“Lagunario”. Intervista a Isabella Panfido

“Lagunario”, ultima opera di Isabella Panfido edita da Santi Quaranta è una dichiarazione d’amore alle isole e alle acque “sacre, inviolabili” della Laguna.

Isabella Panfido ci accompagna con il linguaggio poetico che le è naturalmente proprio, in un viaggio immaginario  attraverso i secoli. Trova radici nella storia, nelle leggende popolari, nelle credenze religiose.

Come in una “guida sentimentale” ai luoghi che così bene descrive ci fa salire nel treno che attraversa il Ponte della libertà, lo sguardo a cercare San Secondo, in un battello di fronte al molo di San Marco, in una barca in compagnia di due giovani che vogliono lasciare Fisolo sfidando l’Adriatico e il loro destino, nella gondola, che da Murano scivola sull’acqua verso Venezia, accanto ad una giovane dalla chioma fulva…nello s’ciopon sapientemente condotto da Capitan Piazza attraverso il labirinto d’acqua che così bene conosce, verso San Michele.

-Isabella, vogliamo parlare proprio di quella bambina con il loden verde e di una promessa infranta? 

Naturalmente ha una buona dose di autobiografico quel personaggio nel loden, così quanto tutti gli altri abitanti delle mie isole. In questo libro c’è molto di vero e molto di possibile, così anche la bambina nel loden.

Lagunario, Santi Quaranta Edizioni

– “Lagunario” a mio avviso non può essere imbrigliato in un solo genere letterario,  incontriamo nel corso della narrazione alcuni personaggi degni di un grande romanzo.
Tra tutti Chiara , Cattarina, Maria… Raccontaci delle donne del Lagunario…

Esattamente quello che pensavo anch’io rileggendo le bozze: questo libro è trasversale, non è un saggio di storia dell’arte, non è un manuale storico, né una guida turistica e nemmeno narrativa pura.  Mi piacerebbe fosse di quel genere di libri  che raccontano di luoghi parlando di persone e viceversa, come i libri di Seebald, per citare il meglio. In quanto al genere dei miei personaggi credo che donne e  uomini del libro siano al di sopra del genere, intendo dire che possono essere maschili o femminili indifferentemente per quanto riguarda il carattere; è stato invece il ruolo, cioè il lavoro, mansione, carica che la storia esigeva a farmi optare per personaggi maschili o femminili. Ma come mi sembra evidente, tutti hanno in comune alcune caratteristiche quasi fossero declinazioni di un medesimo ‘tipo’ umano: solitudine, isolamento, originalità. In una parola sono tutti caratteri un po’ selvatici, poco omologabili, maschi o femmine che siano.

-Mi ha colpito molto il capitolo dedicato a Poveglia. Lo straniero, l’accoglienza “di chi è sopravvissuto alla morte per acqua”, “la legge del mare che impone l’ospitalità”.
Quel mare che “è stato ed è il più grande conciliatore del pianeta, il miglior ambasciatore di civiltà a dispetto degli umani limitati orizzonti.”
Temi universali e di grande attualità. Abbiamo recepito la lezione del mare?

Tema di dolorosa attualità, infatti; avevo scritto tempo fa alcuni versi sull’argomento che dovrebbero essere pubblicati  a breve come libro d’artista con un intervento di Emilio Isgrò da ColofonArte  di Belluno. Credo che la nostra civiltà – che peraltro vedo ormai irrimediabilmente entrata nella fase ultima – la civiltà occidentale abbia recepito e messo in pratica  la lezione di accoglienza e condivisione fino a che i numeri sono rimasti gestibili, la velocità dei fenomeni connaturata con il tempo lento del vivere, l’assorbimento e l’integrazione compatibili con il ritmo delle esistenze. Ora è la velocità dei fenomeni che ci rende impotenti.

Comunque, quello che mi interessava dire in Lagunario è che siamo frutto di uno scambio fitto e continuo, siamo arti di un unico organismo-mare; la lingua stessa è una koinè di dialetti e microlingue portate dal mare e/o dal commercio, quella era la nostra ricchezza.

-Altro aspetto sbalorditivo di questa opera è la descrizione dei paesaggi naturali, la natura talvolta selvaggia che si contrappone alla presenza dell’opera dell’uomo. Personalmente ho riletto più volte con commozione la descrizione della prima aurora di Chiara. Venezia e poesia. Temi a te molto cari. Binomio indissolubile?

Ho cercato di evitare il più possibile questo binomio, la premessa del mio libro verte proprio sul non voler parlare di Venezia e soprattutto in modo poetico. Milioni di parole sono state intrecciate su questo asse- binomio. Mi sono sforzata di stare alla larga dai luoghi comuni, navigando acque periferiche, lagunari. Se la mia lingua è condensata e ritmica anche in prosa, ciò deriva da una modalità di scrittura personale, come dire che non ho altra voce che quella che mi esce dalle corde vocali, ma non volevo ( e spero di esserci riuscita) scrivere di Venezia e essere ‘poetica’.

-Nel capitolo dedicato a San Secondo accanto all’abilità di storica ho notato una velata nota polemica, accompagnata da sapiente ironia, riguardo a “disgustose malefatte”…l’amarezza nel corso della narrazione si dissolve in fretta. Nella realtà il retrogusto amaro rimane?

Direi che le malefatte sono state giudicate dalla magistratura, ma non è finita qui, ahinoi, il frutto della dissennata gestione del problema sta languendo sotto le brevi acque delle bocche di porto. Altro che retrogusto di amarezza! Ma un libro come Lagunario non è e non può essere un pamphlet di denuncia, perciò ho cercato di suonare la corda dell’ironia.

 

-Nella postilla con abile gioco consonantico trasformi il titolo in “lacunario”. L’opera mi sembra meravigliosamente completa…fino alle ultime righe, prosa ipnotica e incalzante per una chiusa incredibile. Quali lacune avresti voluto colmare?

 

-Domanda di rito. Lagunario è un’opera di recente pubblicazione, sei comunque una donna  molto impegnata su diversi fronti, a quali progetti stai lavorando ora?

Rispondo insieme alle ultime due domande, perché una racchiude la risposta dell’altra.

Avrei potuto scrivere di altre isole della Laguna, cosa che forse farò prossimamente se il demone felice tornerà a visitarmi, avrei potuto scrivere di Burano, ad esempio, come mi aveva gentilmente chiesto il mio pazientissimo editore che ha aspettato tre anni questo mio scritto, da lui auspicato sotto forma di fiabe e leggende della laguna. Ma io non so scrivere fiabe e leggende, così ho buttato le prime tre fiabe quando ho visto che la scrittura mi portava per altre vie.

Infine, abbandonando – ma solo in apparenza- la quieta rotta lagunare, vorrei raccogliere forze e materiali già esistenti per raccontare la storia di un luogo, di una casa veneziana, che non riesce a vivere ma non vuole morire.

Titolo: Lagunario

Autore: Isabella Panfido

Editore: Santi Quaranta

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