Giovanni Comisso - Fine dell'estate

Sul finire dell’estate

L’aria era mutata, non era ancora fredda, ma il suono delle campane dalle chiese dei paesi lungo il vasto torrente, giungeva diverso, meno vibrante. Già fredde, invece, erano le acque del torrente, e si cercava di passarle in fretta, mentre le sabbie conservavano ancora un po’ di tepore. I ragazzi che nelle giornate estive venivano a nuotare con noi, si vedevano sulle alte rive passare con le ceste verso le vigne a vendemmiare. Ci sedemmo vicino alla capanna di frasche fatta dai legnaioli, dove spesso ci eravamo riparati durante l’improvviso scatenarsi di temporali, e il mio compagno scoperse alcune piccole piante di melone germogliate dalla sabbia e avvizzite nelle tenere foglie ai primi freddi della notte. Subito ci ricordammo della splendente giornata di luglio, quando il mio compagno con i ragazzi che erano venuti giù dal paese a nuotare, rubati in un orto alcuni meloni, ne avevamo fatta un’allegra mangiata, là presso la capanna, con un estro selvaggio di avere catturato una preda feroce e saporita. I semi sputati sulla sabbia avevano germogliato alla tepida umidità della notte. Tre, quattro, cinque foglioline si erano spieghettate al caldo d’agosto, l’esile gambo, quasi vitreo, aveva cominciato a protendersi, ancora qualche giorno di sole forte e sarebbero spuntati i riccioli e i primi fiori, ad aprirsi gialli per l’immediata avidità delle api. L’aria s’era mutata e le aveva raggelate nella notte, nessuna fogliolina s’era più spieghettata, le pianticelle sembravano volersi ritrarre in loro stesse, come lumache infastidite. Presto sarebbero scese giù dalla valle le prime piene autunnali e tutto sarebbe stato cancellato e disperso.

Il mio compagno interruppe il mio silenzio, mentre disteso continuavo ad osservare le piccole foglie, per dirmi che aveva ricevuto una lettera da un suo amico che girava da un paese all’altro, seguendo sagre e fiere con una baracca di tiro al bersaglio, ma non era ancora riescito a leggerla, tanto era male scritta. E si era messo a rileggerla.
Balbettava nel cercare il senso delle parole che venivano decifrate a scatti come si fosse messo a suonare a memoria su di un pianoforte scordato, ma tutto d’un tratto simile ad una melodia ritrovata, il senso si fece chiaro: «Lo scopo che mi spinge a te, come amico che faccia al caso mio è questo: ti prego, caro Ado, di interessarti subito di un affare che mi preme, cercami in paese se c’è ancora quella ragazza mezza zingara, che tu sai, e dicile che io sono disposto a prenderla nel mio tiro al bersaglio, darle da mangiare e da vestire, e che c’è ancora da guadagnare duecento lire al mese, ma deve stare con me ed essere mia». Ado mi spiegò che questo suo amico era senza una gamba e che le donne non ne volevano sapere di lui, e che questa ragazza egli l’aveva incontrata durante la sagra di Sant’Elena. Ella non aveva che diciassette anni, non era bella, ma aveva il corpo già maturo e come si concedeva facilmente agli altri così si era concessa pure a lui.

Era discesa giù dall’alto della valle con la sua famiglia che aveva una bancherella di dolciumi, ma appunto dopo la sagra di Sant’Elena non aveva più voluto seguirla. Come un uccello travolto da una burrasca fuori dai suoi monti e dai suoi boschi, inebriato di altra aria e di altro cielo, ella si era smarrita follemente.

