Tradizione e modernità. Impressioni di viaggio in Oriente di Giovanni Comisso

Giunche e lanterne hanno colpito il nostro immaginario durante il viaggio a Macao, prepariamoci a conoscere le donne cinesi in questo affascinante ritratto proposto da Giovanni Comisso nel suo viaggio a Canton…

Canton, marzo

In Cina la donna è una cosa e come tale si compera. Il suo prezzo varia secondo l’età, la bellezza e l’importanza della famiglia da cui proviene. E ancora secondo che debba fare da moglie o da serva. Comperata come serva, non può fare da moglie: se l’acquirente non sta ligio al contratto, ella ha diritto alla risoluzione. La donna non eredita.

Vi sono figli che vendono la propria madre, ma anche madri che sono il terrore della casa. Vi sono mariti che non confidano i loro pensieri alla propria moglie e altri che cercano il suo consiglio. C’è chi ne ha parecchie e chi una sola, in dipendenza dalle possibilità finanziarie. Il divorzio non è raro: procede dalla sterilità della donna, dal suo appassire e dall’estro del marito.

La famiglia cinese

Ma l’adulterio in certi paesi è punito con l’impiccagione dell’adultera e dell’amante; sono i vecchi del villaggio che se ne incaricano. Chi non ha denari per comperarsi la moglie rimane celibe, ma tale eventualità è quasi sempre evitata dalla provvida cura della madre. Nelle, famiglie povere appena nasce un maschietto, la madre pensa subito a trovargli la moglie: gliela compera piccina, perché costa meno. I due bambini vengono allevati assieme: il piccolo marito si porterà la mogliettina legata sulle spalle, correrà così per le strade e giuocherà a rimpiattino indifferente al caro peso.

Una donna per dimostrarsi tale deve dare almeno sette figli. Come madre, dicono che la donna cinese sia la migliore del mondo. Non espansioni, non baci e trastulli coi figlioletti, ma cure, pazienza e privazioni. Per superstizione si priva dei figli ammalati.

Appena un bambino s’ammala, ha il sacro terrore che porti la disgrazia in casa per gli altri bambini e per tutta la famiglia. Allora piangendo disperatamente lo prende e lo abbandona sulla via; ma se vi sono i missionari, lo porta alla Santa Infanzia e se guarisce è ben felice di riprenderselo.

Molte abbandonano i figli per assoluta miseria. Lavoratrici indefesse e sovrumane: per due lire al giorno fanno lavori di grande fatica, trasportano materiale di sgombero, scaricano merci, lavorano nelle costruzioni di case e marciano per lunghe ore dal villaggio alla città per acquisti.

Non un minuto d’ozio. Capelli accuratamente ravviati e lisciati per finire in un nodo alla nuca, sostenuto da forcine d’oro o di legno. Blusa nera e pantaloni pure: così le contadine e le popolane.

Anche nelle famiglie ricche i matrimoni si combinano all’insaputa degli sposi. Ma il contatto con la nostra civiltà ha già rotto la tradizione in questa categoria. Molti giovani vanno a studiare in America, in Inghilterra, in Germania e in Francia e ne imitano, violentemente, i costumi.

Vi è poi l’educazione cristiana che dà la sua profonda influenza, dove arriva a penetrare. Il cinematografo e i romanzi europei completano l’opera.

Femminismo giallo

Cosicché non mancano anche i matrimoni d’amore con tutto l’antefatto del corteggiare. Pertanto, dopo la rivoluzione dell’11, la donna cinese ha rialzato il capo dalla servitù secolare. Tagliati dovunque i codini agli uomini, ora pure le donne sacrificano le loro trecce. Un tempo era loro impedita ogni istruzione, come era loro impedito di poter avere i piedi sviluppati secondo natura. Ora frequentano numerosissime tutte le scuole, comprese quelle professionali.

All’Università inglese di Hong-Kong vi sono 340 studenti, di cui 302 cinesi e tra questi quaranta donne inscritte con preferenza nelle Facoltà di lettere e di medicina.

Durante la rivoluzione s’era formato un reggimento di donne capitanate dalla signorina Li-Su-Ting. Ora nelle palestre delle scuole di Canton si possono vedere fitte squadre di giovanette che fanno ritmicamente la loro ginnastica, per le strade di Hong- Kong altre che guidano disinvolte l’automobile da sole, e nei giardini pubblici innamorati che passeggiano presi per mano.

Il calcio appassiona vivamente i ragazzi di questa nuova Cina, e le donne come coro animatore. Si accalorano nel loro volto da bambine, si alzano in piedi per seguire i passaggi e al primo goal dei loro strillano e fremono, cosi come al primo segno di sconfitta, se gli avversari sono europei, abbandonano le tribune.

Alle corse di cavalli le signore cinesi gareggiano in spigliatezza nell’accompagnare per la cavezza i cavalli vincitori di proprietà dei loro rispettivi mariti.

Disinvoltura e spigliatezza entrano nell’abitudine di queste donne fino a qualche decina d’anni fa costrette alla clausura.

Talvolta tocca vedere qualche vecchia dai piedi rattrappiti, ridotti nelle scarpine come zoccoletti d’antilope, camminare a guisa di convalescente con l’aiuto del bastoncino e accanto le giovanette dei nuovi tempi ondulare le spalle erette posando sui piedi ritornati naturali.

