I figli letterari (e non) di Mario Rigoni Stern. Antonio G. Bortoluzzi intervista Andrea Nicolussi Golo

Andrea Nicolussi Golo, il tuo primo libro, uscito nel 2010,Guardiano di stelle e di vacche, ha la prefazione illustre di Rigoni Stern. Com’è accaduto?

Vedi, prima di rispondere a questa domanda, voglio premettere una cosa che magari ti stupirà, ma che serve per evitare fraintendimenti. Io non sono stato amico di Mario Rigoni Stern, che ha scritto la prefazione di cui parli. Certo l’ho incontrato molte volte, frequentava Luserna,il mio paese in provincia di Trento, e spesso ci si fermava a parlare in piazza, dal Rossi o in biblioteca, gli ho scritto e lui, come sempre faceva, trovava il tempo per rispondere, rispondeva a tutti, quindi anche a me, ma mai e poi mai mi sarei permesso di dargli del tu o di chiamarlo amico, mai avrei superato quel metro di distanza fisica che sempre c’era tra noi due. A dire tutta la verità, Mario per me, è stato per anni inavvicinabile, ne avevo soggezione e mi tenevo lontano, poi avevo preso l’abitudine di salire in Valgiardini dove abitava ad Asiago, non era mia intenzione incontrarlo, volevo solo guardare dove lui guardava mentre scriveva La storia di Tönle, volevo guardare il Moor e immaginare la vacca immobile contro il tramonto, però a volte lui era lì a ruscare nell’orto o ad accatastare la legna nella legnaia e allora ci si salutava con un gesto della mano, si diceva del tempo, delle rondini volate via troppo presto, della stranezza di una civetta che fischia in pieno giorno. Degli inverni passati e degli altri che dovranno venire.

Per dire del mio rapporto con Mario Rigoni Stern basterebbero due parole: rispettosa distanza.

E la storia della prefazione al mio primo libro è paradigmatica in questo senso, mai avrei avuto il coraggio di chiedere al Mario di leggere le mie povere storielle, lo ha fatto al posto mio un collega che lavorava all’istituto Cimbro, la risposta di Mario fu lapidaria: No!, nessuno di noi disse nulla naturalmente, ma poi, mentre si incominciava già a parlare di altro, lui riprese: Vedi Andrea, ho sessantaquattro libri di cui mi hanno chiesto di scrivere una prefazione, ci sono anche dei nomi famosi e io compirò presto ottantaquattro anni:anche se vivessi sino a centodieci non ce la farei mai a tenere fede agli impegni e poi mia moglie mi fa lavorare solo due ore al giorno. Poi si prese per davvero a parlare di altro, degli alpeggi, del mio essere stato vacaréto, uno degli ultimi vacaréti dell’Altipiano amava dire di me, ma alla fine prima di andarsene Mario prese quei miei fogliacci dimenticati sopra un tavolo: Dei, demo qua, disse e se li portò via. Passarono molti mesi e nessuno aspettava una risposta, poi arrivò il plico e all’interno un foglietto scritto a mano: Da usare per il libro dell’Andrea Golo. Con affetto e stima MRS e poi scritte a macchina le parole che hanno trovato spazio all’inizio del mio primo libro. È molto commovente quello scritto con le correzioni a bianchetto, in cui Mario racconta di una sua visita alla biblioteca di Luserna assieme al suo Editore Giulio Einaudi: Vedi sin dove sono arrivati i tuoi libri, gli dissi.

Conservo quei fogli come una reliquia. Ho un solo grande rimpianto, le vicende editoriali sono lunghissime e portarono a pubblicare il libro che lui non c’era più, ho subito fatto avere una copia alla moglie Anna e ho ricevuto da lei una lettera bellissima.

