"Scene della vita di provincia: Giornale di Bordo" di Giovanni Comisso

Scene della vita di provincia: un Giornale di Bordo

Nella piccola città di provincia, la sera del giovedì grasso, si sarebbe in vero morti di noia se il signor Mario non ci avesse invitati a cena nella sua casa. Egli aveva scelto quella sera per invitarmi assieme ai miei tre amici forse per farsi scacciare una sua particolare tristezza nel ricordare quando proprio in quella sera di Carnevale l’altra sua casa, situata di fronte, esorbitava di frequentatori. Ora, da tre mesi, era stata inesorabilmente chiusa, perchè il questore non volle più rinnovargli la licenza, non essendo quel quartiere, con gli sviluppi edilizi dopo la guerra, più periferico, come un tempo..

Quando si giunse nei pressi si vide una macchina con la targa di una provincia attigua e montanara, svoltare e fermarsi davanti alla porta di quella casa. Uno discese e suonò il campanello tremulo e diseredato. Invano ritornò a suonare senza essersi accorto che non trapelava luce dalle imposte e nessuna voce veniva dal di dentro. Mi impietosii a quell’attesa e mi avvicinai per avvertirlo che la casa era stata chiusa per ordine superiore e che avrebbe dovuto proseguire per una città vicina. Aveva il volto dell’uomo di montagna, carico di sangue e di desiderio, che in quella sera di Carnevale voleva fuggire il villaggio rattristito nella vallata, ancora nevosa, e scendere alla città sfrenata. Sotto al biondo dei capelli arricciati risultava l’aspetto di un satiro etrusco, ma alle mie parole si era fatto attonito, come sgomento, mentre un altro compagno che stava in macchina si diede a inveire contro le autorità imperanti.

Entrati nella casa del padrone ci accolse subito sua moglie, rosea, levigata, pettinata con tutta la sua chioma d’oro aderente che sfuggiva alla nuca in una grande codastretta al principio da una borchia di brillanti. Indossava un giubbetto di lana rosso Velazquez, bardata di collane d’oro e di braccialetti d’oro, formando un tutto incantevole. Venne anche il signor Mario, subito ospitale, e nel grigio dei suoi occhi si vedeva brillare una gioia, quasi che il nostro arrivo, confermandogli di non essere abbandonato, come un cane rognoso, gli riportasse il senso di altri arrivi nella sua casa di fronte. La tavola era imbandita con rara finezza di tovaglia, di bicchieri e di posate nella vasta cucina divisa dal focolare con una lunga tenda oltre la quale subito si intese il fischiettare di un pappagallo e il cinguettio di canarini, anch’essi salutanti felici la nostra entrata. Tutto fu squisito dall’inizio, dagli antipasti, per svolgersi con un crescendo saporoso tra olio di Lucca e Tokai, fino alla chiusura con un vecchio cognac risolutore e digestivo.

Interior of a brothel in Naples, Italy 1945. Prostitute on bed (Wikimedia Commons)

