Recensioni a “Giovanissimi” di Alessio Forgione

“Giovanissimi” di Alessio Forgione

Non ci si pensa mai che esiste anche quello ch’è invisibile agli occhi, fermo da qualche parte, in attesa proprio di te”.Per quanto incontriamo questa frase verso la fine del romanzo, la scrittura di Forgione parte da questa consapevolezza, perché è lui a essere consapevole, uno degli autori più consapevoli del momento, e questa consapevolezza conferisce ai suoi personaggi un’aria di disincanto, quasi di disillusione, nei confronti del futuro, un futuro nel quale Marocco, il protagonista principale, fatica, nonostante la giovane età, a disegnare un orizzonte.Lui nella realtà si chiama Marco Pane ma gli amici lo chiamano appunto Marocco per via della sua fisionomia pregnante di caratteri specifici. Rispetto al romanzo precedente, che ha il centro di Napoli come sfondo su cui si muovono Amoresano e i suoi amici, questo si svolge quasi interamente a Soccavo, il quartiere periferico da cui proviene l’autore, un quartiere nei confronti del quale Forgione sembra nutrire il classico sentimento di amore-odio che si prova verso qualcosa che, pur riconoscendola povera brutta, quasi reietta, non possiamo non riconoscere il legame indissolubile che ci lega, e che è alla base di quello che siamo diventati. Qui infatti, in Giovanissimi, rispetto a Napoli mon amour, i protagonisti sono adolescenti e in quanto tali devono necessariamente muoversi dentro il territorio di origine, con tutti i suoi pregi e i suoi difetti. È a Soccavo che crescono, si formano, si forgiano, andando spesso a sbattere contro il muro, e rifugiandosi in quella solitudine, palestra dura e necessaria per diventare uomini. Giovanissimi, è stato letto come un romanzo sull’educazione sentimentale di periferia, e se lo è, questo è avvenuto solo incidentalmente. Non ritengo che l’autore avesse minimamente in testa un obiettivo del genere. Forgione ci presenta i suoi personaggi con una trasparenza disarmante. Sembra di trovarci dentro storie realmente vissute, all’interno delle quali partecipa tutti i possibili umori e, soprattutto, sentimenti che appartengono a tutti noi. Ed è questo il punto, lui racconta una storia, partendo certamente dai suoi vissuti e noi non dobbiamo fare altro che “infilarci” dentro, farle nostre, perché alla fine lo sono anche nostre. E in questo raccontare incontriamo anche l’amore, quello che riesce a tirare fuori il protagonista da un mondo e un ruolo che si era costruito, semplicemente per nascondere il vero sé. Un amore necessario, un’urgenza che appartiene a tutti noi, se solo riuscissimo anche noi a renderci conto di quell’esistenza, l’esistenza di quell’invisibile che, con nostra pace, Marocco alla fine incontra.“C’avevo provato e avevo capito che non ero così e che invece volevo solo amare ed essere felice e volevo che tutti se ne accorgessero. Volevo fare del mio sorriso un simbolo, uno sfregio permanente che mi rovinava la faccia».

Riccardo Sapia

Marco, soprannominato Marocco, è un ragazzo di 14 anni che vive con il padre in un quartiere di Napoli, ed è lui a raccontare la sua adolescenza, trascorsa nella routine dei suoi impegni a scuola e agli allenamenti di calcio. A Marco manca l’affetto della mamma che lo ha abbandonato e verso la quale prova contrastanti sentimenti di rabbia e di nostalgia; il rapporto con il padre, unico suo riferimento è fatto di silenzio e di rassegnazione; é Serena a portare luce e nella giovane vita del ragazzo con la forza???? del primo amore ma non è tutto così semplice… Frasi brevi e stile asciutto: l’autore lascia che sia il lettore a percepire il senso di vuoto e di solitudine che traspare dai pensieri del ragazzo, pensieri senza meta e senza troppe speranze. Un libro struggente molto vero, fatto di quell’amore e di quell’amicizia che solo un adolescente può offrire perché la vita “poi arriva e fa male”.

Caterina Passarelli

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