“Paesaggi veneti” di Giovanni Comisso

Nel dischiudere la finestra mi sono cadute addosso le mosche già intirizzite dal primo freddo , stavano rintanate tra le imposte e i vetri. Il mattino si scioglie sereno sopra le colline di Tarzo, dove gli alberi sparsi sui pendii ingialliscono. Digradano queste colline da tutte le parti scoprendo negli intervalli la pianura che si protende lontana. Un alto cipresso limita la visuale verso settentrione. Oltre il crinale sì rivelano le cime delle montagne già bianche di neve.

E’ una di quelle giornate di sommo stupore; tutte le foglie sono ancora sulle fronde degli alberi, improvvisamente dorate, e la neve si respira nell’aria.

Ogni angolo di questa terra incanta indimenticabile come si fosse in partenza per un viaggio d’oltremare e ad ogni attimo si rivolgesse un supremo addio alle colline, alle vallette, al lago, ai paesi incastrati nei pendii dei monti.

Dalle colline di Tarzo si arriva presto alla stretta di Serravalle e ci si ritrova in un paesaggio di Giovanni Bellini, con torri merlate che si susseguono nella catena delle muraglie su per le ripide balze. Sembra, appunto, che questo pittore sia nato in un paesello vicino, nella piana di Pieve di Soligo dove le colline hanno lo stesso giuoco di essere  intermediarie tra la pianura e le montagne.

Se esiste un paesaggio toscano, se esiste un paesaggio umbro in rapporto ai quali derivarono le scuole di pittura umbra e toscana, è questo paesaggio, fatto di colline con montagne retrostanti, mentre la pianura subito si inizia per scendere verso il mare, che determinò l’ebbrezza panoramica della pittura veneta da Bellini a Giorgione, a Paris Bordone, a Tiziano, a Cima da Conegliano, al Pordenone.

Costoro si sono determinati nelle loro opere seguendo un parallelo estetico che andando da Castelfranco verso il Friuli non è né troppo distante dalle montagne, né troppo al ridosso.

Tiziano, se nacque in Cadore, ebbe tuttavia una sua casa dal villeggiare sui colli di Reganzuolo, tra Serravalle e Conegliano.

Questo parallelo estetico è una linea di ammirazione, di contemplazione paesaggistica, una specie di pedana di lancio che ha imposto questa schiera d’artisti. E’ una linea come una vena d’acqua limpida e fresca rispecchiante la lieve serenità del cielo ventilato ora dal monte ora dal mare.

Una vena d’acqua ora in piena, ora in magra nel corso dei secoli, ma sempre segnalata, avvertibile anche in ruscelletti sfuggenti e se non nella pianura, nella narrativa, una narrativa fatta di anime e di paesaggio come fu in Ippolito Nievo, anch’egli sorto lungo questa linea nella terra friulana. Oppure in una poesia arguta e sensuale, come in Lorenzo da Ponte, corrente rapida e immediata ad accompagnarsi alla musica di Mozart.  E Lorenzo da Ponte era di Ceneda. E’ una linea dove perennemente o molto o poco si nasce artisti e anche oggi, in un tempo in cui sarebbe da disperare per l’arte ridotta, come una timida mendicante, tra una folla distratta, in questi paesi continuano a scaturire sintomi d’arte sicuri e felici.

I due borghi di Serravalle e di Ceneda formano quel paese noto sotto il nome di Vittorio Veneto;  venendo dalla pianura il paese comincia con una piazzetta dove una statua adorna una fontana col bacino sottostante per abbeverare il bestiame e, dopo essersi allargata in ville e giardini e case decorose, si chiude tra la stretta dei monti in fastosi palazzi con portici, fino a una piazza merlettata di bifore gotiche alla maniera di Venezia.

Tra l’indifferenza degli abitanti presi dalla giostra dei commerci e delle industrie, un povero oste pittore, sotto uno di questi portici, nella sua rustica osteria si è messo da qualche tempo a organizzare mostre di pittura così come fanno le gallerie nelle grandi città.

Questo oste pittore, Delfino Varnier, è non solo ammirevole per la sua pittura resa equilibrata dal paesaggio sublime circostante ma per il suo spirito generoso giacché non espone limitatamente le proprie opere, ma quelle dei suoi amici che incoraggia e sostiene.

Un altro sintomo sicuro e felice di questa vena artistica corrente ora sotterranea, ora emersa tra le colline e la pianura veneta lo si ritrova dopo Pordenone nel paese di Casarsa. Accanto a un palazzo distrutto dalla guerra in una piazza soleggiata e spaziosa come a mercato di bestiame, due giovani poeti friulani Pier Paolo Pasolini e Domenico Naldini fondarono, appena finita la guerra, la piccola accademia di lingua friulana.

La sede è una grande sala a piano terra, fuggita al bombardamento, con al fondo un focolare che è il simbolo tradizionale della famiglia e della gente friulana.

Da qualche anno questi due poeti hanno radunato accanto a quel  focolare i loro amici conterranei porti e scrittori dandone testimonianza in piccole e accurate pubblicazioni dove si vuole affermare che il friulano non è un dialetto ma una lingua romanza.

Il fatto notevole offerto […] più gli antichi schemi delle villotte friulane fatte di pochi versi, più che altro per essere malinconicamente cantate, ma cercano di affermare il friulano come lingua su temi e cadenze della moderna poesia europea.

Da questa stessa piccola accademia è sorto come narratore e Elio Bartolini di recente segnalato col suo romanzo Icaro e Petronio in un grande concorso a nazionale.

A volte ci si dispera, si crede che la terra stia sbiancandosi  all’arte come la luna alla vita, si crede che all’ultima generazione di artisti non ne  debbano sopravvenire altre, si crede che i giovani nuovi non conoscano quanto è stato creato nell’arte in tempi lontani e ultimi, e invece è assai, diverso.

Sorgono invece sugli antichi ceppi recisi i nuovi virgulti, sempre fedeli alla terra che ha alimentato le possenti radici dei grandi. allora quando avvengono gli incontri con queste nuove certezze risorge commovente la gioia come al ritorno delle belle stagioni.

Giovanni Comisso

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