Sulla strada giusta con Francesco Grandis

Ho terminato da poco la lettura di “Sulla strada giusta” di Francesco Grandis (Rizzoli).

Continuo a rigirarlo tra le mani e a riaprirlo in alcuni punti che ho sottolineato, non ho voglia né tantomeno intenzione di riporlo nella libreria accanto agli altri volumi. In questo libro c’è l’amore per la vita, c’è la ricerca della felicità che passa attraverso la conoscenza di sé, c’è il desiderio di cambiare, il coraggio di partire viaggiare e conoscere, di incontrare l’ignoto, c’è la paura, di cambiare e fallire, c’èla spiritualità, c’è la voglia di condividere le emozioni provate nel sentirsi parte della natura, nell’incontrare persone tanto diverse le une dalle altre, nel visitare luoghi tanto disparati…

Ma chi è Francesco Grandis?

Francesco nasce in Veneto nel 1977, si laurea in ingegneria elettronica e intraprende una promettente carriera nel suo campo fino a quando, nel 2009, decide di lasciare il lavoro per partire da solo per un giro del mondo di sei mesi.

Un viaggio che gli ha cambiato la vita e che gli ha permesso di guardarsi dentro per capirsi fino a scegliere coraggiosamente di diventare “programmatore nomade”. Nel 2013 decide di lasciare anche questo lavoro per dedicarsi esclusivamente alla scrittura e al suo blog https://www.wanderingwil.com/

In poco tempo “l’esistenza mediatica” gli attribuisce uno strepitoso successo, tanto da riuscire a promuovere e a vendere sul web, attraverso l’autopubblicazione, oltre 10.000 copie di Sulla strada giusta

Il talento e la determinazione di Francesco non sfuggono a Rizzoli che ad aprile 2017 pubblica, appunto, Sulla strada giusta

Leggendo il libro di Francesco hai la convinzione che si tratti di un romanzo, una trama ben strutturata, un protagonista pieno di debolezze e di punti di forza, giovane, solitario, affascinante, simpatico… Lo immagini mentre percorre chilometri con un’auto riadattata a camper,mentre scende da un aereo annusando l’odore di una nuova terra, mentre balla il tango, mentre percorre un sentiero poco battuto sulle Dolomiti, mentre lavora al computer dopo esser stato in spiaggia a Copacabana o nel chiuso di una stanzetta poco distante dal Piave.

Ti sembra di soffocare con lui dentro a quella fabbrica che lo ha fatto fuggire e ti commuovi immaginando le stelle della Via Lattea che si specchiano su di un lago cristallino.

Quando poi ti ricordi che questa è la sua storia, ti vien voglia di invitarlo a sedersi attorno ad un fuoco per fartela raccontare…

E poiché in Piazza Comisso tutto può succedere, chiedo a Francesco di accendere il fuoco…

Ascoltiamo cosa ha da dirci.

Francesco, filo conduttore del tuo libro è a mio avviso il tema della ricerca della felicità. Migliorare la propria vita è possibile, a volte servono cambiamenti radicali, altre volte meglio procedere a piccoli passi…sono comunque indispensabili alcuni indizi…li hai cercati o ti si sono manifestati?

Alcuni li conoscevo da sempre, senza esserne consapevole. Il mio amore per la natura è l’esempio più ovvio: ho sempre saputo di amarla, fin da quando ero piccolo, ma c’è voluto un viaggio tra i parchi naturali del Canada,a trent’anni suonati,per capire che il mio non era un semplice piacere personale, ma un autentico bisogno. Seduto in riva a un lago pulito, nel silenzio, con una Via Lattea sopra di me e un’altra riflessa sulla superficie dell’acqua, ho pianto per una bellezza così intensa da essere intollerabile.

Quello non era un indizio, era uno schiaffo in faccia: “Svegliati!” mi urlavano le stelle. Le avrei ascoltate solo due anni più tardi.

Altre volte mi sono messo alla ricerca, senza sapere esattamente di cosa, comprendendo il senso del mio percorso solo una volta terminato. L’indizio della condivisione, per esempio: è servita una camminata solitaria sulle Dolomiti per afferrarne il senso.

Stavo cercando qualcosa, quando ho messo lo zaino in spalla e sono uscito di casa incamminandomi verso nord? Sì, certo, ma sapevo cosa? No. Però l’ho trovata.

