RE.USE. Ecologia del visivo e iperprogetti

A Treviso è visitabile fino al 10 febbraio la mostra RE.USE. Scarti, oggetti, ecologia nell’arte contemporanea attraverso un percorso che tocca il Museo di Santa Caterina, Ca’ dei Ricchi e Casa Robegan. Una percorso espositivo che partendo da Marcel Duchamp arriva ai nostri giorni ragionando sul riuso in chiave creativa degli oggetti. Di seguito pubblichiamo un estratto del testo critico in catalogo (Silvana, 2018) di Carlo Sala che fa il punto sulle ricerche recenti.

Marcel Duchamp con Roue de bicyclette (1913), il suo primo ready-made, ha aperto una vera e propria faglia nella storia dell’arte rendendo vetuste le precedenti categorie estetiche. L’opera ha determinato un avanti e dopo Duchamp che ha modificato non solo la concezione di cosa è arte, ma anche la figura dell’artista, il suo ruolo sociale e tutto quell’insieme di meccanismi interconnessi che vanno sotto il nome di sistema dell’arte. Da allora le ricerche attorno alla appropriazione, reificazione, risemantizzazione e archiviazione dell’oggetto hanno interessato alcune delle principiali tendenze artistiche: dal Dada al Cubismo, dal Nouveau Réalisme alla Pop art, da Fluxus all’Arte concettuale, dalle ricerche neo-consumistiche ed edonistiche degli anni Ottanta fino alla smaterializzazione digitale odierna.

Nell’ultimo decennio questo tipo di sperimentazioni artistiche si sono intrecciate con vari fattori, a cominciare dalla nuova sensibilità ecologica sostenuta da una feconda ricerca teorica in ambito filosofico; le ‘crepe’ al modello capitalista lasciate dalla crisi economica scoppiata un decennio fa con il fallimento della banca d’affari Lehman Brothers hanno costretto ad un ripensamento degli stili di vita, entro cui rientra anche un cambio di paradigma sui cicli di produzione e di consumo di beni, come proposto ad esempio dell’economia circolare. In secondo luogo, l’utilizzo osmotico delle tecnologie tipico di questi anni è contraddistinto dalla creazione e messa in circolazione di contenuti digitali (dove l’immagine riveste il ruolo principale) in tempo reale, che pur manifestandosi in un uno stato immateriale e liquido, hanno portato ad un sovraffollamento iconico associato ad un diffuso sentimento di horror pleni.

Pratchaya Phinthong

Questo fenomeno di saturazione del visivo, che che oggi si presenta con una portata senza precedenti, ha comunque connaturato tutto lo sviluppo dell’immagine riproducibile in relazione all’evoluzione del mezzo fotografico: dal lancio della prima Kodak nel 1888 con il famoso slogan You press the button, we do the rest che ha reso questo medium un fenomeno di massa strappandola all’élite colta, alla fotografia popolare negli anni del boom economico nel dopoguerra fino a giungere all’iconosfera contemporanea come conseguenza della presenza quotidiana delle tecnologie digitali nelle nostre vite.

Basta un dato per comprendere l’ampiezza del fenomeno: oggi, nell’arco di ventiquattro ore, vengono caricate sul web più immagini di quante ne sono state prodotte lungo tutto il diciannovesimo secolo;

in tal senso, è normale che molti autori si stiano confrontando in modo critico con questa ‘invasione’ di icone effimere, considerandole della ‘spazzatura’ che inquina la percezione e comprensione del reale. A tal proposito, il fotografo e teorico Joan Fontcuberta si è spinto oltre, asserendo che «siamo immersi nel capitalismo delle immagini, e i suoi eccessi, più che sommergerci nell’asfissia del consumo, ci pongono di fronte alla sfida della sua gestione politica»1.

Jonatan Monk

L’artista, invita ad esempio a riflettere sugli effetti scatenati della diffusione dell’immagine caricaturale del profeta Maometto che ha portato agli attentanti di Parigi alla sede della rivista satirica Charlie Hebdo; siamo così dinanzi a uno scenario dove le immagini non sono un fattore neutro, e al contrario sono diventate – sempre mutuando le parole dello spagnolo – attive, furiose e pericolose e per questo ognuno di noi ha una implicita responsabilità perché per la prima volta nella storia agiamo da prosumer, ovvero siamo al tempo stesso dei creatori e dei consumatori del magma visivo che circola in diretta attraverso i social network, bypassando così i tradizionali canali della comunicazione, dell’informazione e del sistema culturale.