Questi uomini della pianura le erano apparsi diversi e più belli, la notte della sagra era passata dalle braccia dell’uno a quelle dell’altro lungo una vigna carica d’uva, entro ad un fosso in secca, nell’ombra d’una siepe, in un fienile sul colle, per finire sino all’alba nella baracca del tiro a bersaglio. Il giorno dopo, suo padre l’aveva schiaffeggiata sulla piazza in presenza dei ragazzi incuriositi a guardare la partenza dei baracconi. Ella non volle più saperne della sua famiglia, si sentiva sicura di potere vivere lo stesso: gli uomini la desideravano, e fuggì prima che la bancherella venisse disfatta e ripiegata sulla carretta che ella doveva aiutare a spingere da un paese all’altro. Attraversò le vigne che serrano il paese e si era fermata al torrente ampio nelle sue ghiaie e nei suoi sabbioni divisi da poche trame d’acqua. Per tutto il mese d’agosto aveva vissuto in questo luogo libero e sconvolto, in una breve isola, mutevole secondo le stagioni e le piene, fiorita d’erbe con morbidi pennacchi come d’oro, di tamerici, di cardi, di pioppi e di salici, passando la notte e le calde ore del meriggio in una capanna simile a quella dove stavamo noi, costruita dai cercatori di legna per loro ricovero. Due giovani del paese la venivano a trovare e le portavano da mangiare. Altri lo seppero e fecero altrettanto. Viveva, aveva da mangiare, aveva la compagnia di questi uomini diversi e belli e coi suoi diciassette anni si sentiva padrona del mondo, ma in paese cominciarono ad accanirsi contro di lei. Le famiglie dei giovani ne avevano parlato al parroco, il parroco ne aveva parlato ai carabinieri, la ricercavano per arrestarla e ricondurla alla sua famiglia. Fuggi da un’isola ad un’altra, poi alle prime pioggie di settembre e al primo freddo della notte non aveva da coprirsi, la pioggia passava attraverso le frasche della capanna e non poteva più resistere e si ritrasse verso le colline boscose poco lontano dal paese in una baracca abbandonata, per continuare a vivere come sul torrente.

Il mio compagno non ne aveva saputo più niente, da molti giorni non l’aveva più vista. «Capisci, mi disse, sarebbe la sua fortuna, si metterebbe a posto». Il sole già declinava, si sentiva nell’aria una leggera umidità che si raffreddava sui nostri vestiti, strappai alcune delle piccole piante di melone e mi alzai proponendo di andarla a cercare. Giunti in paese prendemmo le biciclette e andammo verso la strada dei boschi. Appena fuori, Ado fermò un giovane che frequentava la ragazza e gli chiese se sapeva dove fosse. Questi sorrise, ci guardò negli occhi e disse che sicuramente si sarebbe trovata nella baracca abbandonata vicino alla fontana del bosco e che con un pane e due fette di salame si sarebbe combinata la faccenda. Si giunse alla fontana e vedemmo una bicicletta appoggiata ad un albero, subito si pensò che ella fosse nel bosco e quella bicicletta fosse d’un suo amante. Scendemmo e ci si mise a spiare tra il folto delle frondi, ma poco dopo si vide uscire un ragazzino che era andato a cogliere ciclamini, prese la sua bicicletta e se ne andò.

Foto di Todd Trapani da Pexels
Foto di Todd Trapani da Pexels

La baracca era poco lontana, tra i campi di granoturco, prendemmo il viottolo e trattenendoci dal parlare ci avvicinammo alla baracca. Rasentammo le siepi per non essere visti e giunti a pochi passi ci appressammo di corsa verso la porta aperta. L’interno era deserto, vi era sterco in ogni angolo e nessun segno di giaciglio. Ma il mio compagno pensò che poteva essere più avanti in una cascina e ritornammo sulla strada.

Ad una casa, Ado volle fermarsi per chiedere notizie, vi era una ragazza, pure facile agli amori e ne chiese proprio a questa. Ella ci conosceva e rise maliziosa: «Si, è da queste parti, ma voi arrivate tardi, sarà un’ora che è passato sù Berto in bicicletta e andava sicuro da lei».

