Recensioni di “La classe degli altri” di Michela Fregona

La classe degli altri”di Michela Fregona

La classe deglialtri di Michela Fregona, Apogeo Editore, 2019, è un libro che tesse le vicende di una scuola invisibile, il CTP, ora divenuto CPIA. Al CTP di Belluno, nel quale l’autrice insegna da una ventina di anni, ai suoi studenti e agli insegnanti, è dato, attraverso la voce narrante della professoressa, che mai viene nominata, una sorta di diritto di cittadinanza. Finalmente il CTP, attraverso un’operazione che non è solo di narrazione, si libera dalla terra di nessuno nel quale era confinato.I tre piccoli fratellini indiani, che imparano il significato di quantepaline e possono comprarsi un gelato, il ragazzino drop out respinto da tutte le scuole del mattino con una storia di bocciature e di rifiuti che ne compromettono la fiducia in se stesso, l’operaio che ha bisogno di qualificarsi, la badante, trovano in questa scuola, così, una possibilità di riscatto. I tre ragazzini indianti, il drop out, l’operaio, la badante, hanno nomi e cognomi, hanno storie, sono protagonisti.L’autrice ci strappa un sorriso quando ci racconta della gita a Venezia, degli stivaletti ai piedi della ragazza che vengono tolti sul campanile perché le hanno lessato i piedi, ci commuove quando conta gli anni dei suoi corsisti, meno uno. Ecco il grande miracolo di questo libro: commuovere e fare sorridere e farci riconoscere in un’umanità alla quale troppe volte stiamo scordando di appartenere.

Francesca Zammaretti

Quello di Michela Fregona è un romanzo che racconta, attraverso tante storie, la società contemporanea. Lo sguardo si muove dal microcosmo bellunese, ma punta sulla più ampia realtà italiana, attraverso i cambiamenti avvenuti nell’ultimo quindicennio e, mentre ci ricorda quello che siamo stati, noi veneti, noi italiani, cioè degli emigranti, ci indica quello che saremo. Quello che potremmo essere: una società accogliente e multietnica.Il romanzo è narrato in prima persona; chi racconta è una professoressa del CPIA (la scuola degli adulti) che rimane in scena sotto forma di personaggio-coscienza che tutto registra, raccoglie, commenta, digerisce e restituisce. Si tratta di una Coscienza che ingloba ogni dettaglio, perché tutto ha un significato nelle vite degli “altri”. La scrittura rappresenta l’Io-Coscienza attraverso un uso particolare e anomalo della punteggiatura e delle minuscole.E così seguiamo le storie di Giada, Julio Cézar, Noura, Suzana, Aicha, Miscél, dei tre fratellini del Punjabi, e molti altri. La voce narra col fiato corto, come quando il tempo non basta per star dietro a tutto. La si vede questa prof., con i li libri sotto il braccio e una borsa di stoffa, a camminare per le vie di Belluno, col fiatone perché le vite da inseguire sono troppe. La scuola degli adulti è il luogo dell’ultima possibilità di riscatto: l’istruzione.

Claudia Grendene

Avete presente com’ è fatta una lezione frontale? Ecco, Michela Fregona rompe il fronte e si immerge tra i banchi e gli alunni, mentre legge ai suoi alunni, lei legge i suoi alunni. E li vede, che sono là, ciascuno con la propria storia, e ciascuno con la necessità di riuscire a fare e riuscire ad essere. ” La classe degli altri ” ci mostra che l’ istruzione non è l’ apprendimento del contenuto di un libro, ma la possibilità di riuscire ad essere persone libere di poter scegliere chi essere nella loro vita e cosa fare nella loro vita.

Mikela Lupo

Spesso, nella vita serve coraggio. Soprattutto, per mostrare realtà che sono (appositamente messe dalla politica degli ultimi vent’anni) ai margini della società. Quelle che Maria Grazia Contini, pilastro della pedagogia italiana, chiama “scarto”. Se alla scuola mainstream, quella per i giovanissimi alla mattina, si chiedono sacrifici anno dopo anno, quella per gli adulti (che si scopre essere anche per i giovani, alla fine) sembra non avere un quadro molto chiaro nell’immaginario collettivo: spesso, nemmeno da chi nel settore scolastico ci lavora, da come appare dal libro. Allora, eccola lì, Michela Fregona, che, con una brillante (e innovativa) scrittura e con stimabile coraggio, fotografa la bellezza, la ricchezza, la vulnerabilità, l’umanità del CTP (oggi CPIA). Storie degli altri (come la classe degli altri) che altri non sono: siamo, invece, noi. O meglio: siamo stati noi nel passato, in altre parti del mondo, e potremmo di nuovo essere noi nel futuro. Questo è un libro per prendere posizione, dice l’autrice. Una che sembra essere molto chiara ed evidente, a mio parere: la scuola non può più essere (esclusivamente come sembra essere oggi) come luogo di occupazione degli adulti ma deve divenire, prima di tutto, come luogo di formazione.

Saif Ur Rehman Raja

Entrare nella classe di Michela è una bellissima esperienza.
Si simpatizza subito con gli “altri”, si desidera sapere come andrà a finire la loro sfida contro le difficoltà della vita, si spera che riescano a giocarsela bene la loro seconda possibilità.
Ma mentre segui le lezioni di questi docenti di frontiera ti accorgi che non sono molto diversi da te che insegni in una piccola scuola primaria di provincia. Ti ritrovi negli stessi valori: cercare di formare uomini e donne liberi attraverso la conoscenza e trovi conferma del fatto che la scuola può essere il mezzo che cambia una vita, il luogo che rende uguali nel rispetto delle singole diversità.
Leggendo Michela capisci come l’incontro con un’insegnante che crede fermamente nella propria mission può aiutarti a credere in te stesso e a valorizzare i tuoi talenti. Così, pensare che il tuo lavoro lascerà anche solo un piccolo segno nelle vite dei tuoi studenti, ti ricorda che hai una grande responsabilità.
Grazie a Michela che, in questo libro, ha dato la giusta dignità al nostro difficile ed impegnativo lavoro.

Mariamarta Stefani

Quando pensi alla scuola, compare alla vista il profumo plumbeo di una mattina presto di novembre, l’aria viziata di un bagliore anonimo, una luce al neon che si accende nel suo ultimo frangersi sul lavabile psichedelico color vomito giallino, grottesca decorazione di una parete grigia piena di “anime”, ridipinta l’ultima volta nei primi anni Novanta (quando va bene).La scuola può essere anche qualcosa che va al di là di questo: quasi seguendo una distinzione tra Beth-hamikdash e Beth-hamidrash, in questo libro l’edificio deputato all’istruzione pubblica non è fatto solo di mattoni, ma vive nel cuore e nello studio di quelle persone (gli alunni/allievi dell’autrice) che, attraverso le loro vite, portano avanti i valori che ne sono le fondamenta civili.Ogni vita è portatrice di un valore, che si confonde tra i colori, i profumi, le strade, le piazze, i ponti, i bar di una Belluno che Michela Fregona spoglia senza pudore di qualsiasi suggestione provinciale, eleggendola piuttosto a frontiera, e dunque centro di una riflessione che solo una frontiera concreta ma anche ideale come questa (fisica, sociale, politica, economica, umana) consente.In fondo, la scuola è la società, è l’insieme di quelle fondamentali relazioni sociali nelle quali ciascuno di noi, in qualunque emisfero si trovi, in qualunque fase del suo ciclo di vita, volente o nolente, si ritrova prima o poi ad essere coinvolto.

Gregorio Carraro

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