Il fenomeno della Postfotografia (termine coniato negli anni Ottanta, ma che solo nell’ultimo decennio ha trovato piena affermazione pratica) è infatti caratterizzato da tre fattori che sono «l’immaterialità e la trasmissibilità delle immagini; la loro moltiplicazione e disponibilità; e il loro apporto decisivo nel rendere enciclopedici il sapere e la comunicazione»2.

The Cool Couple

L’altro nodo fondamentale a livello teorico che sta profondamente influenzando la ricerca di molti artisti a livello globale sono le rinnovate riflessioni filosofiche di stampo ecologista e il conseguente dibattito sulla teoria dell’Antropocene. Un questione che si muove in parallelo tra cultura alta e popolare, dove cinema e narrativa (su tutti, i romanzi della Trilogia dell’Area X di Jeff VanderMeer) vanno a braccetto con la filosofia e l’indagine scientifica, divenendo linfa vitale per il lavoro di molti autori contemporanei. Uno dei pensatori che negli ultimi anni ha avuto il maggior impatto sul sistema culturale è Timothy Morton grazie al suo volume Hyperobjects: Philosophy and Ecology After the End of the World del 2013; un testo che si inserisce nella cornice di una delle principali correnti del realismo speculativo internazionale, la Object-Oriented Ontology. Nel volume, uscito in Italia solo nell’aprile 2018, lo studioso britannico delinea gli Iperoggetti, delle «entità diffusamente distribuite nello spazio e nel tempo»3 di natura non-locale e viscosa, grazie alla quale si attaccano alle altre entità con cui entrano in relazione.

Anche se ad una prima lettura alcuni di questi caratteri possono sembrare bizzarri e frutto di un romanzo di fantascienza, Morton pone degli esempi concreti di Iperoggetto dove il più importante è il riscaldamento globale (non usa il termine cambiamento climatico perché, a suo giudizio, troppo logorato dal dibattito recente).

In merito a quest’ultimo, fin dal titolo del saggio si evince uno degli aspetti più innovativi della sua tesi, il sostenere che la fine del mondo è già avvenuta: è una presa di posizione netta e provocatoria, ma che permette di scardinare le normali coordinate del pensiero ecologico per lasciarsi alle spalle tanto il negazionismo climatico quanto le visioni apocalittiche sull’ambiente. Secondo l’autore questa fine è avvenuta attraverso due tappe fondamentali: il 1784 quando James Watt ha inventato la macchina a vapore e il 1945 a Trinity nel New Mexico con i test del Manhattan Project sulla prima bomba atomica.

Alek O

Sempre secondo Morton, è impossibile adottare un metalinguaggio agli Iperoggetti, perché «non esiste nessun luogo in cui si possa dire di essere fuori delle cose» e l’idea stessa di mondo come definizione del campo d’azione viene meno. Ne consegue, che anche nell’ambito delle ricerche visive contemporanee fenomeni complessi come gli Iperoggetti, a prescindere dal loro contenuto specifico, rendono fallaci i normali sistemi di rappresentazione e portano a cercare nuovi approcci metodologici di comprensione, analisi e narrazione.

All’interno dell’esposizione RE.USE. Scarti, oggetti ed ecologia nell’arte contemporanea le opere realizzate nell’ultimo decennio seguono una pluralità di declinazioni, segnando una linea di discontinuità con la tradizione novecentesca legata al tema, e anche laddove alcune formalizzazioni appaiono affini, sono mosse da istanze e presupposti differenti.

E’ stato il pensiero di Morton ad influenzare il collettivo The Cool Couple (composto da Niccolò Benetton e Simone Santilli, attivo dal 2012) nello sviluppo del progetto Karma Fails (2016-in corso): nato da una riflessione sull’uso contemporaneo della meditazione come strumento biopolitico, crea un immaginario solo apparentemente rassicurante attraverso dei giardini zen dove sono collocati dei plastiglomerati (delle pietre formate dall’unione di materiale organico e plastica) e quattro immagini che mostrano dei paesaggi fittizi che condensano un’iconografia dell’Antropocene.

