I grafici nell’arena della pubblicità

Tre colori intensi e dissonanti. Un soggetto semplice. Uno sguardo ipnotico. Il manifesto di Bouillon Kub diventa icona dell’arte pubblicitaria esposta al Museo nazionale Collezione Salce di Treviso. Il toro su fondo giallo, disegnato nel ’31 da Leonetto Cappiello, si impone come personaggio-idea e rappresenta tutta l’innovazione della comunicazione pubblicitaria tra gli anni Venti e Trenta del secolo scorso. Un periodo fertile in cui vennero messi a fuoco e affinati gli strumenti della cosiddetta comunicazione di massa.

“Illustri persuasioni tra le due Guerre”, inaugurato il 14 ottobre e visitabile fino al 14 gennaio, è il secondo di tre eventi espositivi organizzati da Collezione Salce.

Frutto di un’accurata scelta fra gli oltre 50mila pezzi costituenti il lascito di Nando Salce, è diviso in cinque sezioni. Ciascuna enuclea un tema attraverso il quale il visitatore scopre i rimandi alla pittura, alla fotografia, al teatro e al cinema.

Manifesti famosi, e soprattutto molti inediti, tra i quali scoprire Sandra Mondaini, immortalata in tenerissima età dal padre Giacinto, testimonial di una campagna contro la tubercolosi e a favore del consumo di latte. E poi il divertente folletto nella buccia d’arancia di Campari oppure l’elegante donna in blu del manifesto della Fiat Balilla.

Un percorso, attraverso le tre sale, che evidenzia la crescente consapevolezza professionale degli autori, testimonia la nascita delle prime agenzie di grafica pubblicitaria e racconta usi costumi e restrizioni autarchiche degli italiani. Esplicitando i legami con le arti pittoriche e la fotografia.

La pubblicità degli anni Venti, nella sezione intitolata “Tra Avanguardie e Realismo magico”, si fa cubista con la natura morta con selz di Nizzoli per l’aperitivo Campari. Il futurismo, invece, rappresenta se stesso nei manifesti di Fortunato Depero ed Enrico Prampolini per il teatro dell’avanguardia. Incantano le volute di fumo nel manifesto di Robert Berény per Modiano e quelle dell’emancipata Regina, della agenzia francese Maga, citazione del ritratto de La giornalista Silvya Von Harden di Otto Dix. Strappa un sorriso incredulo la pubblicità di una saponetta radioattiva: i coniugi Curie avevano appena scoperto la radioattività, ma non ancora le sue ripercussioni sulla salute.

Nella sezione intitolata “Stile ’25”, che fissa i rapporti tra la grafica pubblicitaria e l’illustrazione minuta, spicca Erberto Carboni. Ricchi e raffinati i suoi manifesti per la Opso (Officina parmense sostanze odorose), nei quali abbondanogli elementi orientaleggianti o i richiami alle decorazioni klimtiane. È la pubblicità dello “Sniaffiocco” di Araca, cottonfioc in rayon soprannominato cotone nazionale, il vero simbolo dell’autarchia.

In sala Carboni si celebra il concetto di “personaggio-idea”, del “pugno in un occhio”. È il nuovo corso della grafica pubblicitaria iniziato nel 1903 da Leonetto Cappiello con il manifesto per Chocolat Klaus.

Il prodotto in sé non è più così centrale. Quel che conta è l’invenzione sorprendente che si utilizza per raccontarlo.

Ecco l’idea del toro per reclamizzare il dado di carne. Dal lavoro individuale si passa alle agenzie pubblicitarie. Fra tutte, Maga, per la quale lavorano Severo Pozzati (Sepo), Marcello Nizzoli e il francese Mauzan, epigono dello stesso Cappiello.

Molti i manifesti dalle dimensioni importanti, ma non mancano quelli formato cartolina.

Li abbiamo esposti quasi tutti senza protezione”, spiega la direttrice Marta Mazza, “perché qualsiasi tipo di vetro avrebbe reso ancora più difficile l’illuminazione. Le sale permettono la presenza di gruppi di massimo venticinque persone. C’è il servizio di guardiania ed è attivo un ottimo impianto di videosorveglianza. Ma confidiamo soprattutto nell’attenzione e nel rispetto dei visitatori.”

In Sala Grignani sono esposti i manifesti delle ultime due sezioni. In “grafica e fotografia”si indaga il rapporto tra le due tecniche. Era stata la Russia negli anni Venti a sondarne per prima la commistione con il celebre manifesto di Rodchenko per la propaganda del libro. È la fotografia del viso di una donna dalla cui bocca escono scritte tipografiche che si allargano a simboleggiare il megafono. In Italia, è lo svizzero Xanty Schawinsky, transfuga dal Bauhaus, a dare vita ai primi connubi tra fotografia e grafica. Costantino Nivola, invece,realizza la pubblicità commissionata da Olivetti. Due mani femminili, fotografate, entrano nel manifesto per posarsi sui tasti di una modello ’42.

Dopo citazioni e omaggi alle arti maggiori, la mostra si chiude con “basta un sorriso”.

È il tripudio dell’immagine del sorriso femminile vincitore del primo concorso pubblicitario italiano.

È il 1922. Lo lancia Luigi Casoni Dalmonte, fondatore dell’agenzia Acme, che cerca lo slogan per il dentifricio Kaliklor. Nasce così il concetto della donna moderna, consapevole, corporea. Si afferma il modello hollywoodiano di femminilità che perpetuerà, attraverso i manifesti di Gino Boccasile, l’immagine delle “signorine Grandi Firme”: tutte formose, con labbra rosse e denti bianchissimi.

Alla fine è sempre la seduzione l’arma migliore per vendere un prodotto.

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