"Un uomo libero e innamorato della bellezza...". Nicola De Cilia in ricordo di Nico Naldini

“Un uomo libero e innamorato della bellezza…”. Nicola De Cilia in ricordo di Nico Naldini

L’altra sera ho telefonato a Ilem, la donna che da un paio d’anni con pazienza e dedizione segue Nico Naldini e le ho chiesto notizie. “Dice che ha male il cervello.” Le ho chiesto di salutarlo. Ultimamente andavo poco a trovare Nico, un po’ per il Covid, un po’ perché dormiva molto, dopo che si era rotto il femore, a fine gennaio, e non volevo disturbarlo. Stamattina (ieri per chi legge), Ilem mi ha chiamato nuovamente: “Corri, Nico sta male, gli manca il respiro.” Dopo cinque minuti, mentre stavo per arrivare, mi ha richiamato: “È morto.”

Se ne andato così Nico Naldini, è scivolato via, in un attimo. Sono entrato nella stanza da letto, era lì supino, sotto le lenzuola, con la bocca aperta, la testa reclinata. Per un momento, ho avuto la sensazione che si sarebbe scosso dal sonno, si sarebbe schiarito la voce e mi avrebbe rimproverato per essere arrivato tardi.

Era disteso su quello stesso letto, che fungeva anche da divano, la prima volta che sono entrato in casa sua, più di vent’anni fa. Era stato Goffredo Fofi a indirizzarmi da Naldini – stava per uscire l’antologia del Meridiano Mondadori dedicata a Comisso – ne nacque una bella intervista per “Lo straniero” e insieme un’amicizia. Mi telefonava e io andavo a trovarlo, lo accompagnavo a passeggiare lungo le vie di Treviso, città amata e odiata che era diventata il suo ultimo rifugio, dopo aver vissuto a Trieste, Milano, Roma. La città di Giovanni Comisso, di cui Nico era stato amico, nonché biografo, curatore e fondatore degli Amici di Comisso (insieme a Cino Boccazzi).

Nico era uno stupendo affabulatore, brillante e malizioso, arguto quando l’argomento gli stava a cuore, mai lezioso, a volte tagliente, a tratti tranchant: durante le nostre camminate, gli piaceva raccontarmi delle esperienze nel mondo del cinema, specie con Federico Fellini, amava meno parlare del mondo della poesia, troppe le invidie e le maldicenze, ma se gli chiedevo di Eugenio Montale, allora si illuminava e si abbandonava a una serie di aneddoti sapidi e spassosi. Mi sembrava di partecipare anch’io, quasi, a quel mondo. La sua vena narrativa aveva sempre bisogno di un pubblico attento – fosse anche una sola persona -, guai a distrarsi, guai a interromperlo. Perfino Abel Ferrara era rimasto soggiogato ascoltandolo parlare di Pasolini, quel giorno in Vineria, con Nico che, tra un bicchiere e l’altro, declamava la bontà dei vini trevigiani al regista statunitense che stava disintossicandosi dall’alcol e beveva solo acqua minerale. Pasolini, l’amatissimo cugino ma anche presenza ingombrante, col cui fantasma Nico non ha mai smesso di fare i conti, ma anche di difenderlo da ogni appropriazione indebita, da ogni manovra meschina (e lo ha fatto nel modo più consono: scrivendo libri bellissimi).

Pier Paolo Pasolini

Nico era un uomo privo di mezze misure, o amava o odiava, non nascondeva le sue antipatie, che erano istintive. Anche il suo rapporto con Treviso era ambivalente, nutrito di incomprensioni ma anche di un grande amore: un paio di anni fa, questa ambivalenza si è sciolta, Nico è sembrato riconciliarsi con la città, un pomeriggio a Santa Caterina, durante Carta Carbone, quando di fronte alla sala piena, si è commosso e ha fatto pace con la città, esaltandone gli umori ancora ricchi e vitali.

A volte poteva essere insofferente, umorale, bizzoso, diventare ossessivo: allora chiamava al telefono anche dieci volte di seguito, finché le sue ansie non si placavano in qualche modo. Ma alla fine, gli si perdonava tutto: quando Nico era in vena, era l’uomo più affabile si potesse immaginare e la sua generosità ti conquistava. Ho conosciuto pochi uomini altrettanto liberi, e innamorati della bellezza, che identificava con la gioventù: i corpi dei giovani, mi confidava, erano tutto per lui, erano la vita nelle sue manifestazioni più belle, l’eleganza, la destrezza, il guizzare dei muscoli sotto la maglietta di un ragazzo. Subire l’orrida vecchiaia, vedere il corpo consumarsi giorno dopo giorno è stato un perfido contrappasso. Detestava le fedi religiose e la credenza in un dio giudice che promette castighi e premi. L’umanità è così disgraziata di suo, mi diceva, che bisogno c’è di un dio castigatore? Così, presto le ceneri verranno affidate alle acque del Tagliamento per una nuova luminosa giovinezza.

Nicola De Cilia

L’articolo è stato pubblicato il 10 settembre 2020 su La Tribuna di Treviso

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