In mostra sono presenti numerose ricerche basate sulla manipolazione dell’oggetto seriale, mosse però da intenti dissimili tra loro. L’artista argentina Alek O (Buenos Aires, 1981), in lavori come Untitled (Umbrellas) del 2011, piega l’aspetto omologato degli oggetti quotidiani di cui si appropria (ombrelli, tavoli, abiti) al gusto per la lavorazione manuale tipica dell’artigianato; attraverso la sua azione, nascono delle installazioni aniconiche che sono i perenni custodi degli accadimenti precedentemente vissuti dal manufatto.

L’artista thailandese Pratchaya Phinthong (Ubon Ratchathani, 1974), attua al contrario un poetica che non vuole cristallizzare l’oggetto come un fattore memoriale, ma renderlo un elemento dinamico. Il lavoro Untitled (2012) è nato dal riuso di alcuni cavi elettrici di cui le guaine sono diventate una scultura statica mentre il rame è stato fuso per creare delle viti che hanno un valore simbolico e programmatico: queste saranno infatti la materia attraverso cui l’opera permane in uno stato di continua trasformazione, poiché potranno essere utilizzante in futuro per nuovi lavori o allestimenti, innescando così della relazioni inaspettate.


I.U.B.P (2015) di Arcangelo Sassolino (Montecchio Maggiore, 1967)

La scultura I.U.B.P (2015) di Arcangelo Sassolino (Montecchio Maggiore, 1967) parte anch’essa dall’uso di un oggetto prodotto industrialmente – la ruota di un camion – che l’artista sottrae alla sua funzione originaria e pone in uno stato di perenne tensione e caducità, realizzando così una potente allegoria della precarietà della condizione umana. Il lavoro Tea with the Queen (2012) di Jonathan Monk (Leicester, 1969) è composto da una serie di tipiche tazzine da tè, capaci di incarnare la storia e l’identità inglese; sui lati di ognuna di essere è però annotata la data di un ipotetico appuntamento con la regnante fissato per il 19 Maggio del 2039, innescando così un cortocircuito ironico.

Alcune ricerche partono invece da materiali di scarto senza alcun valore che mediante l’intervento autoriale divengono dei feticci contemporanei, come avviene in After Szeemann (2014) di Giovanni Morbin (Valdagno, 1956): durante una performance l’artista ha raccolto la polvere dello studio del grande curatore svizzero a cui è dedicata l’opera, trasformandola in un simulacro della sua esperienza. Il lavoro site-specific Stele Blé (2018) di Marco Andrighetto (Treviso, 1979) è giocato invece su una massa informe composta da vari manifesti stradali appesi uno sopra l’altro. Il suo intervento per sottrazione fa emergere le varie sedimentazioni imprigionate nella materia che si rivelano attraverso una serie di decori che sembrano richiamare una immaginario visivo tipico dei paesi mediorientali.


Marco Bolognesi (Bologna, 1974) The Place (2014)

Infine l’installazione di Marco Bolognesi (Bologna, 1974) The Place (2014) che mette in scena l’immaginaria città di Sendai attraverso un mix di elementi scultorei e la realtà aumentata. Il lavoro, pregno di suggestioni della cultura cyberpunk, trasmette un’idea di futuro non più legata a quella di progresso: è la visione di un paesaggio distopico dove tutto sembra ammantato da una obsolescenza precoce.

Il saggista Mark Fisher, nel suo celebre testo Realismo capitalista, ricordava come «un tempo, i film e i romanzi distopici erano esercizi di immaginazione in cui i disastri agivano come pretesto narrativo per l’emersione di modi di vivere nuovi e differenti»; agli autori odierni che si confrontano con le tematiche dell’attualità va il compito di «immaginare un’alternativa coerente»5 per affrontare le sfide ambientali, sociali e politiche che ci attendono.

note:

1            Joan Fontcuberta, La furia delle immagini. Note sulla Postfotografia, Torino, Einaudi, 2018, p. 3

2            Ivi, p. 4.

3            Timothy Morton, Iperoggetti. Filosofia ed ecologia per la fine del mondo, Roma, NERO, 2018, p. 11.

4            Ivi, p. 14.

5            Mark Fisher, Realismo capitalista, Roma, NERO, 2018, p. 26.

didascalie:

Pratchaya Phinthong, Untitled, 2012

Jonathan Monk, Tea with the Queen , 2012

Marco Andrighetto, Stele Blé , 2018

The Cool Couple, Karma Fails, Meditation Rocks®Fire / Water / Earth / Air, 2017

Arcangelo Sassolino, I.U.B.P, 2015

Alek O, Untitled (Umbrellas), 2011

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