Ritratti, Venezia e "libri belli". Intervista a Renzo di Renzo

Ritratti, Venezia e “libri belli”. Intervista a Renzo di Renzo

Un marchio elegante, con un’identità definita, attento ai dettagli minimi. Così che si presenta l’editrice Helvetia, coniugando la cura estetica con la ricerca tematico-formale, in una ‘difesa’ appassionata, complice e coraggiosa, del libro e della lettura. Nata nel 1972 da un’idea di Gianni Spagnol, questa piccola realtà con sede a Venezia si è imposta silenziosamente nel panorama librario inclinando verso un orizzonte territoriale che emerge dalle collane “Rosso Veneziano” e “Veneto Vivo”. Il pulviscolo luminoso della scrittura ‘geografica’ si infittisce grazie allo sguardo di Daniela Spagnol, che dal 2006 è alla guida del marchio e lo immagina – lo ripensa – come un campo aperto, ricco di stupori, esercitazioni, repertori narrativi e figurativi. Le collane “Nuovi Territori” e “Taccuini d’Autore” si pongono, in tal senso, come luogo d’osservazione, dove il microcosmo veneto si allarga a un racconto stratificato, a più facce, capace di intersecare tematiche sperimentali e di viva attualità. “Taccuini d’Autore”, in particolare, è diretta dallo scrittore Roberto Ferrucci e disegna una geometria familiare dai tratti aggraziati, composta da libri in viaggio tra le categorie, che scivolano dalla memoria intima al bozzetto, dalla riflessione sulla storia – e sul senso del tempo – alla pagina di diario.

Tutti i testi raccontano Venezia, la cui natura eterna e multiforme emerge dalle corrispondenze emotive, dal sentimento del luogo che innerva le pagine quasi a costruire un’unica opera potenzialmente interminabile, spesso ai limiti della reticenza espressiva. Pur nella diversità di approcci, i primi quattro volumi (Venezia è laguna di Roberto Ferrucci; Due. Città di J. A. Gonzalez Sainz; Ritratti veri di persone immaginarie di Giorgio Camuffo e Renzo di Renzo; Venezia e io di Marilia Mazzeo) guardano la città con il caleidoscopio, ne restituiscono gli umori, i sapori, il senso di viva precarietà.

Ne è esempio l’agile opera di Camuffo e di Renzo – rispettivamente illustratore e scrittore – in cui grafica, parole e immagini convivono per catturare il mistero, l’incanto che risiede nella separazione tra apparire ed essere. Introdotta da Tiziano Scarpa, questa galleria di personaggi bizzarri – unici, esemplari nella loro marginalità – conserva un senso di stupore che procede dai dettagli, dallo sguardo situato a margine della normatività, a rivelare le crepe di un supposto ordine. Ogni figura tratteggiata da di Renzo ha la sua ‘traduzione’ nella partitura visiva di Camuffo, che si spinge a compiere il dettato per visualizzare i pensieri, la solitudine di questi esiliati. Anche se riconoscibile con precisione, il teatro della scena (ancora Venezia) è volutamente sfumato, come a significare che ciò che conta davvero sono i tipi umani, le azioni che assumono carattere paradigmatico e dunque potrebbero trovarsi anche in altri contesti.

La collana, del resto, mira ad abbattere i confini, mostrando una flessibilità che ha spinto Renzo di Renzo (per anni direttore di Fabrica) a guardare con interesse al progetto.

Ginevra Amadio

L’Intervista

[Ginevra Amadio]: Come è approdato alla scrittura?

Renzo di Renzo

[Renzo di Renzo]: Per mestiere mi occupo di comunicazione, di arte, di quanto ha a che fare con la creatività. La scrittura è sempre stato un diletto, e a volte anche un’urgenza; nel momento in cui mia figlia è entrata nella mia vita ho sentito che dovevo scrivere, raccontare una storia che nascesse da lì. Poi sono arrivate le raccolte di racconti, le poesie, i libri per bambini. Quest’ultimo testo, Ritratti veri di persone immaginarie, mi piace chiamarlo divertissement e in effetti è nato come un gioco, dal progetto per una mostra con Giorgio Camuffo. È stato Roberto Ferrucci, che dirige la collana “Taccuini d’Autore”, a raccogliere la sfida e dar corpo a questo strano mélange. La peculiarità dei volumi Helvetia risiede anche nella scelta grafica, e il mio studio di comunicazione (Heads Collective) si è occupato di ridisegnare il brand della casa editrice e di curare la veste delle nuove collane. Sono felice e orgoglioso di far parte di questo progetto.

L’attenzione all’oggetto libro, la cura del dettaglio che prevedere il ricorso a un certo tipo di carta, a un’impaginazione meticolosa, sembra sempre più una rarità.

È così. Helvetia nasce proprio dalla passione di uno stampatore, Gianni Spagnol, che a un certo punto della sua vita ha deciso di pubblicare opere legate al territorio veneziano. Dal 2006 il timone è passato a Daniela Spagnol che ha impresso una svolta in senso ampio, sia in termini di tesoro tematico che di confezionamento librario. Il formato grafico delle nuove collane mira a rafforzare l’identità del marchio, in un panorama insidiato dalla concorrenza digitale e dei grandi gruppi. È importante tornare a fare libri come si deve, con una bella carta, un ‘involucro’ curato. Volumi come oggetti da sfogliare con piacere, da guardare con gusto. Nel caso di Helvetia, inoltre, il prezzo di copertina è piuttosto contenuto, sì da offrire ai lettori un’alternativa accessibile. Anche la scelta di inserire delle pagine bianche alla fine dei volumi risponde a un desiderio di comunicazione, un protendersi verso l’altro affinché entri nel testo con le sue impressioni. A tutti capita di annotare idee e pensieri ai margini, talvolta tra una riga e l’altra; qui invece il lettore ha un suo taccuino, uno spazio da riempire per integrare lo scritto di partenza.

