Tommaso Tommaseo Ponzetta. A cena da Goffredo

Dialogo medico-filosofico fra un chirurgo e uno scrittore

Immaginate una casetta sul greto selvaggio del Piave, luci fioche alla finestra. Siamo a Salgareda, in golena, tra salici, pioppi, sambuchi e melograni. Il sole  è tramontato già da un po’ lasciando il posto ad una nebbiolina densa e grigia. E’ il 1979, autunno.

Un uomo sta preparando una cena spartana, aspetta un commensale.

Una Ford Taunus percorre l’argine della sinistra Piave, scende per una ripida stradina nella golena di Salgareda imboccando via Gonfo, un viottolo sterrato.

Alla guida un uomo. E’ atteso per cena.

I due protagonisti della serata sono Goffredo Parise, scrittore, che in quella casetta abita da qualche anno, e Tommaso Tommaseo Ponzetta, medico chirurgo.

Si ritrovano finalmente seduti “alla tavola che è di legno grezzo, le seggiole sono impagliate, noi come due frati che, per una brevissima frazione di tempo, si sentono estranei ai fastidi del mondo e solo attenti l’uno all’altro, seduti nel refettorio di un isolato convento. Dove lui è il priore. Brodo e pane, poi un’insalata verde e persino una mela. Il vino è un rosso del Piave.”

Dopo cena, tra un bicchierino di grappa ed un sigaretta la conversazione assume toni profondi: il medico e lo scrittore si incontrano su un terreno filosofico.

Ascoltiamoli…

Segue qualche minuto di silenzio, beviamo un grappino. “È buona, stravecchia … “, mi dice versando la grappa nei bicchierini. Lui beve, schiocca la lingua e riprende:

“lo ti confesso che credo fermamente nella psicosomatica, comprendo che questo termine possa apparire a molti di voi medici e chirurghi, piuttosto generico e anche ambiguo, ma altro termine non vedo per tentare di definire quei fenomeni patologici prodotti dalla psiche, da turbe psichiche anche limitate nel tempo. Insomma penso non si possa contestare che ogni patologia sia in stretto contatto con la psiche”.

Io lo ascolto con quella curiosità disincantata che è insita nel mio operare da umile artigiano della scienza. “Abbi pazienza – intervengo – tu sai bene che la genealogia di noi chirurghi risale a quei tipi, di certo presuntuosi e un po’ ciarlatani, che intorno al Mille vagabondavano per le strade di mezzo mondo con la fama di ‘giustaossi’, di ‘tagliaernie’ e di ‘cavadenti’. Col tempo, si sa, la chirurgia è diventata scienza e tale è attualmente, equiparandosi alla medicina interna da tempo più elitaria, ma la discendenza rimane quella che è, ‘terra-terra’. È quindi presumibile che nella struttura mentale di noi chirurghi siano presenti ancor oggi dei cromosomi ‘dozzinali’, poco consoni cioè a comprendere del tutto le tue sottili disquisizioni sulla psiche e altro … “. Goffredo sorride. “Perché sorridi?”, gli domando. Segue un attimo di silenzio, poi lui, con voce pacata e suadente, si spiega:

“Sorrido alla sottovalutazione che fai di te stesso e della tua professione. La conoscenza del corpo umano di voi chirurghi è fior di cultura realistica e riflettere su questo è già abbastanza per una vita, diventa cultura non soltanto realistica, ma, come si dice ‘in progress’, in quanto comporta continue novità, così come le porta la vita stessa. La vostra è cultura che io ammiro e vi invidio. L’azione del chirurgo contro la malattia è al tempo stesso violenta e vitale, amputa la morte di tutti o di una parte dei suoi artigli, quando essa si presenta amputabile”.

“Sì”, riprendo io, “ma la malattia grave, quando cioè avverti che dentro ti si rompe qualcosa col fragore della rottura di un giunto cardanico, anche se speri sempre che  qualcuno possa porre rimedio al ‘guasto’, rimane pur sempre un dramma… .

“Vedi”, precisa Goffredo, “la malattia, per me, più che un dramma è un accidente drammatico. Guardandoti operare, quel giorno, vedevo in corpore l’azione contro la malattia, cioè la vita. Quando io penso che i miei polmoni e il mio cuore, a lungo andare di sigarette, di emozioni, di fatale usura, e con essi altri organi inevitabilmente degenerano non penso alla malattia, bensì alla vecchiaia. E l’azione contro la vecchiaia non c’è, non esiste, se non quelle prudenze, quei palliativi, quella amministrazione insomma che nel suo procedere è già una forma di vecchiaia e dunque di morte”.

