«Un Eden dove si respira il senso del tempo». La Casetta sul Piave che incantò Parise

L’omaggio di Claudio Rorato allo scrittore e al luogo che tanta parte ebbe nella vita dell’uomo e nelle sue pagine

Sabato 31 agosto, alle 20.30, a Salgareda, nella “Casetta” dove Goffredo Parise visse dal 1970 al 1981, sarà presentato il libro di Claudio Rorato, “Goffredo Parise a Salgareda” (Ronzani editore, 12 euro). Un modo, questo, per ricordare lo scrittore a 33 anni dalla sua scomparsa, avvenuta il 31 agosto 1986.

L’INCONTRO IN BOTTEGA

Rorato conobbe Parise nella bottega del padre, fabbro a Ponte di Piave. Un giorno lo scrittore arrivò e chiese una banderuola segnavento per la casetta che stava restaurando. Il lavoro venne affidato a Claudio, allora studente, che disegnò un bel galletto e come compenso ebbe un libro e una «felice consuetudine» che divenne amicizia nel corso del tempo.

Il libro di Rorato (pubblicato nel 2006 ma esaurito da tempo) ricostruisce la storia della piccola casa in riva al Piave che, a dire dello scrittore stesso, tanta parte ha avuto nella sua vita di uomo e di artista.

La Casetta di Parise a Salgareda si trova un po’discosta da un minuscolo borgo chiamato Gonfo, sulla riva sinistra del fiume. Per raggiungerla, si percorre una strada sterrata che scende dall’argine, diramandosi dalla provinciale che collega Ponte di Piave a Jesolo.

L’ESEMPIO DEL MAESTRO

Già a metà degli anni’60, Parise aveva confidato all’amica Gianna Polizzi il desiderio di «comprare casa e campi a Ponte e fare il coltivatore diretto». Può darsi che intendesse seguire l’esempio di Giovanni Comisso – un maestro, per Parise – vissuto per più di vent’anni nella “casa di campagna” a Zero Branco, fatto sta che, pochi anni dopo, nel 1970, durante una cavalcata con un amico lungo le grave del Piave vede un rudere abbandonato:

«Grandi fiori gialli e prati parevano nascosti dalla civiltà e più di una volta si aveva la sensazione di un luogo disabitato e sconosciuto, una specie di Eden a forma di labirinto, con suoni e rumori “classici” dell’Eden: pigolìi, frusciare tiepido di vento, acque immacolate, muschio, animali, frutta, erbe profumate. Il luogo mi incantò».

A rompere ogni indugio, il luogo gli riapparve in sogno, «come qualcosa che mi stava sotto, cioè nell’inconscio, per avere, come è stato dimostrato, molta parte nella mia vita».

A COME AMORE

I restauri della Casetta – che per desiderio dello scrittore sarà di essenzialità monastica – si concludono a dicembre e Parise l’inaugura prima di Natale. Il 10 gennaio 1971, pubblica sul “Corriere della Sera” il racconto Amore, la prima voce del Sillabario n. 1. Non si tratta di una coincidenza, bensì di un nesso profondo tra questo luogo, congeniale alla sua natura contemplativa, e la scrittura che ne segue, fisica e sensuale. I Sillabari «sono un programma stilistico ed è il sonoro interno prodotto da luoghi come la Casetta sul Piave o Cortina, che produce quel tipo di stile».

Parise aveva scritto di volere «una casetta, una specie di casa delle fate, minuscola e vecchia, dove si potesse respirare il senso del tempo. Sia atmosferico, sia psichico. E così, senza troppe scosse, diventare vecchi e morire in una giornata di vento, au plus tard »

Purtroppo, non riuscì a diventare vecchio: a causa dei suoi problemi di salute, dovette abbandonare la Casetta e andare ad abitare a Ponte di Piave, e morire a Treviso.

IL GRANDE DONO

Nel 2006, fu acquistata da Enzo Lorenzon e Moreno Vidotto, per farne una casa museo, visitabile al pubblico. Un grande dono, perché è vero che soltanto lì, come ha scritto Maria Gregorio, dove sono sollecitati tutti i sensi, abbiamo l’occasione di accostarci intimamente allo scrittore e la sua opera acquisisce una risonanza diversa, impossibile da percepire altrove. Oggi, a distanza di tredici anni dalla prima edizione, questo libro si rivela documento prezioso: molti elementi del paesaggio che circonda la casa e che avevano affascinato Parise sono cambiati.

IL PAESAGGIO CAMBIATO

Scomparso il vigneto a “belussera”; abbattuti i grandi alberi che si ergevano lungo le rive del Piave; ridotte al lumicino le siepi già ricche di fiori e profumi; estirpato il topinambur, un tempo generoso di sfarzose fioriture gialle.

«Ora» annota Rorato «al Tintomo della piccola isola vegetale che abbraccia la Casetta si moltiplicano a vista d’occhio vigneti meccanizzati, perfettamente livellati e insignificanti nella loro geometrica, verde monotonia. Per di più, a partire dal 2000 si sono susseguite alluvioni semprepiù disastrose – l’ultima, il 30 ottobre 2018, ha superato per forza distruttiva quella pur leggendaria del 4 novembre 1966».

Nonostante le ferite inferte da uomini ed eventi, la Casetta resiste, sostenuta dall’amorevole cura di Moreno Vidotto e dal coinvolgimento dei visitatori che la frequentano numerosi.


Anche i proventi derivati dalla vendita del libro contribuiranno a sostenere le spese per i danni subiti.

Nicola De Cilia

Articolo pubblicato domenica 18 agosto 2019 su la Tribuna di Treviso che ringraziamo per la gentile concessione

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