Veniamo a Ritratti. Come è nata quest’idea di creare una partitura visivo-espressiva con i disegni di Giorgio Camuffo? La relazione tra parole e immagini, da sempre complicata, si è risolta qui in un dialogo fecondo, che lascia tracce indelebili.

Il progetto ha avuto un’origine del tutto estemporanea. Giorgio è un importante designer veneziano e ha realizzato i ritratti prendendo spunto dai volti che incrociava per le calli. All’inizio si era pensato a una mostra d’arte, oppure a un catalogo che raccogliesse queste elaborazioni digitali in tiratura limitata. C’è da aggiungere che anch’io sono un grande osservatore, mi soffermo sui dettagli e da quelli provo a immaginare un mondo; mi chiedo cosa ci sia dietro un segno del viso, dietro un particolare abito. Ecco, i disegni di Giorgio – come un flash – hanno ispirato i miei testi. Sono ritratti un po’ abbozzati, volutamente essenziali, ma conservano sempre il ricordo di un incontro, di una figura che ha incrociato il mio cammino.

Questa integrazione tra visioni ha comportato un’estensione di sguardi? Quanto vi siete nutriti a vicenda?

I lavori di Giorgio sono stati il punto di partenza. Del resto, le immagini fissano un momento che la storia può raccontare lungo il tempo. È stato bello vedere come alcuni scritti abbiano restituito appieno le sue impressioni, trovando un modo per ‘dire’ le immagini – e naturalmente le emozioni. Tra i personaggi ritratti ci sono un gondoliere veneziano, un pescatore di Chioggia e una ragazza piuttosto triste che a me ha ricordato un’inquilina del palazzo in cui abitavo da piccolo. Certi racconti – e certe integrazioni – nascono da qui: uno spunto ne genera altri, in un impasto potenzialmente infinito. L’unica regola che mi sono imposto è stata quella di far entrare i miei racconti in una pagina, così da offrire i tratti essenziali, senza rischiare l’ekphrasis. E poi volevo che i lettori potessero andare oltre, immaginare la vita di queste persone, le loro case, le loro giornate. A volte si dice che un’immagine vale più di mille parole, ma io credo che la parola abbia infinite possibilità di arricchimento e di espressione. Con Giorgio abbiamo anche pensato di lavorare su due piani, dal testo all’immagine, come nel caso delle illustrazioni canoniche. Chissà che non lo si faccia più avanti.

È anche un discorso di scarti, del passaggio dall’apparenza alla realtà. I vostri personaggi aprono crepe sulla superficie apparentemente salda della normalità.

Si dice spesso – sui social è diventato una specie di mantra – che ogni persona che incontri sta combattendo una battaglia di cui noi non si sa nulla. È vero. A me fa sempre una grande tenerezza vedere come dietro certe corazze si nascondano anime fragili, cuori irrequieti. Penso all’immagine che hanno dato di sé due protagonisti del Festival di Sanremo, Achille Lauro e Blanco: apparentemente saldi, scavezzacollo, ma pieni di tenerezza e umanità. Anche per questo nei miei racconti ci sono alcuni temi volutamente accennati, come il bullismo o la sovraesposizione da social network, l’incontinenza verbale che sembra aver spento l’empatia, la capacità di ascoltare l’altro e di tutelarlo.

Mi è parso di individuare, nel suo procedere, una sorta di metodo semiologico-visivo: da un dettaglio estetico può ricavarsi qualcosa della personalità del singolo.

È così. Tiziano Scarpa ha scritto una prefazione molto bella, in cui ragiona sul peso dei dettagli. A me interessava che questi aspetti fossero resi anche con attenzione alla lingua, alla parola giusta, stilisticamente ‘corretta’. Spesso si perde la voglia di ragionare sulla forma e il contenuto ha un peso quasi eccessivo. Scrivere ritratti implica invece una certa precisione, anche sul fronte del non-detto.

E come hai lavorato in questa direzione? La ricercatezza stilistica della tua opera è in effetti prodigata per via di levare.

Mi sono mosso come uno scultore che modella la materia: occorre togliere per cercare di arrivare all’essenza. Tutti i racconti sono stati scritti quasi di getto, in maniera impulsiva, ed erano più lunghi, più densi. Poi l’idea di contenere il discorso in una pagina mi ha spinto a eliminare il superfluo, ed è stato un vero lavoro di cesello. Credo sia rimasto l’essenziale, quanto è necessario ad aprire nuovi orizzonti. Nessuna pretesa, ad ogni modo. È un divertissement, ognuno può leggerci ciò che vuole.

A me ha fatto venire in mente certi film francesi, i folgoranti ritratti del cinema di Éric Rohmer, tra dolcezza e introspezione.

È vero, sono frammenti cinematografici, quasi dei frame che è possibile isolare. Ho voluto, anche grazie a Giorgio, fare un racconto visivo, più in generale sensoriale. Così, come nelle pellicole è possibile immaginare la vita dei personaggi fuori scena, qui si può andare oltre e far parlare la vita, qualunque cosa riservi.

“Ritratti veri di persone immaginarie”
di Giorgio Camuffo, Renzo di Renzo
Collana: Taccuini d’Autore
Helvetia Editrice

Immagine in evidenza da pxhere.com

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