Zona di Gorizia - Il viaggio in Friuli di Giovanni Comisso

Zona di Gorizia – Il viaggio in Friuli di Giovanni Comisso

Hanno mutato alcuni nomi di paesi da queste parti e non fu un gesto indovinato. Sdraussina, che non sembra affatto un nome straniero, la Sdraussina, cara ai granatieri, dove nell’ombra dei suoi boschi sembrava loro di trovare l’ambrosia rispetto ai forni delle trincee soprastanti, è stata tramutata in un nome lunghissimo: Poggio Terza Armata. Bisogna poi notare che questi del Carso non sono poggi, questa molle toscanizzazione di questo spalto carsico è un grossolano errore di stile. I combattenti avrebbero indubbiamente preferito che nessun nome di questa zona venisse mutato, anche fosse stato slavissimo come Veliki Hribach. A quei nomi citati così sui bollettini della guerra e sulle motivazioni delle medaglie fu legata un’epoca eroica; i padri hanno raccontato ai figli le vicende dei loro giorni di guerra insieme a quei nomi, e i figli venendo a questi luoghi non troveranno quei nomi. Peuma è diventata Piuma, Podgora Piedimonte, Cerovo Cerò, per mutarli a questo modo tanto valeva di più mutarli addirittura mettendo loro nomi di eroi.

Merna (foto di Bojan Marušič, fonte Wikimedia Commons)

Nella fresca mattina passo per la strada che da Gorizia porta a Merna. Un ufficiale aviatore vestito di bianco guida la sua macchina per andare al campo, due ragazzi in bicicletta si godono le vacanze estive, gli alberi lungo il Vipacco si alzano tremuli tutti illuminati dal sole che splende dall’alto della selva di Ternova. Chi non ricorda questo controluce mattutino ed estivo? Era l’ora in cui se le batterie nemiche annidate nelle anse del Vipacco e dietro San Grado azzardavano sparare venivano subito individuate risultando netta contro il sole la fumata dello sparo. I pioppi di Rupa sono ancora là come celassero ancora quel 305 che batteva la stazione di Cormons. Su questa strada dove si scorgeva talvolta il polverone di una automobile, su questi campi allora deserti, su queste case allora disfatte è come un ritrovare le nostre pupille di allora. In cielo gli aeroplani della squadriglia vicina scintillano simulando combattimenti con un’audacia come rinverdita dalle scie ancora segnate nell’aria dagli eroi di allora.

Vicino ad una casa si batte il frumento con una grande macchina che fa un fracasso enorme, e per un attimo fa pensare ad una batteria che stia prendendo posizione. Lungo la strada vi sono numerosi alveari, con api furenti, perché sono state deposte là provvisoriamente mentre venivano trasportate con un camion che s’era rotto. Due d’improvviso sono andate a pungere alla testa chi mi accompagna, il dolore si fa acuto, chiedo al primo passante d’una farmacia, bisogna andare a Biglia, si corre come inseguiti dagli spari, si ritrovano le grotte dove stavano annidate le batterie, alla farmacia, fatta la medicazione, la signorina che ci ha serviti vuole sapere dove sono queste api inferocite: «A Merna». «Oh, allora oggi io non passerò per Merna» ella dice, e pareva che avessi detto che in quel luogo fossero ritornate a sparare le artiglierie.

Chi ha vissuto quegli anni qui, non può adattarsi, anche ci vivesse di continuo, a dimenticare; fatti, impressioni, semplici accidenti si subiscono sempre come due immagini sovrapposte. A Gorizia ad ogni ragazza che si incontra come non ricordare quella Mariettina d’un diario d’un ufficiale austriaco caduto sul Podgora che il Comando diffuse nei primi mesi di guerra? Come egli l’amava, dalla trincea vedeva la sua casa e sospirava il turno di riposo.

