Il futuro ha un cuore antico. Potrebbe essere questo il motto di Hangar Design Group, studio di grafica, comunicazione, design e architettura la cui storia inizia negli anni Ottanta, nella campagna trevigiana, all’interno di due aviorimesse trasformate in contenitori di idee, in base di volo per raffinati progetti. Non che lo sguardo al futuro prescinda da un imperativo visionario, dalla volontà di sperimentare senza sosta, nel difficile equilibrio di forma e senso. Quel che caratterizza lo studio sito in Mogliano Veneto (TV) è però, piuttosto, una tensione verso la misura, una ricerca dell’innesto perfetto, o meglio della compenetrazione tra passato e presente, tra memoria e innovazione.

Colpisce la citazione di Friederich Nietzsche (da Sull’utilità e il danno della storia per la vita, 1874) che quasi apre il Compendium edito Rizzoli (2021) e curato da Francesco Zurlo, professore ordinario di Design al Politecnico di Milano. Un volume che ripercorre l’evoluzione progettuale di Hangar Design Group mediante un excursus di mille lavori, selezionati e catalogati con cura. È proprio Zurlo a richiamare il filosofo tedesco nella sua lunga, ragionata introduzione: «Il benessere dell’albero per le sue radici, la felicità di non sapersi totalmente arbitrari e fortuiti, ma di crescere da un passato come eredi, fiori e frutti, e di venire in tal modo scusati, anzi giustificati nella propria esistenza…». Un albero non dimentica le proprie radici; le percepisce, pur dalla distanza della chioma, e le custodisce, sapendo – nell’allargamento di metafora – che daranno vita ai rami, saranno base di fiori e frutti. Conserveranno, in altre parole, l’essenza di ciò che un giorno sarà.

In questa immagine vegetale – che ha persino un’ascendenza biblica: l’origine della vita – Zurlo legge il rapporto fecondo tra passato e presente, la Storia come «potente attivatore del senso dell’esistenza […] di una entità, di qualsiasi natura essa sia, creata dall’uomo». Quanto accade, in fondo, a quella aziende che tesaurizzano i doni della tradizione, raccolgono i risultati e ne fanno tasselli di un percorso attivo, di rinnovamento e crescita.

Così, Hangar Design Group si muove sul filo della memoria, nel duplice senso dei ricordi e dell’archiviazione di idee. Non c’è progetto che non muova da uno studio dei risultati ottenuti, che dimentichi di attingere alla storia del design, all’occhio architettonico dei due fondatori. È all’intuizione di Alberto Bovo e di Sandro Manente che si deve l’origine di tutto, la scelta di unire le forze – le proprie visioni – per dar vita a una realtà in movimento, a un progetto in grado di unire comunicazione e design. Una decisione apparentemente azzardata all’inizio, una “scintilla” lungimirante sul lungo periodo, quasi un marchio di fabbrica per uno studio che dall’intuizione di due architetti trae linfa vitale per la deflagrazione dei confini tra le discipline, offrendosi come punto di riferimento per un territorio – quello del Veneto anni Ottanta – in continua trasformazione.


Di fronte alle grandi aziende, agli studi di comunicazione milanesi che guardavano alle aree venete per conquistare nuove fette di mercato, Bovo e Manente immaginano qualcosa di diverso, una realtà liminare e cangiante che dalla contaminazione di sguardi dà origine a un modello organizzativo in cui il servizio al cliente si sposa con l’attenzione al territorio, alle persone che lo compongono. «La nostra è una realtà in continuo fermento» dichiara Bovo. «Sappiamo quanto è importante il contributo del singolo, la sua personalità, la sua intuizione. Per questo Hangar Design Group è un crocevia di progetti, idee, visioni», quasi la traduzione fisica delle personalità che la compongono, nella rivendicazione di uno spirito di comunità, nella consapevolezza che il flusso di informazioni, di sguardi, di humus differenti renda più sfidanti i prodotti, rompa le zone di confort e immagini prospettive nuove, più intense e “divertenti”.
C’è quasi una tensione surrealista in questa voglia di far volare le idee, come recita il sottotitolo del libro scritto dai fondatori e curato da Greta Ruffino (Tra design e delirio, Milano, Lupetti, 2007): un’inesauribile miniera di aneddoti tramite cui saggiare lo spirito fuori-norma dell’azienda. Prendere il volo significa librarsi in alto, oltre la superficie del quotidiano, fuori dalle regole codificate, lontano schemi ingabbianti. Così l’uccello – ma anche l’aeroplano, o un dirigibile come quelli ospitati nei vecchi hangar recuperati – è il simbolo della libertà, del ritorno a una creatività dirompente, in grado di abradere i confini.


