“Veneziane e pioniere”: le donne illustri di Marzo Magno

 Con “Serenissime”, Venezia, città d’arte storia e cultura, di riflessi e di segreti,diventa il grembo che ha dato alla luce dodici donne tutt’altro che comuni. Alessandro Marzo Magno, in che cosa risiede la straordinarietà dei ritratti che offre ai lettori in questo suo libro?

Le donne di cui ho scritto sono nate tutte a Venezia. L’altra caratteristica principale riguarda il ruolo fondamentale che hanno avuto negli avvenimenti della loro epoca e la capacità di influenzare quelli successivi. Elena Lucrezia Corner Piscopia, ad esempio, è stata la prima donna laureata al mondo, Elisabetta Caminer la prima giornalista d’Italia, Margherita Sarfatti l’ebrea creatrice del mito di Mussolini, Giuliana Coen Camerino la stilista che ha concepito il made in Italy prima che questa espressione diventasse di uso comune.

È difficile pensare che tutte queste figure femminili si siano contraddistinte, seppure in modi diversi, proprio a Venezia per una mera coincidenza. Che ruolo ha avuto la città nella loro formazione?

Rilevante. Non so quali altre città italiane abbiano messo assieme tante donne di simile spessore. La motivazione va ricercata nella storia millenaria e nella costituzione politica della città: Venezia era una repubblica non una signoria. La nobiltà senatoria che era al governo era composta da una trentina di famiglie e alle donne veniva riconosciuto ben più del ruolo già cruciale di procreare e portare avanti la casata. Ora la città è l’ombra di sé stessa, ma dal XV al XX secolo permetteva contatti con altre culture che costituivano importanti fonti di arricchimento. L’ambiente è fondamentale nella formazione di ciascuno di noi.

Molte di loro sono state dimenticate. Come lo spiega?

Purtroppo, perché sono donne. In modo minore è accaduto anche per gli uomini. Mi viene in mente Aldo Manuzio, il primo editore in senso moderno d’Europa, anche lui veneziano.

Serenissime è il tentativo di mantenerne viva la memoria di queste donne illustri. Sono nato a Venezia, mi sono laureato in storia veneta e per me è impensabile che la prima laureata al mondo, un primato che dovrebbe essere un vanto nazionale e dovrebbe tributarle il ruolo di madre della patria, non abbia nemmeno un monumento intitolato.

O un francobollo. Nella sua città natale, Elena Lucrezia Corner Piscopia ha solo una targa commemorativa che ho scoperto per caso dopo anni. Anche l’appello fatto nel marzo del 2016 perché almeno gli atenei italiani le dedicassero un’aula è rimasto praticamente inascoltato. Tranne a Ca’ Foscari, all’università di Trento e della Basilicata.

Le donne di cui ha scritto hanno rivendicato diritti diversi: chi quello allo studio, chi quello a un ruolo negli ambienti culturali, artistici e politici del loro tempo. Crede che oggi la nuova frontiera sia quella delle cosiddette discipline raccolte sotto il nome di STEM (science, technology, engineering, math)?

Sgombero il campo dagli equivoci: le protagoniste della mia ricerca non sono le antesignane del femminismo. Hanno agito mosse da un desiderio e da un’ambizione personale. Quello delle rivendicazioni femminili è un concetto moderno che non può essere applicato a casi che risalgono al medioevo e al rinascimento.

Per quel che riguarda il presente, invece, noto che ci sono professioni in cui le donne si sono affermate. Mi riferisco alla magistratura e al giornalismo, ad esempio. Altre, come la chirurgia, in cui faticano ancora a raggiungere i livelli più alti. Per non parlare dell’informatica: sono ancora pochissime e sembrano scontare la mancanza di tradizione. Però c’è un settore in cui assistiamo ad una grande richiesta di professioniste: quello enotecnico. Servono vini pensati da donne per le donne.

Da Sara Copio Sullam, la poetessa del Ghetto, a Veronica Franco, la regina delle cortigiane, da Rosalba Carriera, la maestra del ritratto, a Patty Pravo, la ragazza del Piper: c’è una figura che ha ammirato più delle altre?

Giuliana Coen di Camerino, la signora della moda. Lei ha riassunto almeno due o tre vite. Nella storia della moda è stata una vera rivoluzionaria, ma pochi sanno che prima di diventarlo ha visto più volte la morte in faccia. Era ebrea, ha vissuto le leggi razziali sulla propria pelle: da maturanda volevano impedirle di sostenere l’esame assieme ai suoi compagni cattolici. Era lo stesso liceo che ho frequentato io. Poi, si è nascosta per mesi ed è riuscita ad evitare i vagoni piombati in partenza per Auschwitz, fuggendo in Svizzera dove ha imparato a cucire borse.

In Serenissime, ma questo vale anche per i libri precedenti, lei tratta la storia in un modo accattivante e allo stesso tempo immediatamente fruibile.

La mia formazione è storica, ma di professione sono giornalista, oltre che scrittore, ovviamente.

La prima regola del giornalismo è quella di farsi comprendere da tutti.

Mi occupavo di esteri e per anni ho scritto reportage. Ora, scrivendo di storia, mi occupo di reportage nel tempo. Il modo di raccontare e procedere è lo stesso e faccio attenzione a non renderla una sterile sequenza di date e accadimenti.

Le veneziane illustri di cui ha scritto, in alcuni casi hanno potuto contare anche su presenze maschili determinanti.

Esattamente: soprattutto quelle paterne. Era giusto mettere in luce la rilevanza di questa figura che seppero riconoscere, stimolare e battersi per il talento delle proprie figlie. Pagina per pagina si può andare anche alla ricerca di questi padri.

Federica Augusta Rossi

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