono arrivati  i parenti e gli amici, il corteo si avvia verso la chiesa per la stradina tra i colli che conobbe le loro dolci parole e le promesse. Salgono verso la chiesa la grande pianura col Castello di Udine, le montagne serene, le colline in fiore, tutto sembra un decoro a questo momento solenne.  Passano vicino alla scuola dove i loro sguardi si incontrarono e il pensiero va a quei giorni lontani. Nella chiesa il rito del matrimonio si chiude col bacio della Pace. Gli sposi per primi e poi tutti gli altri sfilano davanti all’altare e baciano un’immagine di Madonna offerta dal sacerdote. Si usa questo in Friuli ogni volta che si stringono patti è come una conferma, davanti alla Madonna baciata, di comportarsi con lealtà.

Ritornano ora verso la casa della sposa tra gli evviva dei ragazzi a cui corrisponde, da parte degli sposi, il lancio dei confetti che vanno sempre a finire tra le siepi o sull’erba per accanirli nella ricerca. Sorelle, cugine e amiche, in aiuto della madre, hanno preparato il pranzo e la lunga tavola infiorata a cui tutti si siedono e ogni vivanda che esce dalla cucina viene sempre accompagnata dagli evviva delle portatrici, come squilli di ebbrezza. Tra le innumerevoli vivande non manca il musetto cona broada, che è la pietanza regionale e consiste in salsicce con contorno di verze in aceto, frammiste a chicchi d’uva appassita; un asprigno che finisce deliziosamente nel dolce dell’uva. Il pranzo si chiude con la sfilata dei dolci portati davanti alla sposa che, col coltello, vi incide una croce entro ai cui limiti saranno affettati. Già incominciano i canti da un capo all’altro della tavola e, ai primi accordi dei suonatori, tutti fremono di ballare. Gli sposi iniziano il ballo e si continua senza sosta fino al crepuscolo, quando ci si accorge, alla luce delle lampade, che a tutte le finestre bambini e donne del villaggio stanno avidi e felici a guardare la festa nella sala. 

Photo by Milivojevic on Pixnio

Ora la casa dello sposo attende tutti per la cena. La sposa dà l’addio alla madre, una madre alta, cerulea nello sguardo, ancora bella nell’accordo bianco e roseo del volto, pettinata all’antica con una crocchia alla nuca simile a un berretto dogale, una grande madre friulana, di quelle che, quando manca il marito, sanno assumere la direzione e l’ordine della famiglia con chiara fermezza. Nel baciare la figlia che lascia la casa, le tumultuano emozione e raccomandazioni che vorrebbe dare con la voce del comando, ma ella tace e guarda la figlia dall’alto della sua statura, un solo attimo, con la freddezza cerulea dei suoi occhi ed è come se avesse parlato. Poi la commozione prevale, battono le palpebre e si arrossano le guance e allora, per non farsi vedere, lascia tutti e va verso la cucina a finire le sue faccende.

Fuori dalla casa si ricompone il corteo e subito si accende sulla strada un grande fuoco di canne, perché tutti vogliono vedere la sposa e perché, dai paesi vicini, si sappia che in quel momento ella va verso la nuova casa. Il corteo prosegue tra torce fiammeggianti e canti d’amore. La notte tepida, piena di stelle e di bianchi petali sugli alberi lungo la strada. Giunti alla casa dello sposo, sua madre è sulla porta ad attendere e offre alla sposa, in un vassoio, un bicchiere di vino e un pane dicendole: “Ti accetto come figlia“. La sposa risponde: “Ti accetto come madre“. Si baciano. La sposa beve il vino, spezza il pane e con questo nuovo patto entra nella casa che sarà la casa del suo amore e della sua vita.

Tutti gli invitati devono rendere omaggio alla stanza nuziale e poi incomincia la cena, che sarà abbondante come se a mezzogiorno avessero digiunato. Ritornano a sfilare le pietanze annunciate dagli evviva delle portatrici e, quando si arriva al turno del pollo a lesso, uno completamente intero viene portato alla sposa e gli evviva a lei rivolti si mutano in una canzone, dove si dice che a baciare ragazze belle non è per nulla peccato. Segue altra canzone che ammonisce: “Se sapeste, o giovani, cosa sono i pensieri d’amore: si muore, si va sotto terra e ancora si sente dolore“. La giovane sposa reclina il capo sulla spalla dell’amato nell’accordo del canto. Le fiasche vuote vengono portate in cantina per essere nuovamente riempite. Le risate sopraffanno il canto nell’angolo della tavola dove donne mature si accompagnano a uomini già ebbri, le tavole vengono tolte per fare posto al ballo in quella vasta cucina, accanto al focolare dei padri. Tutta l’energia accumulata dal cibo è trasfusa nella danza saltellante, presi tutti per mano, facendo cerchio e in mezzo ballano solo gli sposi in un abbandonato sorriso, come già iniziassero il decisivo atto d’amore.

Giovanni Comisso

dal Corriere di Milano del 27/04/1948.

Immagine in evidenza: foto di Natasha Fernandez da Pexels

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