Non è un caso che Bovo affermi che «la bellezza sta nella poesia di quello che si fa, nell’empatia con il cliente che può dar vita, spesso, a un processo creativo “macerante”, alla ricerca di soluzioni valide, di idee da edificare e confutare prima di arrivare alla cristallizzazione finale». È un percorso in divenire, uno studio delle richieste e delle ipotesi che approda a una relazione di fiducia, altra parola chiave nella mission di Hangar Design Group. Molti clienti non lasciano più lo studio; si affidano, stabiliscono connessioni, colgono con stupore le soluzioni offerte. Basti un solo esempio: la Peggy Guggenheim Collection di Venezia, sul Canal Grande, tra i principali musei italiani di arte contemporanea. Per l’istituzione Hangar realizza progetti di comunicazione, tra cui l’immagine del celebre programma di corporate membership Guggenheim Intrapresae, che consente alle aziende di associarsi entrando così a far parte di un gruppo ristretto di imprese accomunate della passione per la cultura.
L’orizzonte aziendale del resto è sempre in movimento, in grado di cogliere il meglio dal panorama internazionale. La prima sede fuori dal Veneto sorge a Milano, capitale della comunicazione, poi arrivano New York («the place to be per architetti e grafici», perfetto punto d’approdo per il Made in Italy) e Shanghai. L’essenzialità e l’eleganza grafica pescano da questa miniera, uniscono i tratti della formazione di architettura a un carattere pragmatico, volto a far coesistere estetica e funzionalità. Nei prodotti di Hangar Design è spesso la griglia a guidare la composizione, spostando l’orizzonte sempre più in là, verso piano bidimensionali, mai uguali tra loro.
C’è una corrispondenza di forma e senso, un uso sapiente del bianco e del nero che mira a conferire agli ambienti, alle figure e agli oggetti un alone scenografico, mai debordante o barocco. La poesia, quella di cui parla Bovo in relazione alla bellezza, emerge anche qui, nel richiamo implicito all’importanza del linguaggio e delle figure retoriche, sempre essenziali nella comunicazioni, capaci di donare sfumature di significato altrimenti ignorabili. Si pensi alle scelte grafiche elaborate per De Castelli, interamente basate sulla sinestesia e sull’espressività tattile dei materiali, e o al gioco di corrispondenze fisico-metaforiche messe in campo per Hedon, impresa francese produttrice di sigari, il cui packaging si ispira alla orologeria di lusso.

È del resto lunghissima la lista di clienti che si affida ad Hangar Design Group in virtù di una cifra stilistica di avanguardia e del già citato rapporto empatico alla base della committenza; da Ferrarelle a Fabbri 1905, da Ferrari alle cantine Allegrini, da Arper a Rinascente. Il lavoro dello studio multidisciplinare si distingue, non a caso, anche nel progetto di interni, sposando un’idea di total living che arriva ad abbracciare le soluzioni arredative. Ne sono esempio i progetti legati al retail, alla ridefinizione del negozio come crocevia di relazioni e non mero spazio di transito, magari in rapporto con la storia come nel temporary bookshop di Electa all’interno del Colosseo o le “infinite sfumature di bianco” pensate per Upim.
L’obiettivo, dichiara Bovo, «è continuare a intercettare le esigenze del futuro». In questo senso, la chiave progettuale risiede sempre nello stupore. Sapere stupire significa dar vita a progetti meravigliosi, a una bellezza che si sposi con l’idea di utilità. «Bello è anche ciò che è giusto», conclude il fondatore. Come i sogni, appunto, la cui sostanza è aerea, mutevole, infinitamente rideclinabile.
Ginevra Amadio
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