“Patavinando” di Giovanni Comisso

Le tradizioni patavine sono numerose. Dice il popolo veneto: «Padovani: gran dottori» alludendo all’antichissimo centro culturale dell’Università.

Nella folla (questi dottori passano confusi, ma se si va al Pedrocchi verso le una, subito si riconoscono seduti al loro tavolino abituale ponendo, in attesa delle lezioni, garbati problemi di alta matematica o di filosofia, mentre qualche Diotima impellicciata passa vicino sorda al sapere.

Tradizione correlativa è quella degli studenti: studenti studiosi, guerrieri, gaudiosi e sportivi. Di essi sono note le audaci imprese in ogni tempo e i loro scherzi.

Altra tradizione padovana sono le donne belle e more, tanto vero che corre il detto: « More da Padova » ma questo si abbina anche alle ciliege.

Poi vi è un certo tipo d’uomini, molto alti, uomini grandemente mangiatori e sovranamente conquistatori di donne, che non so di dove abbiano tratto la loro struttura fisica, se da Antenore o dagli Euganei.

Ma la tradizione padovana che più mi interessa è quella degli affreschi.

Si incominciò con Giotto, poi con Mantegna, poi con Tiziano, qui a Padova esistono gli unici affreschi di Tiziano. Egli, pure, che nella pittura ad olio aveva trovato il suo grande mare dove navigare in lungo e in largo, qui per Padova ha fatto uno strappo alla sua regola e ha lavorato ad affresco nella sacrestia del Santo.

Questo desiderio dell’affresco in Padova mi verrebbe da spiegarlo pensando alla caldura estiva abituale in questa città, giacche non vi è maggior delizia in affocate ore di caldo vedere una pittura murale, questa pittura entro ad una casa allarga, apre e solleva le pareti verso più respirabile aria.

Ma vederla d’inverno è a altra cosa: congela, se non che qui l’inverno è assai e sovente nebbioso, allora le pareti affrescate riprendono il loro giuoco piacevole di far vedere panorami e figure anche in giornate in cui tutto si ottenebra.

Seguendo questa tradizione nelle due sedi dell’Università recentemente sono stati eseguiti grandi affreschi da Campigli e da Ponti e da altri, dire che questi affreschi, specialmente dei due primi, che occupano maggiori dimensioni, rientrino anche nella grande tradizione pittorica italiana, cosi come rientrano qui, nella tradizione dell’affresco, sarebbe non esatto.

Essi rientrano invece nella tradizione goliardica, e non saprei se consciamente; con più esattezza nella tradizione di quelle pitture goliardiche che gli studenti sogliono fare per gli amici che si laureano.

Vi è lo stesso armonioso disordine, spensierato disordine, in un frammisto di abile schiettezza e di caricatura geniale. Non intendo con questo di riprovare le pitture murali di Campigli e di Ponti, anzi trovo che furono indovinatissime, anche se ciò avvenne a loro insaputa.

Per gli occhi degli studenti ci volevano di quelle pitture che rientrano nella loro più allegra e desiderata maniera. Difatti queste pitture sono anche situate là dove maggiormente concorrono gli studenti, scale e atrii, e questo conforterebbe a pensare che furono eseguite così goliardicamente con consapevolezza.

Nelle sale riservate ai professori e in stanze più riservate si trovano pitture di altro genere rispondenti ai frequentatori meno disordinati.

Ho visto alcune sovrapporte di De Pisis che hanno la grazia decorativa pompeiana. Questo pittore, ragno mirabile, ha tessuto con niente una luminosa tela che ci imprigiona come minute zanzare: una corona d’alloro, un frammento di statua, una farfalla e l’incanto è ottenuto con la leggerezza del suo pennello dalla punta d’acciaio.

Severini ha un mosaico sapiente come un tappeto persiano, l’oro si lega al cobalto del cielo e all’avorio del teschio di bue e il gallo è lussureggiante di piume.

Ma in altre sale si trova altra pittura di due pittori padovani dei quali non avevo ancora misurato l’importanza: uno è Antonio Fasan, l’altro è Tono Zancanaro.

Il primo è un placido, sereno e distillato pittore. Egli incomincia come l’ostrica a lavorare lentamente di madreperla un granellino di sabbia, scoperta l’essenza di un oggetto, di un paesaggio o di una figura egli lentamente la elabora, sempre negli elementi strettamente necessari, portandola ad una evidenza preziosa e brillante.

Sue doti principali sono: gusto di colore e sommessa, ma armoniosissima fantasia, come nei Ventagli, uno dei suoi capolavori che ho visto in altra parte.

Tono Zancanaro è un disegnatore fantasiosissimo, se fosse di moda il macabro come in altre epoche arriverebbe ai maggiori. La sua intonazione è invece ironica seguendo una sua malinconica morale.

Vi sono alcune serie di sue incisioni o disegni che devono assolutamente essere conosciute fuori dalla cerchia provinciale.

La serie delle demolizioni di vecchie case, degli scalpellini di marciapiedi, degli attaccapanni, delle immagini di ragazze emergenti sulle pareti esterne delle case, delle statue del Prà della Valle e delle remote strade di Padova. Ironizza con malinconia, con la malinconia del ribelle e del poeta.

Giovanni Comisso

12 Febbraio 1943

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