Recensioni a “Miss Rosselli” di Renzo Paris

“Miss Rosselli” di Renzo Paris

Ogni testo ha il suo autore, e ogni autore ha il suo testo. Se immaginiamo ‘Miss Rosselli’ come l’eccezione alla regola, se la intendiamo, cioè, secondo il rigore convenzionale di certi canoni letterari classici e con la predilezione alla composizione storicistica e storiografica, quasi sicuramente, capiterà di rimanere delusi. Perché nell’opera scritta da Renzo Paris c’è Paris prima di tutto: al dunque (piaceva questo intercalare ad Amelia), un’opera del suo autore che si avvicina alla scrittura diaristica, sinceramente scaturita dal di dentro, dove non solo aleggia l’invocazione oracolare della poetessa, dalla consistenza ancheproustiana e iconocizzante, ma la sua evocazione come in un rito di resurrezione in cui lo scrittore parla con la seconda vita di cui è creatore e medium lui stesso. In effetti, Miss Rosselli è una biografia spiritista, è l’opera stessa quel giochino con il bicchiere quando a comparire è Amelia Rosselli e una lustrissima stringa di fantasmi d’eccezione che hanno affollato la Storia, e che si materializza in un incastro di intersezioni – come fossero tante storie nella Storia – capace di infondere nel lettore lo stesso senso di meraviglia ingaggiante di Gil, il protagonista di Midnight in Paris: i Rosselli, i Pincherle, Pasolini, Bellezza, Scodellaro, Morante, Breton, Bertolucci, Tobino, de Chirico, Vlad, Bazlen. E che dire dell’evocazione dei luoghi, Roma tra tutti, e di una toponomastica urbana così dettagliata che ci trans-porta davanti al portone di via del Corallo, o nel salotto di Via dell’Oca, o nel cimitero acattolico romano, davanti alla sua tomba su cui posiamo un ciottolo; e ancora: l’evocazione dei viaggi e delle fughe dai fascisti e dalle leggi razziali, la Cia, della malattia, della scintilla creativa, e di tanto altro. E ovviamente lei: una donna ipercognitiva con una vita fatta di continue assimilazioni e negazioni che prende la forma di una composizione dodecafonica, apparentemente stonata e schizofrenica, in cui si intravvede la costruzione contrappuntistica avvitarsi al ‘corpus fermo’ della Storia e del Tempo, inquieti e angosciati come lo erano allora. “Io sono una che sperimenta con la vita”, affermò, e forse pensava di poter risalire dal tuffo dal quinto piano come fosse un esperimento d’avanguardia personale.

Paola Milicia

Mi colpisce subito la forma stessa della biografia, che l’autore definisce memoir. Mi dispongo così ad apprezzare le atmosfere psicologiche, non solo i tratti biografici. Mi piace l’idea. Qui, soprattutto gli anni ‘60-‘90 che, come sappiamo, sono stati densi di trasformazioni per la poesia e non solo. Terminato il racconto dei fatti tragici dell’infanzia di Amelia, mi sembra già da subito di intravedere le ombre di poeti e poete, con le loro grandezze e le piccole meschinità. Mi ritrovo tutta. E poi ambienti romani, cimiteri, tratteggi della presenza e dell’eredità dei genitori, non solo di quelli di Amelia.Non so e non saprò mai se Renzo Paris abbia rispettato, da testimone, la veridicità delle azioni di Amelia e dei protagonisti dei suoi ricordi, né delle loro intenzioni; ad esempio, per lei: “tentando inutilmente di farsi sposare da alcuni” o ancora, per Dario, “ mancavano le mie plaquette di versi, che Dario aveva rubato per poi rivenderle.” Ma, in fondo, tutta la nostra vita non è costellata di ipotesi che divengono affermazioni? Io non ne sono esente.Cosa resta di quell’epoca? Non so, assistiamo attoniti al consumo compulsivo, non solo di nuove opere ma anche di nuovi autori, secondo un mito della gioventù che non è anagrafica (i giovani veri sono tutt’ora inascoltati), ma è gioventù (presunta) di idee e di proposte. I nostri migliori scrittori, usati come ammennicoli usa e getta, menti illuminate, linguaggi originali e curati, conoscenze approfondite di italianistica, antropologia, sociologia, filosofia, lingue straniere buttati al vento e dimenticati… Questo ne ne resta?: un funerale con memorie viventi trascurate, che non riescono neanche a riconoscersi le une con le altre…Non leggo un risentimento da parte dell’autore per questo spreco di talenti e di affetti, solo una malinconica presa d’atto.La lettura di questa stupenda biografia mi lascia un retrogusto di malinconia, forse perché c’ero anch’io in via delle Botteghe oscure a festeggiare il “sorpasso”, prima che ne comprendessi il drammatico esito per le successive due generazioni.Malinconia, sì, ma anche commozione: questo insistere sulla solitudine delle donne ha spalancato la consapevolezza della voragine degli uomini soli.

Lidia Paola Popolano

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