Recensioni a “Gli affamati” di Mattia Insolia

“Gli affamati” di Mattia Insolia

Camporotondo, Sud ItaliaIl romanzo è ambientato in questo piccolo paese immaginario, una periferia qualsiasi del Sud Italia dove chi nasce ha un destino già scritto, figlio del contesto sociale, dove le diseguaglianze sono insuperabili e diventano esclusione e sconfitta. Un luogo esistenziale, asfissiante e claustrofobico, dal quale desideri solo andartene per non soccombere.Qui vivono da soli Antonio e Paolo, due giovani fratelli, diversi come il giorno e la notte. Vivono una precaria quotidianità, cresciuti in una sofferta autoformazione da quando il padre è morto e la madre è andata via di casa.La loro giovinezza trascorre tra notti esaltate, sesso, alcol e droga; una vita permeata di solitudine, di violenza, di rabbia autodistruttiva e di atti deprecabili. Quando si confrontano con il mondo esterno, rispondono con odio, incapaci di elaborare le loro emozioni, diseducati sentimentalmente.I due fratelli si sentono orfani di madre, lei li ha abbandonati e lasciati in balia di un padre violento, e quando ritorna a Camporotondo le viene negata ogni possibilità di rientrare nella loro vita.L’assenza di una figura femminile prende forma reale nel disordine e caos che regna nella casa deve vivono, nella violenza che regna tra le pareti domestiche, nel linguaggio forte utilizzato, nel bisogno spasmodico di trovare amore.E come in un film, il romanzo si sviluppa per immagini che lasciano il segno in chi legge, un romanzo d’esordio che tratteggia personaggi complessi ai quali io mi sono un po’ affezionata.

Maria Antonietta Possamai

Impietoso il romanzo di questo giovane scrittore che con un ritmo incalzante racconta la solitudine di due fratelli, una solitudine che li tiene uniti e che loro stessi cercano di difendere con rabbia e con violenza in un paese del sud, fatto di degrado e di emarginazione. E se può sembrare che sia Paolo, con il suo lavoro faticosamente tenuto stretto e con la sua prepotente autorità di fratello maggiore, ad assicurare protezione ad Antonio, sarà proprio il fratello minore ad accorgersi della fragilità dell’altro, cercando troppo tardi di evitare l’irreparabile. Sono due fratelli affamati di vita proprio perché quella vita a loro non dà nulla; non c’è speranza fino a che la violenza è la normalità e l’abuso di alcol e droga è il modo di trascorrere la serata. L’unico riscatto sembra essere la crudeltà verso chi rappresenta l’oppressore in una visione distorta di relazioni personali. Non c’è spazio per la figura femminile: alla madre, che li aveva abbandonati per sfuggire ad un marito violento e ubriacone, non è data alcuna possibilità di rientrare nella loro vita; alla ragazza di Antonio, che timidamente gli si avvicina, non è attribuito altro ruolo che quello di una presenza occasionale, necessaria per la maturazione sessuale del ragazzo. Il romanzo è un ritratto realistico di esasperazione e di solitudine, descritto in un modo crudo ma molto efficace

Caterina Passarelli

Insolia racconta in un modo meravigliosamente semplice la complessità del sud: le frasi sono brevi, cariche di ovvietà che ti spiazzano, perché un conto è saperle le cose, un altro è saperle dire, con chiarezza.Antonio e Paolo bramano un riscatto per i torti subiti dal padre, dalla madre, dalla vita, la loro è una fame giusta, il lettore la comprende e fa il tifo per loro. Hanno tutto il diritto di provarla quella fame e il dovere di placarla. Il problema, quando si ha tanta fame, è imparare a gestire la frustrazione, la rabbia per quanto non ti viene concesso. La storia di Antonio e Paolo ci insegna che il rapporto con le nostre emozioni determina le nostre vittorie e le nostre sconfitte.

