Recensione a “Città sommersa” di Marta Barone

“Città Sommersa” di Marta Barone

Ci sono persone per le quali la certezza della propria origine, la scintilla di un personalissimo big bang genealogico innescatasi in qualche lontano anfratto della propria discendenza, assume le sembianze di una ovvietà priva di mistero, una specie di dotazione naturale che non necessita di alcun sforzo di decifrazione. Poi c’è Marta, autrice e protagonista di questa storia di apnee e risalite pervasa di esitazione e fremito come solo il procedere delicato di una chirurgica imbastitura col passato può esserlo. Con lei, muoviamo i passi à rebours, risaliamo cioè, una corrente gravitazionale che sospinge le cose su un immaginario fondale di una memoria in ombra, dove attendono pazienti che qualcuno restituisca un loro posto dentro. Scopriamo la storia di L.B. puntellata di rinvii all’Italia che era, e che forse esiste ancora nel silenzio dei “grandi”, e che restituisce al lettore un sussulto commovente del passato. Perché sebbene ciascuno abbia la sua storia, per nessuno c’è esodo dalle origini né dagli anni di Piombo, annegati anch’essi come la città di Kitez per mano di chi la Storia l’ha scritta dimenticandosi di L.B. e di quelli come lui, di Marta e delle figlie delle serve, e per questo, andrebbe ricordata senza negazione né pudore né ideologia né paura: perché i ricordi, come la Storia, non si buttano, sono preziose vestigie con cui misurare il giorno, dei fossili di una lontana era che preparava il nostro arrivo al mondo. Quello di Marta, ma anche un po’ il nostro.

Paola Milicia

Nell’estate della sua partenza per Milano, Marta, la protagonista del romanzo, ritrova nella casa dei genitori a Torino la memoria difensiva del padre morto nel 2011, Leonardo Barone, medico arrestato nel 1982 con l’accusa di aver partecipato alle azioni di banda armata di Prima Linea, per poi essere successivamente assolto per non aver commesso il fatto. Questo ritrovamento porta Marta a scavare nel passato di un uomo che pensava di conoscere bene, ma che restò “sempre stranamente opaco, inaccessibile”. L.B. è una figura sfuggevole, inarrivabile, autonoma e separata dall’uomo che la figlia conosceva. Consultando gli archivi dei tribunali, gli articoli di giornale e i racconti dei conoscenti del padre, quest’ultima cerca, infatti, di ricostruirne la storia, che tuttavia resterà sempre frammentata ed evanescente. Marta rimarrà “spaesata in una terra vuota”, ma porterà a galla una città sommersa, ovvero la Torino dell’infanzia e dell’adolescenza, della sua vita, che diventa il luogo della Storia: quella degli anni di piombo e della lotta armata. Quella di L.B. diventa, dunque, la storia di tanti uomini che credevano in un ideale che ha voltato loro le spalle, facendoli soccombere sotto il peso della Storia.
Con stile asciutto e diretto, Marta Barone intreccia la sua vita e quella di suo padre, sovrapponendo passato e presente, i ricordi privati e gli eventi della storia del nostro paese. Le immagini della memoria privata sono, perciò, “parte di un unico insieme”: l’insieme della memoria collettiva, o meglio, della Storia.
“La storia di mio padre, dunque, come una grande conchiglia madreperlata, sotto la valva conteneva la mia: la mia, che già credevo di possedere e in cui invece trovavo una nuova linea, una nuova verità.”

Alberto Paolo Palumbo

Inserito nella lista dei dodici candidati al Premio Strega 2020, “Città sommersa” è una storia individuale che si interseca con la storia collettiva del comunismo degli anni 70 a Torino. La vicenda ha inizio dal ritrovamento di una memoria difensiva riguardante l’arresto di Leonardo Barone per partecipazione a banda armata nel 1982, da cui la figlia e stessa autrice parte per ricostruire un passato ambiguo ed ombroso fatto di testimonianze, archivi e documenti, aprendo inconsapevolmente un vaso di pandora con cui sarà costretta a fare i conti.
Un memoir autentico, spiazzante, che lascia increduli e senza parole. Reale e toccante sia nella descrizione del rapporto padre-figlia sia nel mostrare le stranezze e le atrocità del sistema politico della fine degli anni 70, un passato che tendiamo a lasciarci alle spalle ma che in realtà non è così lontano dai giorni nostri .

Veronica Saporito

Il racconto dell’autrice parte da una necessità scaturita dopo la morte del padre di scoprire e di capire chi veramente lui fosse e fosse stato nella sua vita. Figlia di genitori che si separano subito dopo la sua nascita, vedeva il padre come un uomo immobile, accartocciato sulle stesse cose e sulle stesse parole: non aveva interesse a scoprire, né che ci fosse qualcosa da scoprire. Finchè la scoperta di una vicenda giudiziaria di cui era stato protagonista la spinge a ricercare. E la ricerca si fa sempre più accurata tra testimonianze, archivi, ricordi e fa trapelare un uomo complicato, contraddittorio, sempre dalla parte dei più umili e più poveri, plurilaureato ma lavoratore in fabbrica, pieno di ideali e sogni che si infrangevano generando delusione infinita.
La ricerca minuziosa della storia della lotta politica a Torino attraverso documenti, rivelazioni di conoscenti ed amici dipinge un accurato quadro delle correnti varie della sinistra più estrema, la loro formazione e la loro implosione quando la violenza distrugge il sogno di costruire un mondo nuovo.
Scavando nella vita del padre l’autrice è costretta a ricordare il passato e a considerarlo sotto una nuova verità.
Il testo è ricchissimo di dotte citazioni (forse troppe) che denotano l’amore per la letteratura dell’autrice.
La scrittura è sciolta, fluida, arricchita talvolta di termini inusuali, ma tuttavia la lettura risulta scorrevole ed interessante.

Roberto Riscica & Rosanna Riscica

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