Paese di Liguria

Paese di Liguria

Le alte case di sette od otto piani fitte di finestre, addensate in poco spazio, fanno di questo paese una specie di Manhattan in piccolo. Le case sono gialline, orlate di rosa con persiane verdi. A volte le finestre sono tutte fiorite di teste di donna che spiano sulla strada o guardano il mare. Sovente dall’interno si diffonde il suono d’un fonografo e quando finisce dalla finestra d’un piano soprastante qualche pappagallo accenna a ripetere la canzonetta suonata. ƈ tutto in pendio, digradante fino al piccolo porto in ombra della chiesa elevata a ridosso dell’antico castello. Lo attraversano due strade e la ferrovia dove ĆØ tutto un continuo passare di treni elettrici che fanno vibrare le case. Per andare dal porto alla parte alta del paese si passa da una gradinata all’altra e da queste a ponticelli che sovrastano la ferrovia. Una donna si ĆØ lavata i capelli e se ne sta in dolce abbandono alla finestra per asciugarseli al sole. Sopra, s’alzano i colli biancheggianti d’olivi e verdi d’erba. Nelle ville i gelsomini odorano violenti e lungo la strada le foglie grasse delle agavi ricordano memorabili momenti d’amore, portandone scritti l’ora e il giorno.

Portofino (Alessandro.pelle, Wikimedia Commons)

Questo ĆØ un paese di capitani e di marinai: gli uomini sono tutti sul mare, a terra non son rimasti che i pigri, i vecchi, gli invalidi e i ragazzi. Quasi ogni giorno tocca sentire qualche sirena urlare ripetutamente dal mare. E affacciandosi alla finestra si vede un piroscafo che, deviata la sua rotta dalla punta di Portofino, rallenta le macchine; poi un megafono lancia una voce: — Siamo qui —; oppure con semplice durezza dĆ  solamente il saluto secondo l’ora del giorno: sono navi che arrivano o che partono e danno il primo saluto o l’addio alle loro famiglie subito accorse alle finestre. Entrare in qualcuna di queste case ĆØ come un ritrovarci a bordo. La credenza ha i ripiani intagliati per incastrarvi i bicchieri per lo stelo, come a bordo per evitare che il rollio li sbatta tra loro. I piatti portano decori di ancore con le sigle di compagnie straniere e le tovaglie pure. Alle pareti ventagli di cartoline spedite da ogni parte del mondo, e su d’un mobile d’angolo la campanella per annunciare l’ora della mensa. Tutte le finestre danno sul mare e l’aria entra come se si fosse sul ponte di comando; ma non basta per questi marinai quando ritornano: impazienti e nervosi si vedono camminare lungo il molo, dove le onde si frangono biancheggiando nell’aria. Poi ripartono e, dato l’ultimo abbraccio alla moglie, riprendono il mare.
Passò u munte de Portufin
adio mujĆØ che sun fantin.
Questo ĆØ il loro motto: ma altro non ĆØ che un sistema per rendere geloso e più vivo l’amore.

Le mogli e le madri salgono al Santuario della Madonna del Boschetto e pregano per la loro salvezza da ogni tempesta e da ogni male. Questo paese nei tempi antichi veniva sovente preso di mira dai pirati saraceni, che se potevano approdare ne rapivano le donne. I vecchi cannoni di difesa ora sono quasi tutti infissi lungo il molo e servono da piloni per legarvi le funi dei velieri attraccati. Ma di questo antico insulto serbano traccia gli animi dei giovanotti paesani gelosissimi delle ragazze locali nei riguardi del forestiero. Basta un semplice saluto galante ad una donzella per vedersi arrivare cinque minuti dopo una squadra di paladini pronti ad intimare la proibizione. Certamente questo deve essere stato quel paese che Nietzsche descrive nel CosƬ parlò Zarathustra, approdando dal viaggio per mare. Ā«E scorgendo una fila di case nuove se ne meravigliò e disse: Che cosa significano queste case? Forse un bambino le prese dalla scatola dei giocattoli? Oh! se qualche bambino potesse rinchiudervele di nuovo! E queste camere e queste stanze: come mai uomini possono entrarvi ed uscire? Mi sembrano fatte per bambole di seta o per gattine ghiotte le quali offrono anche se stesse alla ghiottoneria altruiĀ». Le case allineate fitte di finestre fino al quarto o al quinto piano tra il mare in continuo tumulto contro le rocce protese e i monti boscosi, che nelle mattine afose si velano di bassi vapori, sembrano vere testimonianze di un gusto umano fatto di beatitudini oziose tra il godimento del sole, il buon mangiare e il dolce dormire; ma non ĆØ cosƬ di questo popolo: se l’è costruite per un breve ristoro come ritorna dai lunghi viaggi. Dopo il terzo giorno giĆ  le sentono insopportabili alla propria natura di liguri smaniosi delle terre lontane celate dall’alto e vasto orizzonte del mare che domina ad ogni istante il loro sguardo. Alla notte, quando tutti dormono nelle loro case, per le alte strade deserte risuona lo scroscio delle onde sulla spiaggia ghiaiosa e a qualche miglio dalla costa, come immaginarie costellazioni riflesse dalle acque, brillano le lampare delle piccole barche da pesca.