Una volta mi hai raccontato di una pista innevata, di un giovane maestro di sci e di due uomini fermi a bordo pista…

 Vedi, se sei fatto come sono fatto io, che mai vorresti essere meno che rispettoso verso gli altri, allora anche se trovi due persone che hanno vissuto il ‘900 sulla propria pelle, immobili, ai bordi di una pista da fondo, d’inverno, al tramonto, anche se tu sei un giovane maestro di sci che ama tanto leggere e metti in mostra tutte le tue capacità, per quel pudore che ho cercato di spiegarti poco fa, non ti fermi a salutare e presentarti,

vai avanti anche se senti le lacrime bruciare agli angoli degli occhi e diventare perle di ghiaccio, vai dritto senza parlare perché ogni parola sarebbe superflua,

sai che non ti capiterà mai più di incontrare la persona che sta accanto al Mario, ma sei cosciente del tuo essere inopportuno. Certo quell’incitamento arrivato alle mie spalle quando già ero un po’ lontano: Eja eja maestro! mi ha fatto pensare molte volte che forse a quei due non sarebbe dispiaciuto che un giovane ragazzo di montagna li riconoscesse e si fermasse a parlare con loro dei libri e delle loro vite esemplari. Ah, non ho detto chi era quell’uomo che accompagnava Mario Rigoni Stern, va beh, che resti un segreto come quelli che hanno per soli testimoni la neve e il silenzio.

Più di Dino Buzzati, più di Bepi Mazzotti, più di Giovanna Zangrandi: perché, secondo te oggi, molti scrittori di montagna si considerano figli di Rigoni Stern?

Perché tutti lo abbiamo letto e amato il Mario e alcuni lo hanno anche studiato e quindi a un certo punto, scrivendo storie che abbiano a che fare con la montagna, diventa quasi naturale dire Io ho letto e riletto Mario Rigoni Stern, lui è il mio modello, io sono il suo erede. Molti però dimenticano quello che mi hai detto tu un giorno:

Guarda che Rigoni Stern è stato soprattutto rivoluzionario.

Ecco, ce lo siamo detti tante volte, se si vuole davvero sentirsi in qualche modo eredi della sua scrittura occorre essere rivoluzionari, non basta scrivere come pensiamo abbia scritto Rigoni Stern, è necessario percorrere strade mai battute, accarezzare parole mai ascoltate come ha fatto lui, altrimenti scriviamo solo delle bruttecopie.  Oggi si pubblicano molti libri ambientati nelle terre alte. Io da montanaro non posso che essere felice di questa nuova attenzione che si riserva alla montagna, però vorrei davvero che se ne scrivesse con più verità, senza ricorrere a mezzucci per vendere qualche copia in più, per illudere anche, vorrei che non si descrivesse la montagna come un mondo a parte dove sia possibile trovare la felicità che sfugge nel tran tran quotidiano, lo vorrei semplicemente perché non è vero, vorrei che non si usasse la montagna, il vivere in montagna, come un pretesto, come una moda che oggi ne fa un discreto affare editoriale.

Se potessi adesso rivolgere una domanda riguardante i libri a Mario Rigoni Stern gli chiederei: Ma tu che hai tanto amato scrittori di mare, Conrad, Biamonti, cosa ne dici di questi tuoi figlioli?Sono certo che mi risponderebbe con le parole di una sua famosa intervista:Con cento grandi libri puoi leggere fino a novant’anni. Guarda Senofonte, la sua Anabasi sulla ritirata dei greci dall’ Anatolia, in inverno. L’ho riletto da poco. C’è già tutto. Identico, nei minimi dettagli, alla storia del fronte russo. E allora ho pensato: che bisogno avevo di scrivere il Sergente della neve? Ho prodotto solo una variante sul tema. E poi Tucidide, Polibio: una meraviglia. Non un grammo di retorica. Sì, credo che mi risponderebbe proprio così l’uomo che di stesso disse una volta: Ci sono alberi grandi e bellissimi che superano gli altri: si chiamano Omero, Tucidide, Virgilio, Dante, Boccaccio, Cervantes, Shakespeare, Leopardi.

Dove la foresta alpina si dirada e la montagna diventa nuda, lassù cresce l’albero più piccolo della terra: il salice nano. Nella foresta della letteratura io sono un salice nano.

