Retroterra istriano - Il viaggio in Friuli di Giovanni Comisso

Retroterra istriano – Il viaggio in Friuli di Giovanni Comisso

Sopra l’Istria, quando tuona è come sentire i passi d’un uomo formidabile su d’un pavimento di legno. È questa una terra emersa dal mare, molto dopo le altre, e le nubi che vengono dall’Adriatico non si sono ancora abituate alla sua esistenza e non pensano a prendere quota. Gravano basse le nubi e la terra sitibonda scarsa di fiumi le attrae colle sue doline simili a ventose di polipi.
Ha questa terra tutto un compatto sostegno di roccia, che sovente affiora come il costato d’un morente. E dove i gorghi del mare turbinarono continui, ne lasciarono l’orma ad imbuto delle doline.
Qui nel fondo la terra raccolta è più umida e il tenace contadino vi ha subito creato frammenti di campo. Altrove al fitto bosco si alterna il vigneto, ma il granturco, il frumento e l’olivo non mancano di apparire decorati di cipressi sui colli come un’im­provvisa Toscana.

Rovigno (Photo by PxHere)

L’Istria è nettamente divisa in due parti, quella costiera e quella del retroterra, la prima è tutta vivificata dal mare, l’altra è solidamente chiusa nel suo arso destino. L’una è tutta immediata bellezza, l’altra è difficile a comprendersi e ad amarsi, ma una volta penetrati nel suo spirito si è presi dall’incanto ed è difficile staccarsene. L’una denuncia chiaramente la sua natura veneta, l’altra quella ancora puramente romana.
Sotto l’Austria le comunicazioni e i traffici erano immaginati soltanto per mare da Trieste a Capodistria, Pirano, Cittanova, Parenzo, Rovigno, Pola e queste città ebbero la vita, mentre il retroterra ebbe strade infernali, quando le ebbe.

Veduta di Pisino, nella valle del torrente Foiba (foto di G.F.S., Wikimedia Commons)

Ora in ogni angolo si lavora allargando e asfaltando e rettificando i percorsi, e queste nuove strade porteranno seco una nuova vita come fossero fiumi fecondi. Indubbiamente non è pensabile uno sviluppo agricolo maggiore dell’attuale, limitato dalla scarsezza d’acqua e di terra, ma è bene quello minerario che darà il suo compenso.
Tuttavia sono in corso le bonifiche del Quieto e dell’Arsa, le quali, per questa regione, dove il valore del metro quadrato equivale a quello d’un campo, saranno pur nella loro pochezza di notevole vantaggio.
Tre sono le principali industrie minerarie: quella della marna per fare cemento, del carbone e della bauxite da cui si estraggono ferro ed alluminio. La rossa bauxite viene in gran parte estratta nella zona ad occidente di Pisino e trasportata ai porti di Quieto e di Leme, passa su piroscafi o su velieri l’Adriatico e va alle fabbriche di Mestre per la lavorazione.

Si addentra il mare nella stretta valle di Leme per oltre una decina di chilometri tra le alte pareti montane acutissimamente verdi. Qui tutto è rosso, verde e azzurro come in una mal riescita pellicola a colori. Arrivano i pesanti autocarri e si scarica la terra preziosa, grandi schiere d’uomini lavorano al trasbordo tra i cumuli e le barche, e il rosso della bauxite è sui loro volti, sulle loro mani, sui loro vestiti, sulle carriole, sulle panche dell’osteria vicina, su tutte le strade, sulle pareti delle case, e questo rosso non è mai apparso come qui tanto complementare del verde, del verde di tutta la boscaglia che è attorno, splendente al limpido sole. I due colori gemelli sono incastonati dall’azzurro del mare ricco d’ostriche che allignano nella tranquillità dell’acqua addentratasi nella terra.

Canale di Leme (foto di Aconcagua, Wikimedia Commons)

La bianca marna si carica invece a Porto Albona ed è questo il traffico dei velieri chioggiotti i quali la trasportano alle fabbriche dell’altra sponda.
Il carbone viene invece dall’Arsa. E’ l’Arsa come il Leme un lungo addentramento del mare tra alte rive boscose, le miniere sono nel fondo, e qui è sorto il nuovo paese di Arsia. Questo vallone era il limite dell’impero romano sotto Augusto, da qui le vedette legionarie volgevano il loro avido sguardo verso oriente, verso il Monte Maggiore, oggi il confine è superato. Giù in fondo alla valle migliaia di operai d’ogni regione d’Italia hanno il loro lavoro e le loro belle case. Se a Leme tutto era intonato su una colorazione rossa, qui invece è sulla nera. Alle porte delle miniere avanzano dal fondo della terra gli uomini. Come fossero le loro pupille smaniose di sole, brillano nel buio le luci delle loro lampade, ed essi appena arrivati alla zona chiara di sole appaiono nel volto annerito, come abbacinati.
Attorno nell’ombra degli alberi vi sono venditori ambulanti di specchietti, di saponi, pettini ed altre cianfrusaglie e i minatori ne sono subito attratti, fuori dalle nere caverne della terra, come bambini da lucenti giocattoli. Dovunque si lavora, si creano spiazzi per nuove case, si assestano strade, si impiantano pali per la luce, si interra la palude. Gli uomini formicolano sparsi tra le rocce e gli arbusti, come un esercito uscito dalla trincea per avanzare contro al nemico. E tra le miniere e il paese altri uomini alzano teloni che si gonfiano al vento, sono quelli del circo Zavatta che sono venuti fin qui coi loro carrozzoni, colle loro ballerine e coi loro pagliacci, per rendere lieta la sera a questi uomini che lavorano nelle tenebre. E le ballerine rosa sul filo teso, e i capitomboli dei nani e le risate infarinate dei pagliacci saranno come un dolce e colorito sogno, per questi minatori, ai quali il vivere è come un oscuro sonno senza schiarite di sogni.

Veduta di Albona (foto di Alessandro Vecchi, Wikimedia Commons)

Azzurri monti su da verdi valli, improvvise apparizioni del mare su dai limiti rossastri della terra, branchi di pecore riposanti all’om­bra dei lecci, e brevi campi.
L’arsa Istria del retroterra ha gente varia: bella e latina come a Pisino, dai grandi occhi sotto a folte sopracciglia con rotonde teste, alta ed asciutta come ad Albona; nelle città il sangue è puramente italico, scaturito senza tregua nel limite degli antichi accampamenti romani, sostituiti poi dai castelli veneziani; nella campagna invece la razza si è formata in rapporto alle invasioni e alle emigrazioni. Dove, agli slavi si sono aggiunti persino romeni sfuggiti nel medioevo alle persecuzioni dei turchi. Vivono queste colonie di romeni, chiamati Cicci, tra Monte Maggiore e Pinguente, attaccati come ostriche alla roccia, ai loro costumi e alla loro lingua.
Alti e incastellati sulle cime dei monti stanno quasi tutti i paesi come Buie, Visinada, Montona, Barbana, Albona per sicurezza ed anche per un desiderio di vedere il mare, altri appena a pochi chilometri da esso, sul primo elevarsi della terra, come a testimoniare una fuga improvvisa, quasi notturna, all’arrivo minaccioso nella rada vicina d’una flottiglia di pirati.
Paesi con le case costruite di roccia che ripete sulle pareti la stessa armonia della terra.

Giovanni Comisso

da La Gazzetta del Popolo del 08/09/1937.

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