Scrivere è un gioco da ragazzi. “Bolle di sapone” di Laura Aurighi

Scrivere è un gioco da ragazzi’ è un progetto promosso dall’Associazione Amici di Comisso .

Con il progetto, l’Associazione Amici di Comisso ha consegnato a tre scuole della Provincia 20 copie del volume “Viaggio nell’Italia perduta”, raccolta di scritti di Giovanni Comisso sul tema del viaggio in Italia curata da Nicola De Cilia.  In ogni scuola si è svolto un corso di scrittura creativa, sul tema del Viaggio, tenuto da esperti, Antonio Bortoluzzi, Isabella Panfido e Alessandro Cinquegrani. Al termine, il concorso con racconti brevi, al quale sono stati invitati gli studenti partecipanti.

Ecco il terzo classificato

Bolle di sapone

Trovato morto in via Montebello, Torino. Disteso nella propria vasca piena di sapone.

Ma tanto, Vittoria lo sapeva già. Aveva dato lei la terribile notizia. Lo aveva scrollato, gli aveva gridato che non poteva lasciarla così, che sarebbero arrivati i soccorsi. Era stato tutto inutile. Per lui era troppo tardi.

“Ehi, ci sei?”. Le giunse il suono della voce chiara di Giorgio dall’altra parte della porta.Abbassò la musica ed andò ad aprire. Il ragazzo la squadrò dalla testa alle punte dei piedi nudi, laccate di rosso, e tentennò sulla soglia. Giorgio era il figlio degli amici dei suoi, lavorava come medico sportivo allo stadio e tre volte alla settimana bazzicava per i corridoi dell’ospedale dove stava svolgendo il suo stage Vittoria.

“Sono venuto a vedere come stavi…”

“Che bel pensiero, sto bene.”

Lui fece un passo in avanti e si chiuse la porta alle spalle “Senti, immagino come sia per te. Tu e quello lì eravate… amici, credo. E so quanto sia terribile perdere un proprio caro.”

“È carino da parte tua preoccuparti, ma nessuno sa come mi sento.”

Le scese una lacrima nel pronunciare quelle parole e ricordò il suo primo giorno da stagista. Lo ricordava bene, il pomeriggio in cui lo aveva conosciuto: era in procinto di trascorrere i mesi successivi in un nosocomio del capoluogo piemontese per decidere definitivamente cos’avrebbe fatto della sua vita dopo la laurea in Medicina. Pioveva a dirotto e lei non riusciva a trovare l’indirizzo del suo alloggio.“Mi scusi lei!” si era messa a gridare. Quello non l’aveva badata.

Vittoria, guardandolo meglio, si era accorta che non poteva trattarsi di un cittadino qualunque. Se ne stava sotto la pioggia indossando uno smoking e ballava, ballava immaginando di stringere una dama fra le braccia.

Ad ogni passo si interrompeva appena, per interrogare una coreografia chiara solo nella sua mente. La ragazza lo aveva fissato, con gli occhi sempre più sgranati e, chissà perché, sempre più ricolmi di gioia. Ormai incurante della pioggia che cadeva sempre più fitta, aveva azzardato ancora un passo verso di lui e gli aveva teso la mano: “Sono Vittoria”. Quello, dapprima incerto sul da farsi, si era rizzato ed indietreggiando di qualche passo, si era piegato in una profondissima riverenza.

Aveva teso, tremante, la mano consunta a quella delicata della giovane.

Vittoria scoprì che la casa del matto -come tutti lo chiamavano- era attigua al suo appartamento. Dopo quell’episodio, prese a sorridergli quando passava davanti al suo giardino e lo trovava intento ad annaffiare le rose.

Nel giro di tre mesi aveva imparato quali fossero le sue pratiche quotidiane ed addirittura aveva imparato il suo nome. Che fossero diventati…amici? Quando lei si lamentava di non voler più andarsene, perché lì aveva conosciuto Giorgio, perché ormai si era ambientata, lui l’ascoltava e se ne stava lì, facendo le bolle di sapone, per vederle scoppiare sulle spine delle rose ed intanto ripeteva:

“Ogni viaggio è bello perché deve finire. Guarda quelle bolle: ci piace guardarle perché sappiamo che il loro viaggio dura poco, se fossero sempre attorno a noi non ci baderemmo più di tanto, non trovi?”.

Vittoria non capiva il senso di quelle frasi, ma lui sapeva farla sorridere un po’.

“Rocco era speciale.” affermò convinta davanti a Giorgio.

Lui sgranò gli occhi: “Come lo hai chiamato?”

Vittoria si morse il labbro: si era appena lasciata scappare il nome dell’amico, che l’aveva pregata di non rivelarlo a nessuno.

“Quindi?”

“No, Giorgio, niente.” biascicò, ma lui era già avanzato di un altro passo ed ora le stava a pochi centimetri, costringendola a piegare il collo per guardarlo negli occhi e non nel petto palestrato. Non le era mai stato così vicino.

“Potrebbe essere un’informazione preziosissima per capire cosa l’abbia portato a morire in quella vasca, Vittoria, non capisci?”

Incrociò il suo sguardo e le sembrò di vedere per un attimo i suoi occhi blu elettrico perdere la solita calma e questo la spaventò. “Fidati di me, per una volta!”

Poteva fidarsi di Giorgio? Sì che poteva farlo. “Si chiamava Rocco”

Giorgio mosse le mani lungo i fianchi, come per sporgersi verso di lei ed abbracciarla, ma poi le ritrasse subito: “Sali in macchina.”

Guidò fino all’ospedale dove entrambi lavoravano, entrò ed uscì dopo dieci minuti buoni. Tornato nel parcheggio,tirò fuori da sotto la felpa grigia una busta e si sedette accanto a Vittoria. Gliela porse.

“Cartella clinica di Rocco Colucci”

Lei la prese, tremante. Voleva conoscere la verità? Poteva sentire il cuore salire fino alla gola mentre scorreva il dito in basso, verso gli ultimi controlli che aveva fatto, e finalmente ci arrivò. All’ultima pagina era scritto con una grafia frettolosa: “Diagnosticato carcinoma maligno al fegato. Tempo di vita stimato:11 mesi.”

Vittoria si appoggiò allo schienale del sedile, fissando il vuoto.

L’esame era datato 18 aprile 2011, esattamente undici mesi prima della sua morte. Rocco non era pazzo, aveva calcolato tutto.

Si era goduto il suo viaggio, ed era morto come voleva, tra le sue bolle di sapone.

I primi tre classificati di “Scrivere è un gioco da ragazzi”
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