La questione etica, politica, esistenziale. Rigoni Stern incarna il fascino e la quiete della rettitudine, del mantener fede alla parola data, dell’importanza della Cultura, della speranza nei giovani… perché molti autori che si richiamano a Rigoni Stern quasi mai si soffermano su Primo Levi e Nuto Revelli di cui possiamo individuare la stessa stirpe umana del maestro dell’Altipiano?

Giuseppe Mendicino, il biografo di Mario Rigoni Stern, definisce Rigoni Stern, Revelli e Levi i petali di un unico trifoglio.

Purtroppo Levi è rimasto confinato nel suo ruolo di testimone e sino a non molti anni fa se ne disconosceva addirittura l’immensa capacità letteraria, Levi, a differenza di Rigoni Stern, che possiamo dire abbia vissuto due vite nell’immaginario collettivo, la prima come Sergente nella neve, la seconda come uomo de Il bosco degli urogalli, Levi dicevo, è rimasto invece indissolubilmente legato a Se questo è un uomo e molti ignorano per esempio il suo libro più bello, Il sistema periodico, molti non sanno di Levi amante delle montagne, il Levi del racconto Ferro, conoscono solo il chimico con il pizzetto da studioso e quindi non provano attrazione, se devi scrivere di montagna, è molto più semplice dirsi figli dell’uomo de Il bosco degli urogalli che dell’internato di Auschwitz.

Con Revelli la cosa è ancora più complicata perché nei suoi libri in particolare in quelli in cui denuncia la condizione vera della montagna, Il mondo dei vinti, L’anello forte, La guerra dei poveri è una vera pietra di inciampo per chi della montagna vuole descrivere l’idillio dell’alpe, la consolazione del buon vivere al ritmo delle stagioni e non della quotidiana fatica.

Una vicenda che mi ha molto colpito è l’impresa che uno dei figli di Rigoni Stern sta portando avanti in Bosnia. Ci racconti il tuo legame con la famiglia e questo grande progetto che è una testimonianza pratica e civile di un certo modo di stare al mondo?

 Ti dirò che ho seguito dai media sin dal principio questo progetto di Gianni Rigoni Stern della Transumanza di Pace, cioè di portare delle mucche a degli allevatori sui monti attorno a Srebrenica in Bosnia, in collaborazione con la Provincia Autonoma di Trento e mi sembrava un’iniziativa un po’ velleitaria. Ho assistito qualche settimana fa a una serata che Gianni ha tenuto a Levico in cui ha illustrato quello che è stato fatto in poco più di sei anni e sono rimasto incantato, l’intera sala è rimasta a bocca aperta, quell’uomo sposta le montagne, l’intero paesaggio è cambiato, lui è molto severo nel seguire il progetto, nel vegliare che gli allevatori non vendano o macellino le bestie senza permesso, sorveglia che vengano alimentate in modo corretto, sono state costruite stalle adatte, sono stati forniti mezzi agricoli, una vasca per l’abbattimento della temperatura del latte e il prossimo passo vuole essere un caseificio costruito in zona, perché adesso devono portare il latte a un centinaio di chilometri.

Ecco, chi non crede ai miracoli, deve andare a vedere e ad ascoltare quello che Gianni Rigoni Stern ha fatto in quel lembo di terra martoriato.

Quella sera c’era con lui anche Daniele Zovi l’autore di Alberi sapienti e antiche foreste, e in conclusione del suo intervento ha detto semplicemente:

Tuo padre, Gianni, sarebbe orgoglioso di te. Sì, penso proprio che suo padre ne sarebbe orgoglioso. Gianni Rigoni Stern è un uomo che dà speranza.

Sono felice di questa intervista Andrea Nicolussi Golo, perché vai al fondo delle cose e hai uno sguardo limpido sulla tua vita di lettore, scrittore e uomo che in montagna ci è nato e ci vive. C’è ancora qualcosa, un ricordo, un’emozione che vuoi raccontare?