“A cosa serve la televisione quando si hanno un fuoco e un cielo stellato?” Con questa frase chiudi un capitolo del tuo libro…amplio il senso della domanda chiedendoti a cosa servono i social quando si ha la “vita reale”?

I social, e più in generale Internet, sono strumenti formidabili e possono essere molto utili. Me ne sono servito per portare un messaggio a persone che non sarei mai riuscito a raggiungere altrimenti:parliamo di decine di migliaia di persone. Un successo, per quanto mi riguarda.

Sarei un ipocrita a condannare questi mezzi, ben sapendo quali opportunità sia riuscito a procurarmi grazie ad essi. Il problema, come in tanti altri casi, è l’eccesso, l’uso scorretto o deviato.

I social, semplificando, sono un mezzo per veicolare informazioni,e sono ottimi per creare coinvolgimento o mantenere contatti, ma è pur sempre una comunicazione limitata, fatta di sole frasi selezionate, immagini statiche o video. Sono frammenti di vita non del tutto rappresentativi, come fossero presi a campione. Non si può pretendere di trovarvi la vita reale, fatta di infinite sfumature e significati. La vita vera è ciò che resta quando abbiamo spento tutto il resto.

Nel libro ci racconti i tuoi momenti di crisi e le lacrime liberatorie. Ci fai conoscere la forza della meditazione in Thailandia,ci inviti a riflettere su religiosità e spiritualità nel capitolo dedicato all’India.  In contrapposizione il mondo occidentale sembra non voler rallentare, il lavoro ruba il nostro tempo. Processo irreversibile?

Forse no. Spero di no. Riesco a percepire un cambiamento nell’aria.

Sempre più persone iniziano a rallentare questa corsa sempre più insensata: qualche anno fa si parlava di downshifting, termine usato per indicare quei ricchi professionisti che abbandonano professioni prestigiose e ben pagate a favore di una vita più semplice. Oggi invece si parla più spesso di studenti che cercano strade alternative prima ancora di finire l’università. Si parla di lavoratori, come potevo essere io, che abbandonano la corsa prima di aver raggiunto posizioni prestigiose. Non si tratta quindi di “scalare marcia” dopo la corsa, ma di non iniziare nemmeno! È un grande movimento di sfiducia verso questo sistema che tanto dà e tanto toglie, che promette ma solo di rado mantiene.

Alcuni vorrebbero tornare al passato, ma lo considero un errore. Dovremmo andare avanti, invece, verso qualcosa di nuovo e mai tentato prima, che metta insieme le esperienze fatte finora e corregga i grandi errori commessi.

Ci riusciremo? Saremo abbastanza da creare un reale cambiamento? Difficile a dirsi. Di sicuro vale la pena provarci.

La tua dimensione ideale sembra essere quella del contatto con la Natura…alcune immagini che hai descritto così bene lasciano trasparire le tue emozioni. La vista del Perito Moreno, il cielo stellato, la natura selvaggia del Nord Europa, il silenzio…la scrittura è anche “condivisione”?

Certo. I vari viaggi mi hanno dato e insegnato tanto, ma il mio carattere mi ha spinto ad affrontare il mondo quasi sempre da solo. Eppure è stato proprio grazie a quella solitudine volontaria che ho compreso il valore della condivisione. Non ho mai voluto nessuno accanto quando stavo male, quando ero affaticato o spaventato, per spartire il peso del mio malessere, ma ho sempre avvertito una punta di nostalgiaquando stavo bene, magari proprio di fronte a uno spettacolo della natura. Mi mancava qualcosa.

La mia non era solitudine, era desiderio di condivisione: una volta scoperto un nuovo tesoro, mi sentivo quasi in colpa di essere lì a goderne da solo, senza le persone che amavo. Averle accanto non mi avrebbe tolto niente… la condivisione è moltiplicazione. Scrivere è stato uno dei modi per “portare a casa” quei tesori.

Alcuni personaggi del tuo libro sono memorabili…tra tutti i tuoi datori di lavoro che ti hanno permesso di essere “programmatore nomade” senza ostacolare le tue scelte, la bambina indiana che conquisti con un pennarello ed un sorriso, Elisa, generosa compagna di viaggio, Nicola l’amico di una vita…migliaia di chilometri percorsi in tempi relativamente brevi non hanno ostacolato il formarsi di rapporti umani?