Camogli – Scorcio del borgo marinaro (Alessio Sbarbaro, Wikimedia Commons)

Ho avuto la possibilitĆ  di vivere qualche tempo in questo delizioso paese. Qui non vi sono alberghi: bisogna prendere in affitto piccoli appartamenti che in fine costano meno degli alberghi del più economico paese del mondo. ƈ facile trovare qualche buona donna che faccia da mangiare e tenga in ordine la casa. Il mio appartamento dava sul mare a picco che si vedeva da ogni finestra; alcune rocce si protendevano lunghe ed acute, simili alla prua di granito della Vittoria di Samotracia. Durante il giorno e durante la notte si sentiva il variare delle onde, che ora crescevano e ora si quietavano. Certi momenti si finiva col provare tutta l’illusione del navigare. La mia donna si chiamava Angelina, avrĆ  avuto settant’anni, piccolotta, grossa, olivigna, scaltra nello sguardo, coi pochi capelli rimasti tirati su fino a farle un piccolo groppo sulla nuca. In altri tempi aveva servito presso un prete e, dopo la sua morte, come bambinaia presso dei signori di Genova. Passavo molte ore del giorno a leggere e a scrivere. Angelina stava di lĆ  in cucina preparando da mangiare e ogni tanto si sentiva con voce flebile cantare una canzone che non finiva per una buona mezz’ora:
Ascoltate tutti quanti
la gran storia di Pierina,
una bella ragazzina
di bellezza in quantitĆ .