C’è una cosa, forse da nulla, ma che mi è rimasta nel cuore. Come ti dicevo mi piaceva andare a passeggiare su per Valgiardini, e anche dopo la scomparsa di Mario non ho smesso, così ai primi di giugno del 2009 a quasi un anno dalla sua morte, in una splendida giornata di sole ero proprio sopra casa sua e pensavo a quanto mi mancasse quell’uomo che per noi guardava quelle montagne quando eravamo lontani, sperduti in nebbiose città di pianura, quell’uomo che per noi guardava cadere la neve, ne ascoltava i suoni e i silenzi e all’improvviso, benché fosse già giugno, incominciarono a volteggiare nel cielo dei leggeri batuffoli bianchi, sulle prime pensai che fosse polline, ma in un attimo mi ritrovai avvolto in una vera bufera di neve, eppure attraverso quella coltrìna bianca vedevo che il cielo era rimasto perfettamente sereno e il sole splendeva, scesi e c’era Anna Rigoni Stern nell’orto a fianco a casa: Nevica, mi disse, Già, nevica, risposi. Mi avviai in fretta verso Asiago e neppure cento metri dopo tutto quel turbinare cessò all’improvviso, il cielo era perfettamente sereno, il sole di giugno scaldava forte e la strada era asciutta.

Ecco, lo so che a primavera può accadere qualche volta, ma a me piace pensare che quello sia stato l’abbraccio che io e Mario non ci siamo mai concessi, perché tra gente di montagna non si usa. I montanari diffidano di chi abbraccia troppo forte e di chi usa la parola amico con troppa leggerezza.

Andrea Nicolussi Golo

Andrea Nicolussi Golo cimbro di Luserna, lavora presso lo Sportello Linguistico della Magnifica Comunità degli Altipiani Cimbri è autore e traduttore. Nel 2010 ha pubblicato la raccolta di racconti Guardiano di stelle e di vacche (Ed. Biblioteca dell’Immagine) con la prefazione di Mario Rigoni Stern, finalista al premio Leggimontagna. Nel 2014 ha pubblicato il romanzo Diritto di Memoria (Ed. Biblioteca dell’Immagine) e nel 2016 il romanzo Di roccia di neve di piombo (I Licheni, Priuli e Verlucca) finalista e segnalato al Premio ITAS, finalista e segnalato al Premio Mario Rigoni Stern, finalista e secondo classificato al Premio Leggimontagna. Vincitore nel 2010 del premio internazionale di poesia Mendranze n Poejia, nel 2011 gli è stato assegnato il premio Ostana scrittori in lingua madre. È coautore del nuovo Vocabolario della Lingua Cimbra (Istituto Cimbro Luserna 2013) e dei due testi didattici Trèffan di Zimbarzung; è inoltre autore di numerose fiabe per bambini in lingua cimbra e in italiano.  Membro accademico del GISM (Gruppo Italiano Scrittori di Montagna), ha tradotto in cimbro e pubblicato nel 2013 Storia di Tönle di Mario Rigoni Stern e nel 2016 Il Piccolo Principe, nel 2017 ha pubblicato la traduzione in lingua cimbra del racconto di Mario Rigoni Stern Osteria di Confine.

Antonio G. Bortoluzzi è nato nel 1965 in Alpago, Belluno, dove tutt’ora vive. Ha pubblicato nel 2015 il romanzo Paesi alti (Ed. Biblioteca dell’Immagine) con cui ha vinto nel 2017 il Premio Gambrinus – Giuseppe Mazzotti XXXV edizione nella sezione Montagna, cultura e civiltà. Con lo stesso romanzo è stato finalista al Premio della Montagna Cortina d’Ampezzo 2016 e al premio letterario del CAI Leggimontagna 2015. Nel 2013 ha pubblicato il romanzo Vita e morte della montagna vincitore del premio Dolomiti Awards 2016 Miglior libro sulla montagna del Belluno Film Festival. Nel 2010 ha pubblicato il romanzo per racconti Cronache dalla valle. Finalista e quindi segnalato dalla giuria del Premio Italo Calvino nelle edizioni 2008 e 2010 è membro accademico del GISM (Gruppo Italiano Scrittori di Montagna). Nel 2019 uscirà il quarto romanzo per Marsilio Editori.

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