Senzaudio.it, l’osservatorio di Gianluigi Bodi sull’editoria indipendente italiana

Dall’aprile del 2013 Senzaudio.it opera come un osservatorio sull’editoria indipendente italiana. Campo in perenne fermento, l’editoria indipendente ha il pregio di raccogliere le istanze creative della narrativa italiana e internazionale. Attraverso il lavoro di ricerca e scoperta di nuovi autori le piccole e medie case editrici riescono a iniettare nuova linfa nel panorama letterario odierno.
Proprio partendo da questa consapevolezza, nel 2016 è uscita per le edizioni VerbaVolant una raccolta di racconti dal titolo “Teorie e tecniche di INdipendenza” curata da Gianluigi Bodi, veneziano, amministratore di Senzaudio.it, nella quale sono presenti venticinque contributi di scrittori giovani e meno giovani, di tutta Italia, accumunati dall’aver pubblicato per piccole case editrici indipendenti. Gli autori spaziano da Ivano Porpora a Paolo Colagrande, da Ilaria Gaspari a Ginevra Lamberti a Paolo Zardi.
La lettura di questo volume regala un affresco del movimento indipendente. I racconti hanno stili, generi, ambientazioni completamente diverse le une dalle altre eppure la qualità della narrazione è sempre elevata. Questi racconti segnalano soprattutto un forte movimento creativo al di sotto della superficie spesso identificata con i grandi gruppi editoriali.

Estratto del racconto
“La figlia di Pietro” di Gianluigi Bodi

contenuto nell’antologia “Teorie e tecniche di INdipendenza” edita da VerbaVolant 2016.

Aprii la porta della stanza appartamento di mio padre e il suo odore mi colpì forte alla bocca dello stomaco. Mi appoggiai allo stipite nell’attesa che l’onda destabilizzante passasse. Pensai che i fantasmi dovevano essere profumi portati dal vento. Ero stata in quella stanza solo un paio di volte da quando mio padre ci si era trasferito. Non voleva che ci incontrassimo nell’aparthotel. Preferiva che i nostri incontri avvenissero in quelli che lui definiva ambienti permeati di vita e non di morte. Molto spesso ci si trovava a casa mia. Mio padre e i miei figli passavano ore a giocare, fingevano di fare la lotta fino a che lui non si distendeva per tutta la sua lunghezza sul pavimento portando le mani al cuore e i miei figli, come conquista, lo assalivano. Io restavo seduta in poltrona a guardarli, chiedendomi se quelle risate grasse e cavernose di mio padre avessero rimbombato anche nelle mie piccole orecchie di bambina.

Nella stanza mi muovevo a piccoli passi. Non avevo la minima confidenza con quel posto e anche se mio padre non c’era più e non ne poteva più rivendicare la proprietà mi sentivo come se stessi violando uno spazio privato. Iniziai a piegare gli indumenti invernali. Qualche paia di pantaloni, le camicie, i maglioni pesanti e la biancheria intima. Nel lato dedicato all’estate trovai alcune camicie a maniche corte e una dozzina di polo tutte in tinta unita. Non aveva mai amato la confusione nei vestiti.
Appeso ad una gruccia c’era un abito, chiuso dentro una busta di plastica. Era l’unico abito elegante che aveva. Lo guardai con attenzione per capire se poteva essere adatto ad essere indossato durante il funerale. Non riuscivo a togliermi dalla testa l’idea che mio padre lo avesse tenuto con cura proprio per quel motivo. Bastò poco per togliere le sue tracce dall’armadio. Gli anziani hanno bisogno di pochi vestiti, non devono più impressionare nessuno. Si vestono perché respirano. Finito l’armadio passai all’angolo cottura. Il frigorifero era semivuoto, alcune delle confezioni aperte avevano una data di scadenza prossima e le buttai. In generale cercai di disfarmi di quante più cose fosse possibile. In bagno trovai un paio di flaconi di bagnoschiuma ancora chiusi, oltre a quello aperto dentro la doccia e lo shampoo anticaduta, un unico schizzo di vanità per un uomo, che tutto sommato, se n’era sempre fregato dell’apparenza.

Ripulii i cassetti dei due comodini senza trovarci niente di importante. Le scatole dei medicinali che era costretto a prendere ogni giorno, la custodia degli occhiali (gli occhiali invece erano sopra il tavolo da pranzo) e una vecchia agenda tenuta assieme da un elastico, con i numeri di telefono che aveva raccolto durante tutta una vita.

La stanza era vuota e in qualche modo sembrava più fredda ora che tutto stava finendo negli scatoloni. Decisi di aprire le finestre per far circolare l’aria. Il gelo invernale forse avrebbe permesso che l’ombra di mio padre, che percepivo, si staccasse da quel luogo.

Mentre guardavo di fuori, fissando il muro a qualche metro da me, intercettai il mio riflesso su una finestra del palazzo di fronte. In quel momento mi resi conto che l’immagine che avevo davanti a me era mia.

Non c’era traccia di me o di mia madre in quella stanza. Tutti gli averi di mio padre potevano essere contenuti in cinque scatoloni di media grandezza, ma nulla di tutto quello che giaceva sul pavimento dimostrava che lui avesse un legame con altri esseri umani.

Ero delusa e arrabbiata. Non riuscivo a capire come avesse potuto disfarsi dei suoi ricordi. Di noi. Perché ci aveva fatte sparire? Mi sedetti sul letto, presi la testa tra le mani, incapace di piangere. Quella stanza era stata solo un involucro per mio padre. L’agendina era l’oggetto a lui più legato e quei nomi ormai non appartenevano più a nessuno.

Titolo: Teorie e tecniche di INdipendenza

Autore: Gianluigi Bodi

Editore: Verbavolant

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