“Pericolo giallo” di Fulvio Ervas

Un anno fa, un bolide, un’Audi di colore giallo, ha sconquassato il Nordest. Una sfida (lanciata forse da una banda di balordi o forse no) alle forze di polizia, alle istituzioni, ad una delle più ricche regioni del paese. Una sorta di test sulla nostra attraversabilità e sulla nostra fragilità. Come ne siamo usciti da questo esame?

Fulvio Ervas, nel suo settimo romanzo con l’ispettore Stucky ( fra poco nei cinema, interpretato da Giusppe Battiston, per la regia di Antonio Padovan), prova a giocare con questo misterioso evento, per riflettere anche sullo stato di questo nostro territorio.
Vi proponiamo la lettura di un brano tratto proprio dal primo capitolo di  “Pericolo giallo” ( Marcos y Marcos), scelto dall’autore stesso.

18 gennaio, lunedì ( max 8°, min -5°)

“Sabato notte ad Abano Terme”.

Abano Terme?

Quello sui colli Euganei?

Quello dei fanghi termali, delle piscine calde, dei bagni turchi, delle saune finlandesi, dei rotolini di grasso da smaltire, dei pensionati tedeschi, austriaci e modenesi, delle coppie spiritose e degli amanti in incognito?

L’ispettore Stucky aveva spalancato le braccia sbalordito.

L’agente Sperelli annuì lentamente, come gli si chiedesse se la gravità appartenga a questo mondo.

“E in aggiunta, mi state dicendo che non riusciamo a fermare una macchina?”

Calma ispettore, fece cenno Sperelli, che di automobili aveva esperienza e rispetto.

“Non una macchina qualsiasi. Non il taxi di piazza dei Signori o la Panda di Alì Ben Alì. Questo è un bolide da trecento all’ora”.

Ispettò, lo aggredì l’agente Spreafico, da quando s’è infiltrato nel malaffare cinese, lei ha perso contatto con la realtà. Qui stiamo consumando la cinture di sicurezza a furia di allaccia e slaccia, mi si sbriciola la paletta e lei è tutto massaggi e profumi.

Non era tutto massaggi e profumi.

Pericolo giallo, Marcos y Marcos

Era che il nuovo commissario Montini, un padovano, aveva affinità elettive con il nuovo questore, un mantovano e assieme avevano deciso che la città pullulava di bordelli cinesi e che bisognava potare i ciliegi, i loto e i bambù. Insomma, andavano identificati, monitorati, filmati, infiltrati. Chiusi, possibilmente.

E lui, Stucky, secondo l’inoppugnabile giudizio del commissario Montini, aveva il phisique du role: cioè altezza, età, stato civile, e predisposizione.

Lei ha un bel giubbotto di pelle e sembra un attore, gli aveva persino detto Montini.

Però, commissario, aveva obbiettato l’ispettore, se lei mi attribuisce una qualche qualità estetica, non può sembrare strano che io attinga all’amore a pagamento?

“Non dovrei, come dire, trovare i fiori del prato con una semplice camminata? Perché dovrei andare in serra a comperare tulipani e camelie?”

Montini aveva sorriso, un sorriso ironico, lievemente forzato, ma per gran parte scaturente dal cuore.

“Si immedesimi Stucky: lei potrebbe fingere di essere uno di quegli uomini  a cui non bastano mai. I fiori, ovviamente”.

Cioè, aveva chiesto Stucky al fidato Landrulli, ti sembro, a colpo d’occhio, un puttaniere?

Perché era così che se lo intendeva il nuovo commissario. Quello scivolato in pensione, il compianto anche se non defunto Leonardi, almeno lo considerava uno spirito sghembo, un irregolare, un poliziotto non da carriera ma da tremore per le coronarie. Del capo, naturalmente.

Ma Montini era giovane, più telegenico, possedeva un vocabolario della Crusca e uno della Spiga, sapeva di informatica e social più di Spreafico, conosceva l’inglese e l’albanese, sparava benissimo. Quello centra la testa di un chiodo sopra l’impalcatura davanti al monastero di Santa Caterina, dicevano.

Un capo dinamico, non c’è che dire, aveva pensato Stucky. I tempi si fanno sempre più interessanti.

Poi, guardando l’agente Landrulli sorseggiare la sua tazzuella de café, non aveva resistito:

“Ma io sembro davvero più puttaniere di Sperelli?”

Stucky si distese sul letto. Stava appresso, da un mese, a tre Lian, due Mei e due Xue. Oltre il solito lavoro. Era una sorta di sforzo straordinario. Nel senso che gli occupava anche delle serate. Sul tardi. Che doveva togliere alle sue cose, alle sue amicizie, alle chiacchiere con il suo unico parente, alle letture.

Era una sofferenza.

Doveva avere un quadro della clientela, dei rapporti gerarchici, del numero di ragazze impiegate nell’attività. La copertura, in qualche caso, era il centro massaggio. Per lo più, invece, erano appartamenti anonimi, gestiti con grande discrezione. Per fortuna che con i massaggi, si diceva Stucky, le cinesi ci sanno fare, ti riducono i muscoli in lattice. I muscoli posteriori delle cosce, quelli che quando allunghi una gamba ti fanno partorire anche se sei un maschio, diventano foulard di seta che potresti tenere nel taschino.

Dopo il massaggio, dovevi fare la tua mossa. E poteva finire in un altro modo.

Ma lui aveva l’ingrato compito di apparire rassicurante, non soltanto un vorace fruitore. Doveva essere simpatico, gioviale, per niente curioso, ma molto attento e, soprattutto, non era obbligato, così gli aveva detto Montini, a consumare: a noi basta che lei decifri il meccanismo, mappi la situazione, raccolga più informazioni che può.

“Non consumare? E con che scusa rimango lì?”, aveva chiesto Stucky.

“Ispettore, cosa dovrei insegnarle? Un uomo può non fare molte cose con una donna. Anche questo è un bell’agire”.

Titolo: Pericolo Giallo

Autore: Fulvio Ervas

Editore: Marcos y Marcos

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