Adelaide Landi

Le giornate di Paolo e Antonio (non) trascorrono fra canne e bestemmie, trascinate dall’incapacità di cambiare la propria situazione; anzi, dalla mancanza di volontà a voler cambiare, come se, in un certo senso, volessero rimanere fedeli alla povertà, alla miseria, allo squallore e alla disperazione. Non sfamarsi, dunque, per non diventare come gli odiati ‘altri’. Nell’ultima parte, però, la tragedia dell’esistenza si fa melodramma, vengono rivelati sconvolgenti segreti familiari che non sconvolgono, mentre nel tourbillon degli eventi si perde il filo di molte vicende. Avrei preferito continuare a ‘spiare’ i due fratelli mentre parlano, cucinano o guardano la televisione. Per rendere letterariamente straordinario l’orrore dell’ordinario, però, occorre un talento che il giovanissimo Mattia Insolia sicuramente possiede, ma che non ha voluto ancora tirare fuori completamente. Oppure, una scelta editoriale più coraggiosa. O entrambe le cose.

Vincenzo Politi

“Gli affamati” di Mattia Insolia, edito Ponte alle Grazie nel luglio 2020, narra di due fratelli, Paolo e Antonio Acquicella, rispettivamente di 22 e 19 anni, originari di Camporotondo, «uno sputo di palazzine fatiscenti nel nulla meridionale» e «un confino riservato ai dannati di natura». Paolo è animato da una rabbia irrefrenabile, Antonio, invece, è più innocuo, succube del fratello. Entrambi vivono senza genitori: il padre, Stefano, muore in un incidente domestico mentre era sotto effetto dell’alcol; la madre, Giovanna, ha lasciato i figli quando erano piccoli per scappare dalla violenza del marito. Il contesto in cui vivono, dunque, è un contesto di desolazione, solitudine e rabbia, sentimenti espressi con un linguaggio crudo, spietato, pieno di bestemmie, che molto deve ai Cannibali di Niccolò Ammaniti e che ben rappresenta il vuoto ideologico e la mancanza di alternative dei protagonisti. Nel momento in cui, però, la fuga sembra possibile, la realtà della periferia chiama sempre a un confronto. Camporotondo – nome che richiama la circolarità – è infatti simbolo di un passato e di un contesto sociale che non ti abbandonano mai, e la sua violenza è una ferita che non si rimarginerà mai. “Gli affamati” di Mattia Insolia è un’opera prima matura che sa ben rappresentare la rabbia di una generazione, di una realtà complessa come il Sud Italia, ma che sa anche commuovere ed emozionare, dando ad Antonio e Paolo la possibilità di riscattarsi e salvarsi attraverso la letteratura e l’empatia che suscita nei lettori.«Ho cambiato tutto. Ho cambiato vita, ho cambiato piani. Ho cambiato il presente e il futuro, ma il passato resta quello che è, e ha gli artigli lunghi».

Alberto Paolo Palumbo

Il romanzo, diviso in tre parti, inizia con un prologo in cui l’autore descrive come in una sequenza cinematografica l’uccisione di uno dei protagonisti a cui segue un lungo flash back per terminare con una lettera chiarificatrice. La storia si svolge a Camporotondo un paese inventato del nostro Sud Italia e vede protagonisti due giovani fratelli Paolo 22 anni e Antonio19. Rimasti soli nella casa dei loro genitori i fratelli imparano presto a badare a sé stessi. La madre, infatti, decide di dire basta alle angherie del marito alcolizzato e manesco, abbandona tutti e fugge, lasciandoli così in balia di quel padre padrone, che complice l’ennesima ubriacatura ed una rovinosa caduta muore. Paolo lavora in un cantiere edile mentre Antonio studia ancora e si affida completamente al fratello che lo accudisce e lo guida. La loro è un’esistenza trascinata con inerzia e poche aspettative, si lasciano vivere, passano le loro giornate a fumare e bere con gli amici covando tanta rabbia che spesso esplode in azioni gratuite e violente. Si sentono sbagliati, fuori contesto e arrabbiati col mondo intero, sono convinti che la loro vita non preveda la gioia, il riscatto, ma che sia una condizione irreversibile e non trovano la forza di guardare alla vita con occhi diversi per cercare una prospettiva migliore che permetta loro di uscire dalla trappola della loro condizione che li immobilizza. Mattia Insolia ha scritto un romanzo duro, violento e poetico al tempo stesso, un romanzo di periferie e di giovani, di disagi e sogni, di amori e dolori, con temi dove dominano la violenza domestica, l’abbandono, il degrado, l’abuso di alcol e droghe.

Roberto Conte

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