La sera scendeva sui colli boscosi e una leggera nebbia si sollevava nelle brevi valli. Arrivammo alla cascina che sorgeva tra i grandi meli, il posto era incantevole, solitario e nel più grande silenzio. Nascondemmo le biciclette nel fosso e senza parlare camminando sull’erba andammo alla porta rimanendo in ascolto, nulla si intese, entrammo, un po’ di paglia era in un angolo, e una scatola di latta, alcune mele marce e una pannocchia rosicchiata, non si sapeva se dai topi o dalla ragazza, Forse là ella aveva dormito e compiuti i suoi amori, l’ombra occupava in parte la stanza, rimanemmo incantati a guardare e sembrava non volessimo convincerci che ella non vi era. Ado disse che forse poteva essere in un fienile più avanti nella valle o all’osteria vicina. Una piccola casa era poco distante e vi trovammo un vecchio che stava facendosi la polenta, chiedemmo se sapeva dove poteva essere a quell’ora quella ragazza bionda girovaga e folle. Egli l’aveva vista qualche giorno prima, ma assicurava che non era più da quelle parti, le donne l’avevano bastonata perchè andava coi loro ragazzi e i carabinieri la cercavano. Si pensò che il vecchio mentisse.

Foto di Robert Modalo da Pexels

All’osteria, dove spiegammo per quale ragione si cercava, due uomini che v’erano dissero che non sapevano nulla di preciso, forse poteva essere nei dintorni e parvero dubbiosi del nostro interessamento, ma una giovinetta che raccoglieva fagioli nell’orto e che aveva inteso i nostri discorsi, come ci vide uscire ci disse che l’aveva vista nel pomeriggio alle case più sopra.

Rimontammo sulle biciclette e si proseguì di corsa su per la salita che si faceva sempre più erta. Vedemmo il fienile sul pendio d’un colle e si volle andare a vedere. Bello di fieno profumato, con una piccola stalla piena di paglia, era disabitato, come gli altri rifugi e ci apparve come il più delizioso posto per fare all’amore. Arrivammo alle case dove alcuni uomini stavano caricando casse di mele su di un carro, e due giovani contadini portavano le vacche ad abbeverare. Chiedemmo della ragazza e tutti si fermarono nel loro lavoro per guardarci sorridenti.

Non era vero che fosse stata lassù nel pomeriggio, da molti giorni non l’avevano più vista. Ma uno di loro intervenne per chiederci se noi proprio la conoscevamo, perchè se ci fosse toccato vederla ci sarebbe passata la voglia, tanto era sporca e puzzava. Spiegammo che si cercava per altra ragione da quella che credeva e Ado gli lesse la lettera del suo amico. Quello allora soggiunse che fino a poco tempo fa era passabile, ma da ultimo si era fatta aspra e brutta perché da per tutto perseguitata dalla gente. Aveva due o tre giovani che le portavano da mangiare e godevano in cambio i suoi favori, se si potevano chiamare tali, ma egli non si era mai perduto dietro a quella mela marcia. E riprese cogli altri a caricare le casse sul carro. Quelli che abbeveravano le vacche ci guardavano avidamente curiosi, chiedemmo anche a loro, arrossirono e dissero che non l’avevano rivista da più giorni.

Oramai imbruniva sui colli e nelle valli, scendemmo giù di corsa per la discesa scontenti del nostro inutile cercare. Il vento della corsa ci batteva freddo sul volto. Vicino al paese incontrammo Berto che era stato uno dei più fedeli alla biondina. Non era vero che fosse passato per la strada dei boschi: le ragazze ci avevano mentito per burlarsi di noi. La biondina era partita, se n’era andata non sapeva neanche lui dove, gli avevano detto che cinque giorni fa l’avevano vista parlare con due conducenti di un autocarro e poi era salita su con loro e se n’era andata.

Giovanni Comisso

Pubblicato sul n. 6 della rivista “Circoli” del giugno 1939 con il titolo “Fine dell’estate”.

Immagine in evidenza: foto di Jackson David da Pexels.

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