“Ma la vecchiaia”, osservo io, “è solo un’età che, in fondo, rappresenta la fisiologica involuzione dei nostri organi o apparati. Contrariamente alla malattia, la vecchiaia è prevedibile: io so che, se non sarò colpito da una malattia mortale, diventerò fatalmente vecchio. E la vecchiaia, diversamente dalla malattia grave, può essere aggettivata in modo diverso, non sempre infatti è drammatica o triste, può essere anche serena, felice … “

Goffredo sembra rimanere della sua opinione: “Pensando alla vecchiaia io penso, per procedimento di causa ed effetto, che essa è il vero inizio della morte. E questo, questo soltanto è, almeno per me, il vero dramma … Ma tornando a quanto andavamo prima discorrendo sul tema carattere e patologia, io credo abbastanza fermamente che il complesso delle funzioni psicologiche producano patologia tout court e non soltanto malattie chiare alla analisi e alla diagnosi come per esempio l’infarto, ma anche malattie oscure come il cancro”.

Il mio interlocutore dà qualche colpetto di tosse, tira su il naso e lo preme ai lati con le dita come usa fare spesso, poi riprende a parlare: “Contrariamente a quel famoso accademico che appena conosciuto esordì col dirmi che l’uomo è come il motore di un’automobile, suppongo non essendo io, ahimè, medico, che il motore umano sia molto più complesso e fragile di quello di una automobile e sottoposto fin dai cromosomi, e non soltanto di quelli suoi ma anche di quelli dei lontani pro genitori, a una serie di combinazioni chimiche tali da non poterne venire a capo se non con l’apparizione dell’individuo, ognuno diverso dall’altro, sulla terra. Una volta comparso, con il suo temperamento, con il passare degli anni, si avrà il suo carattere, tra l’altro sconosciutissimo, ma padrone del suo corpo e dunque delle sue presenti e future patologie”.

Non oso interloquire, Goffredo adesso è un fiume in piena e posso solo ascoltarlo. Egli aggrotta i sopraccigli e afferma severamente: “Solo l’estrema patologia, lo stato di perfetto equilibrio cellulare, cioè la morte, potrà suggellare per sempre quel procedimento misterioso che tale rimane, per cui nessuno saprà nulla di nulla”.

Per me non è facile seguirlo, lui intuisce il mio disagio e mi spiega: “Solo le opere date in vita da quel carattere e forse persino da quelle patologie, vivranno a testimonianza sia del carattere, sia delle patologie. E si potranno esaminare e analizzare sotto questa o altra luce rivelando certamente di più di una autopsia. Alle orecchie di un medico tutto ciò sembrerà, o così mi auguro, abbastanza ovvio e tuttavia io credo che molti medici, per così dire meccanicisti, come quell’accademico che ho ricordato, non danno per me mai abbastanza importanza, nelle loro analisi e nelle diagnosi, all’influenza del carattere nella comparsa, in un paziente, di un determinato e particolare fenomeno patologico, a quanto il carattere possa esserne la vera causa o una parte di causa in una sorta di diagramma che può essere tutto, ma mai niente.”

Potete qui leggere l’intero racconto A cena da Goffredo di Tommaso Tommaseo Ponzetta  tratto da A cena da Goffredo Parise e altri racconti (Piazza, 2017) con prefazione di Carlo Nordio.

Tommaso Tommaseo Ponzetta (Venezia, 1928), allievo del Professor Pietro Valdoni dell’Università di Roma, è stato Primario chirurgo dell’Ospedale di Treviso per 23 anni. Libero Docente presso l’Università di Roma, pioniere in Italia del trapianto renale, ha eseguito nel corso della sua carriera universitaria ed ospedaliera oltre 20.000 interventi operatori ed è autore di 130 pubblicazioni scientifiche. Nel 1986, per la prima volta al mondo, ha compiuto con Vincenzo Gallucci dell’Università di Padova il trapianto di cuore e rene in un unico intervento. Ha inoltre coltivato la passione per la narrativa, pubblicando “Il tempo delle gazzose”(1983) con la presentazione di Andrea Zanzotto, “La carrozza del nonno” (2000), “Per raggiunti limiti di età” (2009) con la presentazione di Nico Naldini, “Il bisturi e la vita” (2012) con l’introduzione di Mario Bernardi, “Gottmituns.Dio è con noi”(2015) con la postfazione di Gian Domenico Mazzocato, “A cena da Goffredo Parise e altri racconti” (2017) con prefazione di Carlo Nordio

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