Recensioni a “Corpo a corpo” di Silvia Ranfagni

“Corpo a corpo” di Silvia Ranfagni

Silvia Ranfagni ha il merito – quanto mai coraggioso e impopolare – di dar vita a un romanzo in cui il dubbio, l’impreparazione e il disincanto si mostrano nella loro estrema e talvolta ridicola quotidianità. Bea, protagonista quarantenne di questa storia, sceglie di avere un figlio tramite fecondazione assistita senza possedere alcuna inclinazione biologica o sociale alla cura e al maternage. Il bambino – che chiamerà costantemente “il Corpo” – è per lei un concentrato di pianti e notti insonni, specchio brutale della difficoltà, quanto mai impietosa, di trovare un modo per essere quello che si deve essere, secondo una rappresentazione del femminile che non si attaglia alla sua persona eppure la costringe a ripensarla nella forma e nel “ruolo”. A dispetto delle apparenze, tuttavia, il libro di Ranfagni non è un romanzo femminista: non vi sono rivendicazioni d’indipendenza né alcuna urgenza di decostruzione di stereotipi usurati. Al centro, nel corpo a corpo con la vita, vi è solo il racconto di una maternità che si fa carne, momento inquieto – desacralizzato ma intensissimo – di un’esistenza imperfetta, narrata in seconda persona da un’autrice che blandisce e in parte accusa, interrogando, tra le righe di un sottotesto in-visibile, la società tutta, con i suoi miti e i suoi tormenti – i suoi pre-testi e le singole, inevitabili, smarginature.

Ginevra Amadio

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