Recensioni a “Frieda” di Christophe Palomar

“Frieda” di Christophe Palomar

Romanzo intenso, singolare, dallo stile impeccabile, “Frida” è un Bildungsroman, composto da un lungo monologo o, come dice il protagonista citando Joseph Roth, da una “Fuga senza fine”.
Suddiviso in tre parti, le prime due vedono il protagonista, il Conte Joachim von Tilly, undicesimo discendente di un grande condottiero della Guerra dei Trent’anni, erede e capo delle acciaierie di famiglia, raccontare ad uno “sconosciuto” la sua vita.
Siamo alla fine dell’Ottocento, la sua infanzia è dorata e solitaria nel castello di famiglia; a questa seguirà l’iniziazione fra i bordelli di Napoli e lo splendore di Capri, dove incontra Frieda von Richthofen, presenza che aleggerà come un fantasma per tutto il romanzo, la giovinezza nella mitica Vienna di fine secolo, la maturità venuta insieme con la catastrofe della Grande Guerra e l’età della ragione trascorsa in conversazioni con Walther Rathenau sull’avvenire della Germania di Weimar.
Prima della catastrofe tedesca ed europea Joachim fugge in Argentina a Buenos Aires, portando con sé una valigetta contenente un disegno di Egon Schiele, seconda presenza del romanzo.
Se in Europa Joachim vive in uno stato di continua insoddisfazione, in Argentina, invece, è completamente a suo agio. Si orienta fin dall’arrivo; si ingegna in lavoretti: interprete, insegnante privato, bibliotecario; si fa bastare i soldi; chiacchiera con conoscenti e sconosciuti; invecchia senza crucciarsene; sposa una ragazza che muore dopo aver perso un bimbo ancora in grembo; ricorda, rievoca, rimpiange.
Nella terza parte, il figlio illegittimo – lo “sconosciuto”? – nato povero e traumatizzato dalle ingiustizie e dalla guerra, scrive una lunga lettera al padre per chiedergli: “Perché non ha lottato per sua madre o per Frieda?”, “Perché ha lasciato l’Europa in mano ai suoi macellai?”. Ed è proprio mentre il figlio scrive la lunga lettera, in cui narra gli orrori che ha vissuto, che Joachim si addormenta e si spegne, mancando così anche all’ultimo e forse più importante incontro: quello con suo figlio, con il pentimento e la redenzione.

Enrichetta Cadorin

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