Per alcuni giorni non ci scambiammo che poche parole. Alla mattina le davo disposizioni per il mangiare, alla sera mi dava il resoconto delle spese, preparava note accuratissime e insisteva nel farmi osservare che faceva la massima economia. Per non darle molto lavoro, sembrandomi vecchia e oppressa dall’asma, le ordinavo i piatti più spicciativi. Dopo un po’ di tempo, specie dopo mangiato, mentre leggevo ella cominciò a venire nel tinello e, appoggiate le braccia sulla tavola, mi guardava sorridendo con desiderio di voler chiacchierare. Voleva sapere che novitĆ  ci fossero sul giornale, in fine aveva bisogno di portare l’argomento su di sĆ© e sulla sua vita passata come per voler essere presa in considerazione in modo più attento da me che le rivolgevo cosƬ poche parole. Cominciò col parlarmi del prete presso cui aveva servito: — Era la bontĆ  in persona, poveretto, mentre sua sorella una vera strega. Lei, che prima lo considerava come l’ultimo dei suoi parenti, quando s’accorse che la malattia doveva portarlo alla morte non volle che io entrassi più nella sua stanza, perchĆ© aveva paura che mi lasciasse qualche cosa. — E da appoggiata alla tavola si mise a sedere, come per calmarsi la rabbia che pareva le risorgesse. Seduta cosƬ, rizzò tutto il busto e, facendo la faccia sprezzante e atteggiando la bocca al disgusto, prese ad imitare la sorella del prete quando la licenziò dal servizio. Trasse un sospiro e ritornò ad assumere la sua espressione abituale. Io stavo per riprendere la lettura credendo che questo sfogo le fosse bastato, quando m’accorsi che mi guardava d’un occhio brillante di desiderio di raccontarmi dell’altro. — Se sapesse come piaceva mangiar bene al mio povero padrone e come io sapevo accontentarlo; ma a lei non piace la cucina alla genovese? — Le risposi che mi piaceva assai, ma che ritenevo una fatica per lei preparare tutti quei pesti di cui sapevo aver base principale. Ella alzò le braccia al cielo: — Ah, se lei sapesse quanto ho lavorato nella mia vita! Proprio il pesto dovrebbe affaticarmi! Una volta ho fatto da mangiare per venti preti, e tutti non finivano di farmi gli elogi: dicevano che le tagliatelle col pesto, come le avevo fatte io, non le avrebbero dimenticate per tutto l’oro della terra. Poi ci sono gli agnolotti, le gasse, le trofie, la torta pasqualina, i carciofi ripieni, le sardine ripiene; eh! che ve ne sono delle buone pietanze, ma a lei non piace che la pasta asciutta e le bistecche… — Va bene, domani tenterai di farmi gli agnolotti. — Ma ella, come risentita dal mio tono non troppo entusiasta, dopo un attimo di silenzio si ravviò in su i capelli col dorso della mano e disse: — Morto il mio padrone prete, sono stata a servizio presso il direttore della Banca d’Italia a Genova, ma come bambinaia: mi hanno messo la cuffietta bianca e dovevo allevare un fior di bambino. Ma quando si trattava di fare qualche pranzo d’importanza la cuoca veniva da me e mi diceva: Ā«Angelina, tu che sai fare tanto bene da mangiare dimmi come devo fare questo… e quest’altro…Ā». — Alzai gli occhi e la guardai: seduta sulla sedia, pareva fosse stata sostituita ad un’altra; aveva contratto il volto in modo comicissimo per imitare la cuoca, e, quando smetteva, subito riassumeva il suo aspetto normale come se si fosse tolta dal volto una maschera. — Ed io giù. che le insegnavo come doveva fare gli agnolotti, come doveva fare le trofie, come doveva fare le tagliatelle col pesto, le gasse…; e poi alla mattina, quando si trattava di far colazione, questa ingrata maledetta, lei si beveva una tazza di caffĆØ grande cosƬ, e a me niente. Ma non si poteva andare d’accordo, e un giorno che la padrona si lagnava per il tanto caffĆØ che veniva consumato ha avuto il coraggio di dire alla padrona, credendo ch’io non la sentissi, che era perchĆ© l’avevo bevuto io. Allora mi sono fatta avanti con la rabbia che avevo e l’ho presa per le spalle e l’ho scrollata con tutta la forza che avevo: Ā«Ah, io ho bevuto il caffĆØ! Ah, io ho bevuto il caffĆØ! Questo ĆØ veramente la mia passione, ma voi me l’avete fatto vedere e mai assaggiare neanche una chiccheretta, cosƬ Ā». — Terminato il racconto, rimase a guardarmi con i suoi tondi occhi avidi, resi quasi furenti dalla riesumazione delle sue ansie passate. Fu cosƬ che ella ottenne da quel giorno di bersi tutte le mattine quanto caffĆØ voleva e che io avessi fiducia in lei, come cuoca capace di preparare le più complicate pietanze della Liguria. Il giorno dopo, mentre stavo occupato a scrivere, lei chiusa nella cucina come un chimico nel suo laboratorio, la sentivo sbattere e armeggiare e di tanto in tanto con la sua voce sottile, che pareva volesse imitare quella che aveva da giovanetta, cantava:
E poi dopo la Pierina
s’è impromessa con Bastiano,
giovanetto bello e sano
e sincero nell’amor.
Dal tono della voce capivo che era felice. E la sua felicitĆ  crebbe col canto nei giorni seguenti, come ebbe tutta la libertĆ  di sfoggiare la sua abilitĆ  di cuoca, brillando sapientemente nei ripieni e nei pesti.
Giovanni Comisso

da il Corriere della Sera del 12/07/1931

Immagine in evidenza: Camogli, Liguria (foto di Michal Osmenda, Wikimedia Commons)

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