La scrittura è donna. Intervista ad Emanuela Canepa

L’animale femmina ha uno sguardo magnetico, ti fissa negli occhi, ti scava dentro. Ti conquista già dalla copertina, capisci che lo amerai, che lo possiederai che diventerà parte di te ed in te troverà una parte che gli assomiglia.

Attrazione al primo sguardo, al timido sfiorar di copertina. Succede con pochi libri, lo dice la libraia, lo conferma la lettrice. E la scrittrice? Abbiamo già incontrato Emanuela Canepa In occasione del CartaCarbone Festival 2017. Con lei avevamo parlato di come vincere il Premio Calvino possa determinare una svolta nella carriera di uno scrittore esordiente, avevamo parlato di punti di riferimento letterari, di scuola di scrittura…

Pubblicato recentemente nella collana Einaudi Stile Libero Big, L’animale femmina è ora una bellissima realtà. Promozione, presentazioni, classifiche… mi piace pensare a questo libro come ad una creatura che prende vita nelle emozioni di chi lo legge.

Emanuela, parliamo però prima delle tue emozioni, nel vedere per la prima volta il tuo libro, nello sfogliarlo, nel ricevere i primi commenti dei lettori, nel leggere le recensioni, nel rispondere alle interviste…Come stai vivendo questo momento?

Tentando di fare ricorso a una dose massiccia di autocontrollo e senso della misura. Immaginavo che fosse destabilizzante ma non in questo modo. Fondamentalmente il tuo Ego diventa una barchetta instabile che prende il largo ad ogni alito di vento. Nel bene e nel male. Qualunque opinione sul libro diventa quella definitiva, anche se magari di segno contrario rispetto a quella appena letta. E soprattutto qualunque opinione sul libro diventa una dichiarazione di merito su di te, come persona.

Non avevo mai sperimentato con tanta chiarezza quanto possa essere fragile l’identità. Se non ti àncori a qualcosa perdersi è un attimo.

“Le femmine sono animali interessanti”afferma l’avvocato Lepore (pag.90): la metamorfosi di una studentessa che cerca di affermare la propria identità, la lotta di un badante che vuol far valere i propri diritti, il gioco psicologico di una madre che riversa sulla figlia le proprie frustrazioni, mogli  tradite, abbandonate, un’avvocatessa ferita nell’orgoglio…donne o femmine?

Dipende. A chi stiamo rivolgendo la domanda? Perché se lo chiediamo all’avvocato Lepore, per lui sono tutte femmine senza redenzione. Prevedibili e scontate.

Se invece lo stai chiedendo a me, io non la penso così. Penso che in giro c’è senz’altro qualche femmina. Ma ci sono anche molte donne.

La metamorfosi di Rosita è psicologica, il rapporto con Lepore le fa scoprire aspetti del suo carattere ancora sconosciuti, ma anche fisica, esteriore. Rosita comincia a truccarsi e a vestirsi con maggiore cura “Com’è possibile che bastino questi trucchi da quattro soldi per ottenere attenzione?” Essere attraente è un potere che disturba ed emoziona insieme, che fa vergognare.  Rosita: femme fatale,  o vergine sacrificale?

La bellezza di un percorso di crescita sta anche nella dualità, o nell’assenza di un confine definito. Rosita è tutte e due le cose, e in nessun caso ho pensato che ricoprire l’uno o l’altro ruolo equivalesse a macchiarsi di una colpa.

Io volevo che lei facesse tutte le esperienze, e poi scegliesse liberamente per sé quella più congeniale.

Il passato dell’Avvocato Lepore si disvela poco a poco. Un personaggio silenzioso ed enigmatico sembra tessere l’intreccio del delicato rapporto tra Ludovico e Guido: amicizia, amore, passione, odio, gelosia. Un’unione che sfida il tempo e le convenzioni sociali. Il loro destino è legato all’efebo o l’efebo stesso è il loro destino?

Una riproduzione dell’efebo di Volterra è in casa di mio padre da moltissimi anni, quindi è un’immagine che mi è molto familiare. Mi sembrava perfetta per farsi carico di un amore asincrono e imperfetto come quello tra Ludovico e Guido.

Una figuretta ambigua, sproporzionata, ipnotica, malevola e al tempo stesso struggente. Come sono moltissime storie d’amore non meno degne di rispetto di quelle più convenzionali.

Presentazioni, Fiere, Premi Letterari, incontri di nicchia che si contrappongono a fenomeni di massa. Nel nostro Paese sembra si legga poco eppure c’è un certo fermento culturale legato all’universo libro. L’offerta è molto vasta, da scrittrice lettrice e bibliotecaria hai qualche consiglio per “orientare” il lettore?

Io direi che il merito principale della lettura è il suo carattere essenzialmente anarcoide. Non mi piace dare consigli perché mi sembra una responsabilità enorme.

Lasciarsi ispirare, inseguire un’intuizione, leggere quello che ci parla, qualunque cosa sia.

Tante anche quest’anno le opere in concorso per il Premio Comisso. Abbiamo recentemente conosciuto le terne dei finalisti. C’è qualcuno degli esclusi che avresti voluto vedere in finale?

Claudia Grendene. Mi è spiaciuto molto sapere che Eravamo tutti vivi non era passato in finale. Scopro subito le mie carte: siamo amiche, ma il giudizio che esprimo è basato su un rapporto che si fonda sulla stima.

Claudia ha un talento da narratrice piena, rotonda, di stampo ottocentesco. È solida, ispirata, profondamente immersa nell’architettura delle sue storie. Ed ha anche uno spessore umano profondissimo e un alto grado di empatia, tutti talenti che le permettono di disegnare personaggi tridimensionali con radici e fondamenta.

Ho amato moltissimo anche il libro di Sara Gamberini Maestoso è l’abbandono, e non smetto di dire a tutti di leggere Le Assaggiatrici di Rosella Postorino, che è un libro destinato a restare.

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