Recensioni a “Fame blu” di Viola Di Grado

Fame blu” di Viola Di Grado

‘Fame blu’ e’ un libro che conduce ad un viaggio sulle montagne russe.
Il testo, infatti, alterna interessanti spunti narrativi a momenti tendenzialmente monocordi che rivelano una cifra stilistica ancora in divenire. Tale linearità viene a tratti improvvisamente interrotta da riflessioni profonde, che spiazzano e stimolano il lettore, sorprendendolo. Il testo trasuda indubbiamente la ‘fame’ della protagonista, e in questa ‘fame’ troviamo tutto: rabbia, dolore, desiderio, morbosità, ansia e al contempo bisogno di vivere. In una parola, il concetto di ‘emozione’, in tutte le sue sfaccettature.
Sullo sfondo, l’autrice riesce compiutamente a farci immergere nelle luci e nelle ombre di Shangai, conducendoci a percepirne quasi gli odori, i profumi, l’anima. Del pari, il rapporto saffico della protagonista irrompe in tutto il suo realismo nel racconto, forse a volte sin troppo.
Tuttavia, la perversità di questa relazione fa da contraltare al dolore di fondo, inconsolabile e ingestibile della narratrice, ovverosia la morte del fratello gemello, a seguito della quale da Roma si trasferisce appunto a Shangai, per inseguire un sogno che era proprio del defunto. Qui, la protagonista impartisce lezioni di italiano e viene letteralmente travolta da una dinamica di dipendenza fisica ed emotiva verso una sua allieva. Ed è significativo che della protagonista stessa non conosciamo il nome, diversamente da quello della sua amante, Xu. Quest’ultima si presenta come un’entità divoratrice, esasperante, esaltatrice di gioie fittizie e angosce tangibili. Per rappresentare questa sorta di ‘Sturm und Drang’ interiore non viene risparmiato nulla, anzi, lo scopo sotteso pare essere quello di sconvolgere il lettore, attraverso descrizioni esasperatamente crude dei corpi e dei luoghi, nonché dello stile di vita dei personaggi. E sullo sfondo una Shangai accuratamente descritta che però appare quasi buia, tanto viene oscurata dalla distorta spirale carnale ed emotiva che guida tutto il racconto.
Indubbiamente il testo riesce a trasmettere un profondo senso di angoscia e di dolore, che porta a questa sorta di ‘fame di tutto’. Tuttavia, il rischio è che a tratti questa spasmodica ricerca di trascinare il lettore in un girone infernale risulti leggermente artefatta.
Dal punto di vista prettamente stilistico risulta evidente la volontà dell’autrice di uscire dagli schemi linguistici tradizionali, ad esempio attraverso un utilizzo frequente dell’anafora. Questa operazione tuttavia appare a tratti limitante per la struttura e la fluidità del testo.
Marcella Silvestri

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