A metà della cena il mio amico dottore pose subito in tavola il dibattuto problema. — Si sa, egli disse, per l’esperienza fatta in Francia che la chiusura delle case non ha portato un aumento delle malattie veneree, dato che oggi esistono mezzi rapidi e sicuri per combatterle, ma è positivo che ha portato invece un aumento della prostituzione. — E si rivolse al padrone per chiedere quante signorine usava tenere nella sua casa e in media quante erano le operazioni eseguite giornalmente. Dalla risposta, soggiunse pacato: — Ammesso che una signorina soddisfaceva ogni giorno sessanta clienti, si può pensare che, oggi, quei sessanta clienti cerchino, fuori, sessanta prostitute e siccome le signorine erano otto, si avrà che per la strada, dovrebbero circolare quattrocento e ottanta prostitute tra nuove e abituali. — Tutti noi si stava attenti a questo calcolo che non ammetteva discussione, quando il signor Mario disse: — E bisogna calcolare che ogni anno vi è una nuova leva. — Noi si rimase senza comprendere e allora ci spiegò che ogni anno, se una minima parte di frequentatori diserta, vi è bene un’ondata di usciti dalla minorità che si iniziano al culto dell’amore venale e siccome la popolazione è in aumento, è pure in aumento la quota dei frequentatori. Anche questo calcolo non ammise obbiezioni. L’amico filosofo volle interrompere il suo accanito e silenzioso partecipare alla cena saporita per mettere in discussione le conseguenze sodali della mancanza di una tale casa. Citò in apertura Catone, il censore, che era del parere che la prostituzione fosse una valvola di sicurezza per preservare l’onestà di giovanette che sarebbero diventate future madri. Poi citò Londra, dove gli strangolamenti di donne violentate è all’ordine del giorno, in mancanza appunto delle case di prostituzione, in fine disse che in Italia si sarebbe avuto di certo una ripercussione politica, ricordando che nel Lombardo Veneto lo spirito di ribellione agli Austriaci fu alimentato principalmente dall’aumento di pochi centesimi sul prezzo del tabacco che veniva a frenare l’uso di questa voluttà. Il mio amico pittore commentò con la battuta: — Bacco, tabacco e Venere — e accalorandosi soggiunse: — E poi se per disgrazia dovesse scoppiare una guerra, questo stesso Governo chevuole abolire queste case, sarà costretto fìngere di ignorare la nuova legge, per riaprirle a uso dell’esercito combattente, perchè io ricordo che nella prima guerra, erano il nostro solo conforto. — Data la posizione dei nostri ospiti, non volevo che la conversazione assumesse un tono di scoperta violinatura ai loro interessi, anche in rapporto con la cena formidabile che ci veniva offerta, e parlai in opposizione sostenendo che era necessario un progresso umano per quelle donne le quali sono costrette a una vita da cagne. Ma il signor Mario disse che possedeva una vasta corrispondenza di quelle che avevano lavorato nella sua casa, dove era documentato la più ampia soddisfazione col desiderio di ritornarvi. Si alzò per andare in un’altra stanza e al ritorno posò sulla tavola due grossi libri rilegati. In uno che fece circolare per primo vi erano riproduzioni di quadri dell’Ottocento, in prevalenza francesi, che rappresentavano donne nude e lascive. Nel frattempo sua moglie che era seduta accanto a me mi disse roteando gli occhi: — Questa sera è il giovedì grasso. — E m quest’ultima parola vi metteva un’estrema ansia come volesse sedurmi a qualcosa di fantasioso e insieme vi celava una nostalgia verso i bei tempi, quando in quello stesso giorno, seduta alla cassa, distribuiva incessante le marchette. Era ancora più attraente e dissi al mio amico pittore che avrebbe dovuto fermarla vestita così in un quadro che si sarebbe potuto intitolare: “L’ultima signora”. Ma ella avvertì non avrebbe potuto comperarlo, perchè le entrate erano ferme da tre mesi.
Due cani pechinesi erano venuti a scodinzolare improvvisi sotto la tavola e uno le era saltato sulle ginocchia completando tra le braccia nude il quadro in modo mirabile. Quel quadro era nello stesso tempo degno di Carpaccio, di Velazquez e di Utamaro. Intanto qualcuno aveva spinto vicino al padrone il cavalletto del pappagallo ed egli si diede subito a farlo giostrare come un acrobata, poi, fattogli posare le zampette sulle sue dita, lo appressò alla bocca per riceverne baci.
L’album dei quadri fu visto da tutti e si stava ansiosi verso l’altro molto più grosso. Gli chiesi di farlo vedere. — Questo è come il mio libro di bordo, disse, ma non posso mostrarvi ogni cosa. Qui, da quando mia madre aperse la casa nel millenovecento e tredici, vi sono elencate tutte le signorine che vi hanno lavorato. Istantaneamente fummo attratti da quel libro aperto e ci alzammo per metterci accanto al signor Mario. Era un’eccezionale documentazione. Vi erano scritte le generalità di ogni signorina, col rispettivo nome di battaglia, nomi che ricordavano anni lontani. Wanda, Sonia e Maruska in omaggio ai romanzi russi che si leggevano allora negli anni della prima guerra, quando ufficiali e soldati entravano in quella casa, nelle retrovie del fronte, per cogliere forse l’ultima ebbrezza della loro vita. Accanto erano incollate le fotografìe delle signorine acconciate secondo la moda di allora, splenetiche negli occhi cerchiati di blu e coi capelli tagliati alla bebé. Alcune di queste fotografie le rappresentavano ignude, altre vestite succinte. Interposte alle pagine vi era qualche lettera, scritta da esse, per presentarsi e per vantare le loro abilità. Qualcuna diceva con una calligrafìa infantile, che era «tipo bolognese» altra assicurava di essere «una cavallona in stanza» e molte altre dicevano di essere «tipo triestina». Si sentiva battere il ritmo della storia. Trieste era stata conquistata da poco. Il dopoguerra ispirò altri nomi: La Russa, La Viennese, ma quando si giunse all’epoca della «marcia su Roma» il signor Mario si fece più guardingo occultando con la mano aperta un lato centrale della pagina, però si riuscì in qualche punto vedere quello che ci voleva nascondere. Erano annotazioni particolari come: «raccomandata dal federale di Milano» oppure «raccomandata dal seniore della milizia di Brescia» e altre ancora.