Forse un po’, ma non ha mai rappresentato un problema per me. Esistono tanti tipi di viaggio e altrettanti tipi di viaggiatori. C’è sicuramente chi predilige la componente umana e trova conoscenza ed energia nei rapporti con le persone;altri potrebbero trovare tutte le risposte di cui hanno bisogno fissando il sole al tramonto riflettersi sull’acqua. Pur non essendo un estremista, io appartengo sicuramente a questa seconda categoria.

Fin da piccolo sono stato un osservatore silenzioso: guardavo, cercavo di capire, e nella mia mente formulavo domande e risposte. Questo lato del mio carattere, pur levigatosi nel tempo, è rimasto dominante.

Nel 2013 ho fatto un viaggio meraviglioso: due mesi e mezzo esplorando la Scandinavia in auto, e sono stato solo per quasi tutto il tempo. Un osservatore invisibile mi avrebbe colto ogni giorno assorto nei pensieri, in silenzio,ma io ero impegnato in una conversazione con la natura: una conversazione che non ha bisogno di parole.

Se domani dovessi partire…cosa metteresti metaforicamente nello zaino? E soprattutto partiresti nuovamente solo?

Non sarà perfetto né completo, ma nel mio metaforico zaino di viaggio ho già fatto pulizia da un po’ di tempo.

Porto sempre la prudenza, ma pochissime paure. Porto l’apertura mentale e lascio a casa i pregiudizi. Porto la curiosità e la capacità di osservare. Porto anche un po’ di spazio vuoto, in modo da riempirlo con quello che imparerò strada facendo.

Ora però non viaggio più da solo: con me ci sono Lisa, la mia compagna, e Michele, il mio bambino.Porto qualcosa anche per loro, soprattutto per il più piccolo. Tanta voglia di mostrare, di stupire, di rispondere alle domande, di stimolare la curiosità, di sconfiggere le paure. Ma porto anche tanta voglia di ricordare le cose che Michele conosce d’istinto e di cui è custode, come tutti i bambini, ma che io ho dimenticato crescendo, come tutti gli adulti. Michele è un maestro, per me, quanto io lo sono per lui.

Dicevamo… se partirei da solo? In teoria sì, ma non so se ci riuscirei, adesso. Vi racconto questa: a marzo avevo un po’ di tempo libero, e ho prenotato un volo per il Portogallo, solo per me.Due giorni prima di partire ho guardato Michele, che sarebbe rimasto a casa, e mi è passata la voglia di andare. Credo che questo voglia dire che mi sono lasciato i viaggi solitari alle spalle, almeno per un po’.

Autopubblicazione, passaggio ad un editore importante come Rizzoli. I numeri parlano chiaro, le pagine che ho letto lo confermano: è nato uno scrittore…non puoi sottrarti allora alla domanda di rito. Quali progetti per il tuo futuro letterario? Puoi regalarci una piccola anticipazione?

Con“Sulla Strada Giusta” ho raccontato una parte importante della mia vita, mettendoci tutto quello che potevo. Qualcuno ha commentato dicendo che avrei potuto scrivere tre libri con quel materiale, ma io non ho fatto economia: volevo lasciare un segno. Per forza di cose non posso scrivere un “Sulla Strada Giusta 2”, non subito, almeno.Dovrei prima vivere altrettante esperienze.

Non mi dispiace, però.In tutta sincerità, nella mia vita non vorrei parlare solo di ricerca e felicità e tempo.Ho già detto molto di quello che dovevo dire, ora è il momento di scrivere un nuovo capitolo.La mia indole mi spingerebbe a scrivere narrativa,questo è sicuro.Ho sempre amato inventare nuovi mondi, nuove storie, e raccontarle.Non mi dispiace l’idea di scrivere qualcosa che sia più “d’intrattenimento”, pur mantenendo la mia identità nel farlo.

Il prossimo romanzo è già in cantiere, ed è un esemplare di questa nuova direzione. Sarà ambientato in una società del futuro, molto tecnologica. Per certi versi è una società utopica, quasi come vorrei che fosse. Le cose però non saranno proprio come sembrano…

Il risultato sarà un testo che darà spazio ad azione, amicizia, contrasti e persino a una buona vena romantica, ma che non tralascerà riflessioni importanti. Nonostante il cambio di prospettiva, credo che i lettori di “Sulla Strada Giusta” sapranno riconoscermi. Non diciamo altro, per adesso. Vedremo quanto delle mie intenzioni sarò riuscito a mettere su carta.

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