Soldati tra le vie di Cormons – 1915-1918 (restauratore Studio Berselli , fonte Wikimedia Commons)

Passando da Oslavia veniva voglia di accarezzare la strada, quanti l’hanno percorsa soltanto in un senso! Giù sono i valloncelli boscosi dove battaglioni su battaglioni disparvero. Una donna fa segno di fermare e chiede di salire in macchina, va a Vipulzano, sembra una vecchia, le mancano alcuni denti. Conoscevo il suo paese, vi andavo spesso, disse che allora aveva quindici anni. Le chiedo se conosceva i soldati che erano al centralino dei telefoni, e fu come se le avessi rivelato che fossimo parenti. La sua voce si animò, parlò di un certo Papparone di Napoli, di un altro calabrese, di un altro romagnolo, i nomi venivano storpiati, ricordava il colore dei capelli e il loro paese d’origine. Quindici anni! Erano tutte belle le ragazze di Vipulzano ed una era famosa, ed era stata per tanti l’ultima gioia, l’ultima bellezza vista prima di morire. Ritornano i tramontati panorami del Colio, coi boschi fitti di acace, colla breve pianura paludosa e tutte le colline sormontate dai villaggi, ricche di vigne e di frutta. Nel maggio del ’15 fummo noi a vendemmiare le grosse e succose ciliege su questi alberi lungo la strada. Vipulzano sul suo castello porta ancora la croce rossa dell’ospedaletto di allora, e gli alberi sulla strada della pianura sono ancora mozzati dai colpi, questa strada sul cui ciglio si trovavano morti di colera i fanti che scendevano dal Podgora. Ma a Subida come non fermarsi alla sua fonte sotto l’ombra degli alberi, quella fonte la sola che buttasse ancora, quella fonte che diede la sua linfa come una materna mammella a tutti i soldati che combattevano in questo settore. Muli carichi di ghirbe, borracce, bidoni, damigiane, botticelle, asserragliavano la piccola fonte senza tregua. Ho raccolto come allora l’acqua nel cavo delle mani, ancora come allora essa ha lo stesso sapore di terra e di radici. Adorata Subida eri come le donne di Vipulzano un’altra gioia per i soldati di allora.

Cormons (foto di Vid Pogacnik, fonte Wikimedia Commons)

E Cormons venne incontro con un tumulto ardente di ricordi. Sembrava piccolissimo, con appena tre strade, invece ne ha moltissime, non mi ero mai accorto allora che avesse bellissimi palazzi. Mi ricordavo della villa dove era il comando della mia compagnia, eppure non mi fu possibile ritrovarla subito, questa mi sembrava una villa, invece era una modesta casa di campagna. Passai e ripassai come sotto alla finestra d’una vecchia amante, uno mi fermò: «Scusi, di chi cerca?». «Cerco una cosa che non mi è più possibile ritrovare», risposi senza pensare che purtroppo dicevo il vero. L’uomo si era fatto curioso, gli spiegai che ero stato là durante la guerra. Dalle case vennero fuori donne e ragazzi, riparlare del tempo della guerra li commoveva e quei ragazzi che allora non erano ancora nati, sbarravano gli occhi e ascoltavano in silenzio. Ci stringeva come un’amicizia profonda. «Si ricorda quella casa, un giorno fu segnata col bollo giallo del colera. E quando sparavano col 305? E quel battaglione di bersaglieri ciclisti che andò ad Oslavia e non tornò più indietro? E quel reggimento di carabinieri, tutti belli e forti, che andò sul Podgora e morirono quasi tutti? E i fanti? ricorda come ritornavano dalla trincea, tutti incrostati di fango?». Trovai il cancello della villa, un bambinello biondo voleva uscire e piangeva, trovai la villa ancora tutta ricoperta di rampicanti della «Passione di Cristo» e la pergola, e il pozzo e subito dopo i vigneti e il frutteto di prugne. Il padrone era un vecchio signore, tanto buono che ci lasciava mangiare le sue frutta. Una signora si fece sulla porta, anch’ella mi chiese di chi cercavo. Il vecchio signore, suo zio, era morto, chiesi dei contadini che conoscevo : «Il vecchio è morto, ora vi è la nuova generazione. Fiore è capo di casa». «Fiore? quel ragazzo che aveva dieci anni?». Il bambino che avevo visto sul cancello era suo figlio, egli arava sul campo vicino sotto a Monte Quarin. Come mi vide fermò i buoi, il ragazzo esile si era fatto uomo arso di sole, ai ricordi sorrise, sua madre sopraggiunse, ci si parlava e ci si guardava negli occhi e si cercava tra gli uni e gli altri qualcosa, come fossimo nelle più nere tenebre e non ci fosse possibile scoprire.

Giovanni Comisso

da La Gazzetta del Popolo del 04/11/1937.

Immagine in evidenza: Castello di Gorizia (foto di T137, fonte Wikimedia Commons)

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