Interior of a brothel in Naples, Italy 1945 – Prostitute sitting near religious painting (Wikimedia Commons)

La storia d’Italia seguiva il suo corso nelle pieghe più segrete. Si giunse ai nomi di battaglia aderenti alla nuova epoca: La Balilla e Moschettiera, fino a quelli di: Negretta. Beduina e La Negus che avvertivano la conquista dell’impero. Poi vi fu l’intermezzo della guerra di Spagna con tante Carmen e Lolite, per precipitare negli anni tristi, gli anni della seconda guerra mondiale, dell’invasione tedesca, dei bombardamenti aerei, ma la casa continuò a funzionare sempre e le donne si chiamarono Lilì Marlene e Freida. All’arrivo degli alleati si dipinse accanto alla porta un marchio inusitato: Out of bonds, che vietava l’ingresso a quei soldati in divisa, i quali come per vendicarsi si appoggiavano al muro di quella casa per singultare nel vomito, provocato dal pessimo vino bevuto in una bettola attigua. Le donne allora si chiamarono Mary e Miss, ma infine la vita riprese il suo passo regolare, per arrivare a questi anni ultimi in cui circolarono i nomi semplici e piani di Rina e di Pia.

Il libro venne chiuso e il signor Mario vi posò il braccio sopra come per preservarlo dalla nostra curiosità che non voleva cessare. Fu allora che sua moglie ci servì quel vecchio cognac risolutore e digestivo e mentre lo si gustava, con esclamati elogi, il pappagallo intervenne per dire, comprensibile, una frase oscena, subito redarguito dal padrone e tutti fummo travolti dal ridere.
Mi venne da proporre di farci visitare la casa, ora che languiva inoperosa e il signor Mario accondiscese. Salutata e ringraziata la signora, si scese nella strada e per una porta laterale e segreta si entrò nella casa di fronte. Un senso di freddo, di muffa e di abbandono subito ci accolse dalla prima stanza che era quella dove le signorine si radunavano per mangiare. Un grande avviso stampato stava al centro di una parete: Regolamento della casa, un articolo si succedeva all’altro preceduto sempre dal piglio: E’ proibito… Tutto sembrava proibito in quella casa, era proibito aprire la radio in stanza, proibito di cantare, di bere vino e liquori, di farsi trovare due donne nella stessa stanza, di usare stupefacenti, di aprire la cassetta dei medicinali, senza avvertire la direttrice, di rifiutare i militari e altro ancora. Visitammo i salottini riservati e la grande sala comune, tutto era a posto come nel giorno che aveva cessato di funzionare, ma già ogni mobile nel suo stile Liberty, che risaliva agli anni della fondazione di quella casa, sembrava composto come in un museo, nella stessa freddezza. Salimmo la scala che portava alle stanze, a ogni gradino, lungo la balaustra floreale, si sentiva qualcosa pesare nell’aria come un rintocco di campana. Era la campana del tempo e della voluttà insieme. Quanti piedi avevano salito quella scala dal lontano 1913 fino a tre mesi addietro.

Il lupanare di Pompei antica (General Cucombre from New York, USA, Wikimedia Commons)

L’amico filosofo fece approssimativamente il calcolo, moltiplicò cinquecento per otto e il risultato, per 365 e poi ancora per quarantadue, gli anni di ininterrotta gestione, e si ebbe circa sette milioni e mezzo di ascese. Nel salire fino all’ultimo gradino rivivendo fluidamente la brama di tanti uomini risuonavano in sordina tante marce e marcette militari che avevano punteggiato la storia di tutti quegli anni. Ad ogni stanza il padrone vantava la perfezione dei servizi igienici, ma tutto era freddo, pietrificato, congestionato come se l’acqua si fosse ghiacciata nelle tubazioni e le sbavature di ferro macchiavano le porcellane. Su di una mensola vi era una siringa. I materassi stavano rivoltati a ogni letto che scopriva il traliccio di acciaio clastico. Lo squallore e il freddo che veniva dalle finestre aperte sulle imposte chiuse rendeva quelle stanze più antiche ancora di quelle dei postriboli di Pompei. Un altro avviso stava appeso vicino al lavandino, era dell ufficiale sanitario e ancora si proibiva, si proibiva «il bacio lascivo, bocca a bocca». Sembrava un’iscrizione parietale di Pompei. La desolazione veniva da ogni stanza come se a ogni letto disfatto vi fosse morto qualcuno, quella casa era in vero morta, con tutta la sua storia, con tutta la voluttà in essa consumata, morta senza possibilità di rifiorire ancora.

Scendevamo la scala in silenzio, quasi estenuati, quando improvviso trillò il campanello della porta d’ingresso. Tutti ne fummo allarmati, compreso il padrone, che non volle aprire, ma socchiuse un’imposta per vedere chi fosse, E subito si affacciarono tre soldati chiedendo ansiosi se la casa era stata riaperta.
Giovanni Comisso.

da Il Mondo del 20/03/1955
Immagine in evidenza: První republika (seriál) (Dramedy Productions, Wikimedia Commons)

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