"Quanto è triste la nostra Italia" - Giovanni Comisso

“Quanto è triste la nostra Italia”. L’appello di Giovanni Comisso in difesa delle opere d’arte veneziane e del Caffè Pedrocchi di Padova

L’Italia è certamente un paese curioso. Ed io dovrò decidermi a scrivere un libro contro gli italiani che da molto tempo mi ribolle dentro. Quando penso a Gogol che con le sue Anime morte riuscì a fare quella crudissima critica del popolo russo, non è che aspiri a fare qualcosa di simile, tanto irraggiungibile è la sua arte, ma so spiegarmi quanto bene abbia fatto alla sua patria. Se tentassi qualcosa di simile per l’ltalia sono sicuro che dovrei subito scomparire per evitare la persecuzione. Il titolo per questo libro l’ho già trovato, l’ho già usato in un mio racconto che tuttavia non mi procurò accenno di persecuzione, ed è questo: «Quanto è triste la nostra Italia». Una frase simile fu detta da un critico russo dopo appunto avere inteso la lettura di Anime morte: «Quanto è triste la nostra Russia».

Uno dei capitoli del mio libro lo vorrei dedicare ai rapporti tra gli italiani e l’arte. Tutto il mondo quando si parla dell’Italia e dell’arte suol dire: «In Italia l’arte è a casa sua». E non sì può contraddirli, effettivamente l’Italia è una terra feracissima d’arte, ma sostenere che gli italiani amino l’arte è un fatto ben diverso. Potrebbe essere una conseguenza naturale, come per il dolciere che fa dolci, ma non li mangia. Ma non è naturale che gli italiani abbiano ad inveire contro gli stranieri se questi distruggono opere d’arte italiane, quando gli italiani sono essi stessi a concorrere in questa distruzione. Per impedire queste distruzioni esiste in Italia, per ogni regione, una Sopraintendenza ai monumenti medioevali e moderni la quale ha fatto prodigi in questo periodo di ricostruzione in ogni luogo di sua pertinenza. Ma a consultare gli incartamenti archiviati che testimoniano le lotte tra essa e gli arruffoni che parlano dì sventramenti e di rinnovamenti v’è da arrossire di vergogna di appartenere a questo paese. Da arrossire perchè la stupidità umana non ha più chiara manifestazione altrove.

Chiesa di San Moisè (di trolvag, Wikimedia Commons)

Una delle Sopraintèndenze più alle prese con tali arruffoni è quella di Venezia. Non vi è ;un uomo sensibile al mondo che non conosca la chiesa di San Moisè in Venezia. Appartiene essa con la sua facciata al più fantasioso barocco italiano ideato da Alessandro Tremignan. Si pensi che in questa facciata l’armonia è tale che un cammello vi sta tra il complesso del fregi come una foglia d’acanto. Ora dopo questa guerra i proprietari del vicino albergo vollero ingrandirlo in relazione al movimento dei forestieri in Venezia e fecero questo ingrandimento a loro modo senza tenere conto per nulla delle limitazioni della Sopraintendenza. Se la Sopraintendenza diceva che non avrebbero dovuto superare una certa altezza per non nascondere il campanile della chiesa rispondevano che avrebbero a loro spese prolungato il campanile. Lo stile dì questo albergo rinnovato è quello cosi detto Jugend che si usava in Germania agli albori di questo secolo. Alle imposizioni di sospendere i lavori fatte dalla Sopraintendenza, e questo è ben triste, quei capitalisti alberghieri sobillarono gli operai, sventagliando il pericolo che non vi fosse più lavoro per essi, perchè facessero cagnara. Non era per amore verso l’operaio, ma per cieca e ottusa speculazione. Tutta l’ottusità risulta chiara nel giro del più semplice ragionamento; «Fate l’albergo più grande, perchè?». «Perchè venendo più forestieri a godere delle bellezze di Venezia abbiano da trovare alloggio». «Ma se nell’ingrandire l’albergo sminuite una delle maggiori bellezze dì Venezia, come volete che venga un numero maggiore di forestieri?». E’ chiaro che costoro sono degni di fallire ed è doloroso che gli operai si siano prestati al loro giuoco. Nessuno riesci ad impedire l’offesa all’arte di questa città, quei proprietari d’albergo riescirono a superare tutti i divieti e fecero come vollero creando un precedente che non si sa dove porterà l’aspetto armonioso delle nostre città che è l’unica vera ricchezza che si abbia in Italia.

Caffè Pedrocchi, lato nord, visto dalla Piazzetta Cappellato Pedrocchi (foto di Alain Rouiller, Wikimedia Commons)

Adesso quella stessa Sopraintendenza si trova in lotta per la sorte del Caffè Pedrocchi di Padova. Qui, i proprietari sono la stessa Amministrazione Comunale della città la quale sta lavorando a una modernizzazione dell’interno del caffè, per farne di certo qualcosa all’americana, perchè in questa città di provincia si sogna, nella reale modestia, grandezze per apparire più di quello che possa essere. Padova ha recentemente inaugurato un grattacielo, chiesi io stesso a uno qualsiasi che lo guardava perchè avessero fatto un grattacielo e mi rispose che Padova non poteva essere da meno delle altre città italiane che hanno tutte un grattacielo. Ora l’Amministrazione Comunale, che avrebbe dovuto tutelare al fianco della Sopraintendenza il mantenimento di quel carattere tipico della città di Padova, perchè non sia confusa con altre città di paesi monotoni, risponde invece che questa Sopraintendenza, prima di occuparsi del Pedrocchi dovrebbe pensare a fare demolire l’albergo accanto a San Moisè, e continua imperterrita nei misteriosi lavori di rinnovamento. Da questo si vede come sia diventato sistema in Italia, siano proprietari privati, siano enti pubblici, di fare quello che credono nelle manomissioni di quel patrimonio artistico che ancora ci è rimasto intatto dopo una guerra annientatrice.

La Sala Rossa del Pedrocchi (foto di Orric, Wikimedia Commons)

Non so se si sappia quale importanza abbia il caffé Pedrocchi se tale rimane nella sua linea interna. Addobbato e ammobiliato come era prima, esso ricordava innanzi a tutto che in quelle sale sorse la prima sollevazione studentesca contro gli austriaci nel ’48. Ma per gli stranieri ricordava, ancora, che uno dei maggiori romanzi francesi: La certosa dt Parma di Stendhal è stato ideato da lui in una di quelle sale, mentre egli prendeva lo zabaglione e un suo amico gli raccontava le avventure e le vicende della contessa Sanseverino. Modificando la struttura interna del Pedrocchi, si compie oggi uno scempio che non mancherà di essere rilevato dal mondo culturale francese con non poco disprezzo. Si pensi a Parigi che conserva intatti nei suoi più storici caffè ancora i tavolini o dove Napoleone andava a giocare a scacchi o dove Robespierre discuteva di politica.
E chi va a Parigi non manca di andare a vederli, ma quando il Pedrocchi sarà trasformato in un grande bar all’americana chi andrà a vederlo ed entrerà a bere qualcosa?

Giovanni Comisso

da “Milano Sera” del 09-10/12/1949

Immagine in evidenza: Chiesa di San Moisè (foto di User Airin, Wikivoyage, Wikimedia Commons) – part.

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