Disinvoltura e spigliatezza: ma timide o quasi spaurite a contatto con l’europeo.

E mai abbandono del pudore e dell’onestà del vestire anche nelle ragazze perdute: cappa di seta abbottonata al collo e maniche lunghe a campana. Alcune hanno imbastardito il vestito con la gonna europea, ma non ammettono la scollatura e rarissimamente si adattano a ingabbiare la testolina nei cappelli.

L’Asia Hotel di Canton è un ambiente che pare raccolga tutto il fermento della Cina. Palazzo di sette piani, quattro ascenseurs, la facciata bitta tappezzata di lampadine nella notte

Alberghi rumorosi

Grande atrio, saloni riservati, piccoli e graziosi appartamenti con stanza da letto, bagno e saletta per giuocare. Servizio cinese o inglese a piacimento. Appena preso possesso dell’appartamento, un cameriere porta il tè. Sulla scrivania c’è il calamaio cinese col pennellino. Tavola al centro per il magiong: nelle stanze vicine si sentono sbattere le piastrine d’avorio ad ogni mezzo minuto: poi tintinnio di denari contati e agitati bisticci. Dalle ampie finestre si vede tutto il panorama della città, tetti sfondati e abbrustoliti dagli incendi, terrazze con lavandaie o con ragazzi che giuocano e giù nella strada profonda il formicolio senza tregua. In un restaurant di fronte notte, e giorno pestano il tamburo e suonano le cornette.

Una sparsa nebbia vela le case lontane e poi spumano cime rosa di monti quasi irreali. Dall’altra finestra nel riverbero del sole, ecco, tutta l’ansa del grande fiume con le barche piccole e grandi che si muovono.

Molti appartamenti sono occupati da giovani ufficiali che non sembrano di buon umore. Una porta si apre, un cameriere esce con la lampada per l’oppio spenta e tetra.

All’ultimo piano e sulla terrazza, dalla sera e per tutta la notte, è un tumultuoso campo di fiera. Entra dal grande atrio e si pigia negli ascenseurs una folla frammista di donnine eleganti, di serve, di ragazzi, di gente miserabile, di soldati e di ricchi signori. Un’atmosfera di caos, di caste non costituite, di violento e comune diritto a divertirsi. All’ultimo piano vi sono quattro teatrini che agiscono contemporaneamente e le rispettive musiche si sovrappongono. Frattanto negli spazi intermedi tra una sala e l’altra vi sono immense tavolate di giuocatori di tombola. Colpi di gong e voci che sbraitano. Attori e attrici miagolano nel canto monotono accompagnati dalla musica assordante che sottolinea ogni situazione. Vestiti e acconciature antichi. Ogni movimento è fatto con grande studio. Vi sono gesti convenzionali per esprimere quello che non è realizzato dal metteur en scène.

Pubblico e attori

Se un attore deve montare a cavallo, fa il movimento di salire in groppa e si muove e cammina come andasse a piedi; senza che sulla scena ci sia una finestra, fa il gesto di aprirla; se l’episodio si deve svolgere in barca, ci sarà uno che fingerà di remare. Dalla stessa porta per cui entrano gli attori, entrano ed escono il direttore di scena, ragazzi che non hanno nulla a che fare e gli inservienti che preparano, in vista del pubblico e mentre lo spettacolo si svolge, le suppellettili per la scena successiva. Nelle brevi pause della musica i musicanti con coltellacci fuori ordinanza impiegano il tempo a tagliarsi lo unghie dei piedi.

Ma uno di questi teatrini non è malvagio. Una scena di battaglia, stilizzata, è attraente. Una figura barbuta e panciuta, irata e tremante, munita di scimitarra duella con un diavolo di cui più volte eseguisce simbolicamente la decapitazione.

Nel medesimo tempo tutto attorno è un continuo balzare di snelli ragazzi armati di lancia, che per un attimo danno contro ad altri che piombano a terra, e poi rientrano tra le quinte per dar posto a nuovi diversamente vestiti.

Tinte rosse, verdi, violette con sventolio di bandiere e incrocio di spadoni si susseguono armoniosamente, accompagnati dal ritmo galoppante del gong e dei tamburi.

Ad un altro teatrino con piccolo riflettore due ragazze cinesi danno saggio di charleston, il pubblico attentissimo gode infantilmente questa novità dell’altro emisfero e, come cessa, scrosciano per la prima volta ripetuti gli applausi. Sulla terrazza vi è una specie di giardino con false rocce e ponticelli. Pullulano i tiri a segno e schiere di giovani si cimentano con ampi gesti da guasconi, ma fallano costantemente il bersaglio. Tutti hanno denari da spendere. Ogni giuoco, ogni spettacolo pare abbia segrete rispondenze con i veri aspetti di questo paese.

Fuori nella notte si sente ancora tutto il pulviscolo del giorno gravare nell’aria. Sotto ai portici i negozi hanno chiuso le inferriate e per terra è tutto un susseguirsi di individui inginocchiati che si preparano il loro giaciglio con pezzi di stuoia e con manifesti staccati dal muro. E’ la nera miseria che cerca il suo riposo.

Giovanni Comisso

Pubblicato sul Corriere della sera il 16 aprile 1930

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