Il Diario di Giovanni Comisso: "Il neon non è soltanto una rivoluzione, ma un progresso verso la finta ricchezza"

Il Diario di Giovanni Comisso: “Il neon non è soltanto una rivoluzione, ma un progresso verso la finta ricchezza”

Nella miseria italiana il nèon non è soltanto una rivoluzione, ma un progresso verso la finta ricchezza e tutti vi cascano. Un mio amico oculista dimostrerà in uno studio che ogni adattamento a questa luce sarà scontato amaramente fino alla cecità e peggio.

Sono anch’io convinto che in molti casi certa spinta a ravvivare il fantastico della mia narrativa dipende dalla mia miopia. Il mio occhio destro mi serve pochissimo e il sinistro ci vede a modo suo. Naturalmente quello più debole è il più sereno, il più vicino alla limpidezza giovanile, l’altro che invece lavora acutamente è diventato un occhio maturo e quasi aspro.

Una sera, nella casa di un mio amico oculista mi avvenne di lavorare fantasiosamente con la mia miopia. Sua moglie suonava al pianoforte e nello starle vicino mi accorsi che sopra al coperchio vi era un dischetto rosa. In un primo tempo pensai fosse un interruttore di porcellana rosata per la lampada elettrica e già pensavo alla raffinatezza di sua moglie nello sceglierlo. Non scorgendovi il filo pensai poteva essere invece una scatolina di cipria smaltata, ma sua moglie non si dava la cipria. Allora avvicinatomi di più mi accorsi che si trattava di un rotolino di carta gommata per raggiustare le pagine dello spartito.

Dubai Garden Glow (foto di Lloyd Bayer, Wikimedia Commons)

Raccontai al mio amico questa mia vicenda ed egli prese a interessarsi ai miei occhi in rapporto al fantasticare. Ne fece anzi un piccolo studio assai acuto dove sosteneva che quando non arrivo a vedere per mia debolezza organica, supplisce la mente con un terzo occhio, quello della mia fantasia. Soggiungeva che anche se la mia vista fosse stata perfetta sarei riuscito a narrare con fantasia, ma la miopia mi favoriva come uno stimolo. De Pisis diceva spesso che favorito dalla mia miopia vedevo tutto bello.

Quel mio amico oculista, Alessandro Bozzoli, in questi giorni ha ultimato un suo studio sui danni provocati all’organismo dalle luci moderne, e quando sarà diffuso si parlerà ampiamente di lui. Egli mi diceva che il passaggio dalla luce elettrica con filo incandescente a quella attuale al nèon, non è come quelli già superati dal petrolio al gas e dal gas alla luce elettrica, per i quali dopo lo stupore, fu tuttavia possibile adattarsi.

La luce al nèon supera le possibilità umane di adattamento e finisce col diventare lesiva. Essa ha la stessa intensità della luce solare riflessa da un nevaio e non essendo stabile sottopone la pupilla a continue contrazioni. La nostra pupilla può reagire a una vibrazione di un trecentesimo di secondo e le luci moderne, anche escludendo le deficienze nell’impianto, di queste vibrazioni ne hanno continue. Contrarre per più ore la pupilla è come sottoporre un muscolo qualsiasi per più ore a uno stesso movimento, con il danno accresciuto dal fatto che la pupilla e il suo muscolo sono immediati al cervello.

In Francia già è incominciata una reazione a questo abbacinamento impunito e in Germania gli operai hanno già chiesto che questa luce venga abolita nelle fabbriche. In Italia, vittime della nostra miseria e del solito provincialismo, rimaniamo succubi nel martirio dato da questa scoperta venuta dall’America. Nelle città delle regioni più misere, dove le case sono vecchie e decrepite, dove se si riesce a colorare di rosa la facciata della propria casa è come acquistare un titolo nobiliare, l’illuminazione al nèon è stata un rapido ed economico compromesso invece di rifare la casa dalle fondamenta. Questa luce ha concesso una rivoluzione da tre soldi e tutti vi si sono buttati inconsciamente.

Foto di Aleksandar Pasaric

Con questa mentalità una trattoria, un locale, una bottega che non possa avere il nèon vengono giudicati miserabili e si può immaginare l’angoscia dei proprietari.

Nella miseria italiana il nèon non è soltanto una rivoluzione, ma un progresso verso la finta ricchezza e tutti vi cascano. Vi cascano tanto gli industriali, i bancari, le grandi aziende commerciali, come i piccoli artigiani tutti illudendosi che tanta abbondanza di luce dia con un fasto maggiore più rendimento, più possibilità di lavoro, mentre paralizza l’occhio, istupidisce, genera mali di testa e finisce col rendere assai di meno, immobilizzando lo scrivano sulla pagina bianca, diventata come uno specchio, e l’operaio sulla macchina, diventata allucinante. Nel suo studio il mio amico oculista, Alessandro Bozzoli, dimostrerà che ogni adattamento a questa luce sarà scontato amaramente fino alla cecità e peggio. Gli raccontai di un mio amico fotografo che, dopo avere lavorato tutto il giorno nella camera oscura, passava lunghe ore col nèon sopra alla testa a giuocare a carte ed era morto di meningite fulminante. Egli mi disse non era da escludere che quella luce avesse avuto la sua parte di responsabilità.
Giovanni Comisso

da Il Giorno del 23/01/1957

Immagine in evidenza: Foto di Paul Theodor Oja

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